Si sono svolte in questo fine settimana le elezioni politiche in Repubblica Ceca. L’affluenza alle urne è stata molto alta rispetto alle elezioni precedenti: il 70% degli aventi diritto.
Ha vinto il partito ANO di Andrej Babiš, che ha ottenuto la maggioranza relativa con il 35% dei voti. I partiti della coalizione di governo uscente, nel complesso, non superano il 43% (SPOLU 23%, STAN 11%, Pirati 9%). Altri due partiti considerati “populisti”, SPD 8% e Motoristé il 7%. Tutte queste forze politiche, se usiamo le vecchie categorie di destra e sinistra, si collocano a destra. Restano invece escluse dal Parlamento la socialdemocrazia e il partito comunista, che si erano presentati insieme in una lista comune e non hanno superato la soglia di sbarramento del 5%.
La formazione del nuovo governo appare complessa: la coalizione uscente non raggiunge il 50% e il partito di Babiš è costretto a cercare alleanze difficili con SPD e Motoristé.
Per comprendere meglio questa situazione, è necessario considerare il contesto generale.
In Repubblica Ceca si diffonde da tempo un profondo malcontento verso le politiche di Bruxelles, accusate di spingere al riarmo invece di investire nella sanità, nell’istruzione, nel lavoro e nella cultura. L’aumento del prezzo dell’energia grava su industrie e famiglie, e – come nel resto d’Europa – molti cittadini faticano ad arrivare a fine mese.
I partiti di governo, consapevoli della sicura sconfitta, hanno condotto una violenta campagna psicologica contro l’opposizione. Il messaggio era semplice: “se non votate per noi, perderemo la libertà e torneremo sotto l’influenza russa”. Questi slogan hanno riattivato nella popolazione la paura del bolscevismo e delle dittature. È stata organizzata anche una grande manifestazione “contro gli estremismi e per la democrazia”. Probabilmente anche per effetto di questa campagna, i partiti di sinistra non sono riusciti a superare la soglia del 5%.
Babiš, industriale famoso come il “Berlusconi Ceco”, certamente non è un politico di sinistra, né filo-russo. Tuttavia, il timore diffuso era quello di una sua possibile alleanza con forze anti-Bruxelles. A sostenere questa campagna è intervenuto anche il presidente della Repubblica, Petr Pavel – ex generale della NATO – che già prima del voto aveva espresso pubblicamente i suoi dubbi sul concedere un mandato a Babiš.
È probabile che questa pressione mediatica abbia scoraggiato anche molti attivisti e pacifisti, che – nel timore di favorire “gli estremismi” – hanno finito per votare i partiti di governo (nonostante il loro sostegno incondizionato a Israele) o si sono astenuti dal votare la coalizione socialisti-comunisti.
Al momento è difficile fare previsioni sulla formazione del nuovo governo: molto dipenderà dalle scelte del presidente Pavel, che chiederà “garanzie” a Babiš prima di dargli il mandato. Una possibilità è un governo di minoranza guidato da ANO con l’appoggio di SPD e Motoristé.
La sensazione generale è che nessun partito rappresenti davvero una via d’uscita dal tunnel in cui si trovano oggi l’Europa e la Repubblica Ceca. La maggioranza della popolazione vota il “meno peggio”, in un sistema che somiglia sempre più a una democrazia solo formale, dove i governi invece di rappresentare la volontà dei cittadini impiegano energie e risorse per convincere i cittadini di ciò che dovrebbero pensare e volere.
In realtà, la maggioranza delle persone chiede la fine del massacro dei bambini in Palestina, una soluzione diplomatica al conflitto in Ucraina e investimenti nella salute, nel lavoro e nella cultura. I governi, al contrario, continuano a terrorizzare le popolazioni, cercando di far credere che guerra, scontro e violenza siano le uniche strade percorribili.
Forse l’uscita dal tunnel non si trova più nei meccanismi della democrazia formale, ma in quei segnali di risveglio che stanno emergendo in tutta Europa – e in particolare in Italia – non solo nelle piazze, ma anche nelle coscienze delle persone.










