Sono trascorsi due anni da quando, il 15 aprile 2023, esplose in Sudan la guerra.
Una guerra dimenticata, che – con rare eccezioni – non fa notizia e che continua a uccidere, affamare, distruggere.
È la più grave catastrofe umanitaria nel mondo: 30 milioni di persone – due terzi della popolazione – hanno bisogno urgente di aiuto.
E’ la Caritas con un proprio dossier a cercare di riportare un po’ l’attenzione su questa tragedia.
Tra Khartoum e il Darfur, il conflitto tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF) ha ridotto città intere in cumuli di macerie, sfollato oltre 8,6 milioni di persone all’interno del Paese, costretto 3,9 milioni di profughi in fuga nelle nazioni vicine.
Le donne e i bambini sono le vittime più vulnerabili.
Le violenze sulle donne sono dilaganti; 17 milioni di bambini sono senza scuola da più di un anno, 3,7 milioni soffrono di malnutrizione acuta.
Un bambino su tre sotto i cinque anni mostra ritardi nella crescita.
La fame è fra gli effetti più crudeli della guerra: 24 milioni di persone affrontano ogni giorno la fame, di cui 8 milioni in condizioni emergenziali e oltre 600mila in stato di carestia conclamata.
Il collasso delle attività agricole, l’impossibilità di consegnare aiuti umanitari e la speculazione sulle risorse aggravano un quadro già drammatico.
A peggiorare la situazione, la crisi sanitaria: il 60% della popolazione non ha accesso a cure mediche. Colera, malaria e dengue dilagano.
Gli ospedali sono bersagliati, il personale sanitario intimidito o ucciso.
I disturbi mentali si moltiplicano tra i rifugiati, ma solo il 15% può ricevere supporto psicologico.
“La situazione umanitaria più critica, si legge nel dossier della Caritas, è certamente quella nei campi per sfollati, dove le poche strutture allestite non erano preparate ad offrire riparo, cibo, assistenza sanitaria, acqua potabile, servizi igienici al ritmo di una simile escalation, con incontenibile sovraffollamento.
Né nei seguenti due anni questi hanno avuto la possibilità di migliorare in un’offerta all’altezza delle necessità degli 8.6 milioni di persone.
Il World Food Programme (WFP) quantifica ad oggi l’offerta di servizi nei campi in Sudan a neanche il 50% della copertura necessaria.
Secondo Amnesty International, se rapportata alla situazione complessiva anche fuori dai campi, il bisogno coperto scende al 30%.
Nei campi il 30% dei bambini rifugiati sotto ai 5 anni soffre di ritardo di crescita in ragione dell’alimentazione inadeguata.
Almeno 17 milioni di bambini sono privati della scuola da un anno o più.
Diffusi anche i trascuratissimi disturbi mentali ormai epidemici: secondo l’OIM il 65% dei rifugiati nei campi in Sudan soffrono di depressione, ansia, disturbo post-traumatico da stress per le violenze e i traumi, ma neanche il 15% di loro ha accesso a servizi di salute mentale, ritenuti in questa fase meno urgenti”.
E come segnala Emergency “nel Paese sono stati a oggi oltre cento gli attacchi a strutture sanitarie e oltre il 70% delle strutture sanitarie sono fuori uso o solo parzialmente funzionanti”.
Aggiungendo: “A causa dell’assedio alla città (Khartoum) e della conseguente impossibilità di far entrare rifornimenti, strumentazioni e altro personale, da gennaio 2025 eravamo stati costretti a sospendere gli interventi al cuore nel Centro Salam, continuando però a gestire l’Ambulatorio pediatrico, presidio importantissimo per la popolazione in una città in cui meno del 10% delle strutture sanitarie sono ancora operative”.
Il Piano di Risposta Umanitaria delle Nazioni Unite per il Sudan è ampiamente sottofinanziato anche a causa dei tagli agli aiuti americani. Milioni di persone restano senza alcun sostegno.
Ad aggravare ulteriormente la situazione vi è infatti la decisione del governo statunitense del gennaio 2025 di sospendere per 90 giorni tutti i programmi di aiuto in corso, anche d’emergenza, salvo alcune eccezioni.
Stiamo parlando delle conseguenze dell’Ordine Esecutivo di Trump, del licenziamenti dello staff e della riduzione significativa degli aiuti.
La decisione è tanto più grave considerato che gli USA erano di gran lunga il primo donatore per il Sudan, con il 44% del totale del sostegno economico fornito nel 2024.
E la crisi del Sudan sta impattato direttamente su Paesi vicini.
Agli sfollati interni in Sudan, sono da aggiungere oltre 3.9 milioni di profughi che hanno lasciato il Paese verso gli stati confinanti: Ciad, Sud Sudan, Egitto, Repubblica Centrafricana, Etiopia, Libia.
Il Sud Sudan è il Paese che sta subendo le conseguenze più gravi, sovrapposte alla condizione precedente di cronica crisi umanitaria prodotta della guerra civile combattuta fra il 2013 e il 2018 che ha lasciato il Paese in permanente crisi alimentare, disgregazione sociale, insicurezza, il tutto aggravato da ripetute alluvioni conseguenza del cambiamento climatico.
Lo scenario attuale non sembra offrire spiragli di conclusione, sottolinea la Caritas, che – attraverso la propria Rete e con l’aiuto delle comunità locali e di organizzazioni partner – continua a distribuire cibo, acqua, kit igienici, cure mediche e supporto psicosociale. Ma le risorse sono insufficienti.
Caritas Italiana si unisce agli appelli che chiedono un immediato cessate il fuoco, l’interruzione di ogni fornitura di armi a tutti i contendenti, la protezione dei civili, la garanzia di un accesso sicuro e senza ostacoli all’assistenza umanitaria e un impegno più deciso ed efficace della comunità internazionale per prevenire la disgregazione del Sudan e riattivare un processo di pace e di transizione democratica in mano ai civili.
Si chiede inoltre la tutela del diritto di asilo dei rifugiati e l’aumento dei fondi per il Piano di Risposta Umanitaria delle Nazioni Unite garantendo fondi flessibili che possano essere incanalati verso gli attori locali, le ONG locali e le organizzazioni religiose.
Qui il Dossier: https://www.caritas.it/wp-content/uploads/sites/2/2025/04/Dossier-Sudan_-due-anni.pdf.










