di Roberto Prinzi – redattore di Nena News

Seppur interessanti, trovo che coloro che rispondono all’arresto di Hannoun soffermandosi sul fatto che tali accuse si basano su quanto affermi in Israele non centrino il punto dirimente della questione.
Che Israele detti la nostra politica intervenendo direttamente o meno anche su questioni interne non lo scopriamo oggi e non lo scopriamo tra l’altro con il governo attuale: basterebbe vedere il processo a quanto accade all’Aquila contro i tre palestinesi. O cosa per decenni il Mossad ha fatto a casa nostra. O semplicemente come l’ago della nostra politica estera soprattutto negli ultimi anni segni sempre di più Washington e Tel Aviv.

Sia chiaro: è sempre giusto denunciare la nostra complicità e sudditanza. Ed è lodevole non stancarsi mai nel farlo a costo di essere ripetitivi. Ma, purtroppo, non basta. Fermarsi qui, senza andare oltre nella nostra analisi, vuol dire non esporsi veramente e politicamente su quello che per me è il punto dei punti. Quello che per intenderci fa saltare carriere, che produce denunce, arresti, registrazioni nell’autoproclamato Occidente che grida: “Je Suis Charlie Hebdo”. In poche parole: essere con la Resistenza dei popoli oppressi.

Resistenza che, come è giusto che sia, danneggia direttamente i “nostri” interessi (noi siamo oppressori) o ferisce i nostri “amici” o le marionette che mettiamo lì affinché facciano i nostri interessi. Resistenza ancora più “criminale” – pardon terroristica – perché usa addirittura le armi. L’oppresso, a meno che non siamo noi a cambiargli status perché si genuflette ai nostri (di Washington soprattutto) desiderata, non può usarle. Armi che però – e qui è appunto la cosa tragicomica – noi paghiamo profumatamente (impoverendoci sempre di più, mentre tutto lo stato sociale cade a picco) facendo anche i salamalecchi alle industrie belliche. Sintetizzando: No alla “Resistenza” palestinese (sono “terroristi”), viva la “Resistenza” ucraina (sono “combattenti”, “eroi”). Da qui, il doppio standard: se i secondi fanno saltare con autobombe (sempre più nostre) civili in Russia, beh il loro atto non è un attacco terroristico, ma viene addirittura applaudito perché mostra le “debolezze” del nostro nemico, Vladimir Putin.

E’ spesso proprio quest’ultima categorie di persone – che, attenzione, abbraccia oltre alla destra la quasi totalità del centro sinistra – è politicamente ancora più rivoltante quando poi, dopo aver fatto appena una sostituzione di luoghi (esce Ucraina, entra Palestina,) fa la morale sul 7 ottobre che definisce “pogrom”, “atto terroristico”, tra l’altro fingendo (vergognosamente) di dimenticare l’intero contesto in cui sia avvenuto.

La vera questione su Hannoun è la seguente: essere o meno con la Resistenza dei nativi palestinesi.
Una presa di posizione che può nascere solo da uno sforzo di rilettura del passato e del presente attraverso la lotta degli oppressi: nelle sue differenze e modalità c’è un filo di continuità che unisce, giusto per fare qualche esempio, le rivolte anticoloniali pre e post periodo vittoriano, passando per il Sudafrica, Vietnam e Iraq alla Palestina: è l’insostenibile crudeltà del colonialismo (e con tutto ciò che esso comporta) a salire sul banco degli imputati

In questa ottica, cosa sia Hamas, cosa abbia fatto, cosa faccia a noi interessa poco in questa fase in cui perdura la più vecchia e brutale forma di colonialismo esistente al mondo. Chi in queste ore continua a investire del tempo se Hamas è organizzazione “terroristica” o meno non può essere un nostro fratello o sorella di lotta. Tanto meno, e soprattutto perché non siamo noi i protagonisti, dei palestinesi. Dobbiamo cambiare modo di leggere gli eventi in un’ottica post coloniale, facendoci da parte. Non sovrapponendo la nostra voce a chi è vittima. Se vogliamo far del bene alla causa palestinese possiamo semplicemente essere dei ponti. Possiamo noi accettare, da bianchi privilegiati nati in una parte del mondo sporca di sangue e violenza (altro che Hamas..), che gli oppressi si ribellano?

Se no, perché, di grazia, spiegate se lo facevamo noi negli anni 40 ancora oggi ci celebriamo e se lo ha fatto un iracheno 20 anni fa o un palestinese era un terrorista?

Nelle carte i contatti con Hannoun: soldi raccolti "in nome di Allah"

Imam Shahin di Torino

Se sì, bene allora dobbiamo tenere conto che nel ribellarsi, soprattutto dopo che sei occupato e umiliato da oltre 100 anni, i popoli in lotta commettono anche errori e atrocità. E che l’atrocità è l’unico frutto che può sorgere nell’oppressione coloniale. E’ questo il punto che va sottolineato. Non esistono atrocità di serie A e serie B: quando gli indiani massacravano nell’Ottocento anche i civili inglesi non lo facevano in modo meno brutale di quanto avvenuto nei kibbutz e ai giovani israeliani del rave. Eppure non dovevano sollevarsi contro quello spietato sfruttamento?

Eppure sono stati atti orribili contro civili esattamente con il 7 ottobre. Per le vittime civili israeliane di quel giorno provo un profondo dolore. Almeno dalla mia condizione di privilegiato posso permetterlo. Ci siamo detti sempre “Restiamo umani” e non possiamo venir meno a quella promessa perché é ciò che permette all’intero cielo di non cadere. Anche se quelle vittime godevano dei privilegi del sistema coloniale. Anche se quelle vittime magari erano parte attiva di quel sistema coloniale. Anche se ballavano a pochi chilometri da un campo di concentramento. Quelle vittime le sento con dolore a maggior ragione perché credo che la Palestina sia “dal fiume al mare” e che la Palestina che spero sorga debba riconoscere e pianga anche quelle vittime. E’ un punto di partenza imprescindibile per qualunque riconciliazione: sentire l’altro, ma finalmente in un’ottica di uguaglianza senza muri e fili spinati.

I nostri media stanno offrendo in questi giorni una fotografia perfettamente chiara del loro degrado e prostituzione intellettuale. Così come è imbarazzante è “l’opposizione”: quasi godono a fare a gara a mettere Hannoun sul patibolo. A prendere le distanze. Ma non è da meno colpevole, forse più ipocrita pur nel suo interessante giro di parole da intellettuale, chi critica aspramente Salvini invitandolo a “non delegittimare il movimento pro-Palestina” come fa Salis a Genova. Ma poi aggiunge che Hamas è un gruppo terroristico. Ancora di più schizzofrenico chi magari aggiunge subito dopo: “viva la Resistenza palestinese!”. Ma come: Hamas, pur nelle sue tante ambiguità e nei suoi tornaconti politici, è la stessa che in misura maggiore è stata nelle strade ad annientare i cingolati dell’oppressore? O vogliamo negare la realtà? Sono le stesse forme di Resistenza palestinese che considerano Hamas tale. E noi, qui a qualche migliaio di chilometri, vogliamo decidere noi cosa va bene o cosa no? Vogliamo continuare a parlare al posto degli oppressi? E se siamo con quest’ultimi, non eravamo con quei miliziani di Hamas – non solo loro ricordiamolo – che infliggevano colpi ai carri armati coloniali?

Ecco quindi che essere con Hannoun, essere con l’imam Shahin, deve essere senza se e senza ma. Soprattutto in queste ore. Nei distingui, venuti fuori anche da Avs, si vede tutta la pochezza di gruppi parlamentari che di sinistra non hanno nulla e che andrebbero essere abbandonati nelle tornate elettorali. Non sei con i palestinesi oppressi se piangi per un bambino gazawi assassinato. Se con pietismo tratti i palestinesi solo in quanto vittime. Che poi chi se ne frega se siano liberi o meno e al massimo, sia chiaro, che siano liberi come vogliamo noi. Irrilevante se ti avvolgi in una kefya profumatissima e hai un bandierone della Palestina. Le Salis non riconosceranno mai la Resistenza. E se pure dovessero farlo, parleranno che “deve essere non violenta”. Il privilegiato che stabilisce le modalità di lotta dell’oppresso.

Il salto repressivo in Italia e nelle pseudo democrazie europee, Germania in testa, è pericoloso. Nei mesi scorsi hanno denunciato, arrestato e picchiato attivisti “pro-Pal”. Non si può non sottolineare il salto di qualità di queste ultime settimane. Non possiamo, ancora una volta fingere di non capire, come la Palestina ci riguarda ed è la cartina al tornasole delle nostre vite: racconta il nostro presente fornendoci una istantanea chiarissima di come sia ridicola la pseudo-opposizione parlamentare e quanto siano non democratiche le “nostre democrazie”.

Oggi Hannoun, domani sempre di più decine di attiviste e attivisti per qualunque altra causa. E’ un fenomeno che è già iniziato con la complicità della magistratura la cui azione repressiva avviene sempre con una perfetta tempistica.