Tutti pazzi per il riconoscimento della cucina italiana come patrimonio UNESCO. Una soddisfazione giustificata, anche perché l’agroalimentare italiano rappresenta una straordinaria opportunità di crescita economica per il Paese, a partire dall’export, che nel 2025 raggiungerà  la cifra record di 73 miliardi di euro, nonostante dazi USA, tensioni internazionali e blocchi commerciali. Eppure, come denuncia Coldiretti, l’erosione dei terreni fertili a causa di cementificazione e degrado fa sparire ogni anno cibo per 1,2 miliardi di euro, mettendo a rischio la sovranità alimentare del Paese in un momento delicato a causa delle tensioni internazionali. Sulla base di dati Ispra e in occasione della recente Giornata mondiale del suolo (5 dicembre), Coldiretti, utilizzando i Censimenti agricoli tra il 2000 e il 2020, ha evidenziato come la superficie agricola complessiva sia scesa da 18,8 milioni di ettari a 16,1 milioni, con una diminuzione netta di 2,7 milioni di ettari. Si tratta di un processo che ha generato serie conseguenze sulla cura del territorio e sulla sicurezza idrogeologica italiana, intensificando gli impatti dei cambiamenti climatici e degli eventi meteorologici estremi. Un fenomeno che non si arresta.

Secondo l’ultimo Rapporto Ispra, nel 2024 sono stati coperti da nuove superfici artificiali quasi 84 chilometri quadrati, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente, con cantieri e impianti fotovoltaici tra le principali cause. L’espansione incessante delle zone urbanizzate ostacola l’assorbimento adeguato delle acque piovane, che scorrono invece in superficie, elevando i pericoli di inondazioni e smottamenti. Oggi più del 90% dei Comuni italiani ricade in zone esposte a rischi idrogeologici quali frane e allagamenti, una situazione aggravata dai cambiamenti climatici, con eventi estremi più frequenti, anomalie stagionali e precipitazioni brevi ma violente. “Occorre salvaguardare, sottolinea Coldiretti,  il capitale agricolo e i suoli produttivi, valorizzando il ruolo sociale, culturale ed economico delle imprese rurali nelle aree interne. Una posizione condivisa dal 78% degli italiani, secondo il report Coldiretti/Censis 2025, che considerano l’agricoltura il baluardo più efficace per prevenire il dissesto idrogeologico e tutelare il paesaggio.  Da ciò deriva l’urgenza di misure rapide per bloccare il consumo di suoli fertili, a iniziare dall’approvazione della legge sul consumo di suolo bloccata da tempo in Parlamento e che potrebbe fornire all’Italia uno strumento innovativo e avanzato. Ma il suolo va ripristinato anche nelle città, dove le aree verdi urbane rappresentano solo il 2,9% dei territori comunali e i parchi e giardini con aree gioco una porzione ancora più piccola. Da qui l’appello di Coldiretti alla pubblica amministrazione per un cambio di passo necessario a garantire la presenza di alberi, fondamentali per la salute fisica e mentale, per ridurre le emissioni di CO2, migliorare la qualità dell’aria, favorire la biodiversità e ridurre le temperature”.

E dell’incessante consumo di suolo si occupa anche il recente 59° Rapporto Censis, che mette in luce come dal 2006 al 2023 il nostro Paese abbia sottratto oltre 129.000 ettari alla disponibilità naturale e paesaggistica. A fronte dei 639,1 kmq consumati tra il 2006 e il 2012, nei soli ultimi tre anni il consumo è stato di 234,4 kmq, a una media annua che ha oscillato tra 70 e 85 kmq. Tra il 2006 e il 2023 il 36,1% del suolo consumato è stato destinato a usi permanenti, il 40,7% è potenzialmente reversibile. Ma il dato nazionale (il 7,16% di suolo consumato nel 2023, rispetto al 7,14% dell’anno precedente) cela profonde differenze territoriali. Alcune regioni del Nord, come la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna, evidenziano una pressione costante, frutto di una combinazione tra dinamiche demografiche, espansione economica e sviluppo infrastrutturale. In questi territori il suolo consumato aumenta in modo più marcato, con valori pro capite che raggiungono i 452 mq in Emilia-Romagna, 449 mq in Veneto, 533 mq in Friuli Venezia Giulia. In regioni come il Molise e la Basilicata invece la pressione appare più contenuta, ma i valori pro capite risultano tra i più alti d’Italia (rispettivamente, 602 mq e 596 mq). La Campania si distingue nel panorama meridionale per un dato significativamente più elevato: con oltre il 10,5% di suolo consumato, si colloca al 4° posto tra tutte le regioni italiane.

Come ha rilanciato di recente il WWF, tra gli altri, occorre approvare una legge quadro sul consumo del suolo di cui si discute da moltissimi anni per prevenire nuove impermeabilizzazioni, privilegiando il riuso e la rigenerazione del territorio già cementificato. Una legge basata sulla logica del “Bilancio zero del consumo di suolo” che promuova, anche attraverso strumenti urbanistici comunali rinnovati, il recupero – ai fini dell’adattamento climatico – dei suoli degradati e/o sottoutilizzati e che consenta nuove urbanizzazioni solo in caso di documentata insufficienza del riuso di aree ed edifici dismessi.

Qui per approfondire i dati sul consumo di suolo: https://consumosuolo.it/home.