Il convegno “Infanzia ferita. Salute mentale e sostegno alle vittime di conflitto: il caso di Gaza”, svoltosi il 16 dicembre presso il Meyer Health Campus di Firenze, ha rappresentato molto più di un momento di aggiornamento scientifico. È stato uno spazio di testimonianza, di presa di posizione etica, politica e di riflessione collettiva sul senso stesso della cura quando il trauma non è un evento isolato, ma una condizione permanente.

Organizzato dal Centro di Salute Globale della Regione Toscana e dall’AOU Meyer IRCCS, con il coinvolgimento di Oxfam Italia e PCRF-Italia, l’incontro ha messo al centro la salute mentale dei bambini colpiti dai conflitti, con uno sguardo specifico sulla Striscia di Gaza, oggi teatro di una devastazione che colpisce in modo sistematico l’infanzia, le famiglie e i sistemi di cura.

La responsabilità della sanità pubblica e delle istituzioni

Ad aprire i lavori sono stati i saluti istituzionali, che hanno subito chiarito la cornice politica e culturale dell’iniziativa. La Regione Toscana e il Comune di Firenze hanno ribadito il valore della sanità pubblica come strumento universale di tutela dei diritti e come presidio di umanità nei contesti di guerra. È emersa con forza l’idea che la salute mentale non sia un ambito secondario o accessorio, ma una componente essenziale della risposta alle crisi umanitarie, soprattutto quando coinvolgono bambini e adolescenti.

La Toscana, è stato ricordato, ha costruito negli anni un modello di accoglienza diffusa e integrata, fondato sulla collaborazione tra istituzioni, terzo settore e servizi socio-sanitari. Un modello oggi messo sotto pressione da politiche nazionali restrittive, ma che continua a rappresentare un riferimento, in particolare per l’accoglienza di minori e famiglie provenienti da aree di conflitto.

In questo quadro si collocano anche le esperienze di evacuazione sanitaria (Medevac), che hanno consentito a bambini feriti o gravemente malati di essere curati negli ospedali toscani, e i progetti di cooperazione sanitaria internazionale, come gli ospedali da campo e i poliambulatori pediatrici pronti a intervenire nelle emergenze.

Gaza: quando il trauma non è “post”

Il cuore del convegno è stato dedicato alla riflessione clinica e psicosociale. Gli interventi degli psicologi e dei neuropsichiatri hanno messo in discussione categorie diagnostiche consolidate, a partire dal disturbo post-traumatico da stress. Nel caso palestinese – è stato più volte sottolineato – non esiste un “post”: il trauma è continuo, cumulativo, intergenerazionale.

I bambini di Gaza non vivono un singolo evento traumatico, ma una sequenza ininterrotta di bombardamenti, lutti, sfollamenti, fame, perdita dei riferimenti materiali e simbolici. I sintomi – disturbi del sonno, regressioni, mutismo, iperattaccamento, anestesia emotiva – non possono essere letti come patologie individuali isolate, ma come risposte adattive a una violenza strutturale. Questa situazione ha influito e influisce anche sul linguaggio che, anche nei piccoli, ruota tutto attorno alla guerra. Bambini neonati che come prima parola, anziché “mamma” o “babbo” dicono “bomba”!

Da qui la critica a un approccio esclusivamente individualistico e medicalizzante. La salute mentale, in questi contesti, è inseparabile dalla dimensione familiare, comunitaria e politica. Curare un bambino significa sostenere i genitori, ricostruire routine, offrire contenimento emotivo e restituire un minimo di senso e di continuità alla vita quotidiana.

La famiglia come spazio di cura e di frattura

Un tema trasversale a molti interventi è stato il ruolo della famiglia, colpita anch’essa dal trauma e spesso privata della possibilità di svolgere la propria funzione protettiva. Genitori stremati, padri resi impotenti dall’impossibilità di garantire sicurezza e futuro, madri sopraffatte dal dolore e dalla paura: tutto questo incide profondamente sul benessere dei bambini.

È emersa con forza la necessità di interventi che vadano oltre la presa in carico del singolo minore e coinvolgano l’intero nucleo familiare. Senza questo sostegno, il rischio è la cronicizzazione del trauma e la sua trasmissione alle generazioni successive.

In questo senso, le esperienze di lavoro con famiglie palestinesi accolte in Toscana mostrano come l’emersione della sofferenza possa avvenire anche a distanza di mesi dall’arrivo, quando la sicurezza fisica permette finalmente al dolore di manifestarsi. L’accoglienza, allora, non può limitarsi all’emergenza, ma deve essere pensata come un processo di lungo periodo.

Testimoniare, non solo curare

Particolarmente toccanti sono state le testimonianze dei professionisti palestinesi, che hanno intrecciato esperienza personale e competenza clinica. Il racconto di chi ha vissuto la guerra come padre e come psicologo ha reso evidente come, in certe situazioni, il confine tra ruolo professionale e dimensione umana si dissolva.

Essere presenti, ascoltare, condividere un momento di normalità – anche solo attraverso un gesto, una musica, un silenzio – diventa parte integrante della cura. La clinica, in questo senso, si trasforma anche in un luogo di testimonianza: dare parola al dolore significa riconoscerlo, sottrarlo all’invisibilità, contrastare l’annientamento simbolico di un popolo.

È stato sottolineato come il lavoro psicologico non possa essere neutrale. Ignorare le cause politiche e storiche della violenza equivale a rendere incomprensibile la sofferenza che si incontra nei servizi. Da qui la proposta di un approccio psicopolitico e culturalmente situato, capace di riconoscere il trauma collettivo e le specificità culturali, senza imporre modelli occidentali inadeguati. Molto interessante è stata la testimonianza e il confronto dello psicologo palestinese che, assieme ai medici italiani, ha permesso di approfondire la “psicologia islamica”, una disciplina che ha le proprie radici all’interno della cultura musulmana e della religione islamica.

Fare rete, costruire futuro

Il convegno ha mostrato l’importanza della rete: tra servizi sanitari, accoglienza, scuola, mediazione culturale, cooperazione internazionale. Nessun attore, da solo, può rispondere alla complessità di questi bisogni. Allo stesso tempo, è emersa la necessità di prendersi cura anche degli operatori, dei mediatori, di chi quotidianamente entra in contatto con storie di dolore estremo e rischia la traumatizzazione vicaria.

In conclusione, Infanzia ferita ha restituito l’immagine di una sfida enorme ma non eludibile: riconoscere che la salute mentale dei bambini di Gaza – e di tutti i bambini colpiti dalla guerra – riguarda anche noi. Non solo come professionisti, ma come comunità. Curare, in questo contesto, significa resistere alla disumanizzazione, mantenere aperto uno spazio di dignità, e affermare che, anche nel cuore della devastazione, la vita dei bambini continua a contare: il bene psicologico non è accessorio ma primario e di questo va tenuto ancor conto ora che “la finta pace” ha fatto abbassare i riflettori su Gaza.

 

LOCANDINA . INFANZIA FERITA. SALUTE MENTALE E SOSTEGNO ALLE VITTIME DI CONFLITTO: IL CASO DI GAZA
PROGRAMMA PARTE 1. INFANZIA FERITA. SALUTE MENTALE E SOSTEGNO ALLE VITTIME DI CONFLITTO: IL CASO DI GAZA
PROGRAMMA PARTE 2. INFANZIA FERITA. SALUTE MENTALE E SOSTEGNO ALLE VITTIME DI CONFLITTO: IL CASO DI GAZA
INFANZIA FERITA. SALUTE MENTALE E SOSTEGNO ALLE VITTIME DI CONFLITTO: IL CASO DI GAZA
INFANZIA FERITA. SALUTE MENTALE E SOSTEGNO ALLE VITTIME DI CONFLITTO: IL CASO DI GAZA
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INFANZIA FERITA. SALUTE MENTALE E SOSTEGNO ALLE VITTIME DI CONFLITTO: IL CASO DI GAZA
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Monia Monni - Assessora alla Sanità, al Diritto alla Salute e alle Politiche Sociali, Regione Toscana
INFANZIA FERITA. SALUTE MENTALE E SOSTEGNO ALLE VITTIME DI CONFLITTO: IL CASO DI GAZA
Maria José Caldés Pinilla Direttrice del Centro di Salute Globale, Regione Toscana
Consigliere comunale Firenze - Caterina Arciprete - AVS
Consigliere comunale Firenze - Caterina Arciprete - AVS
INFANZIA FERITA. SALUTE MENTALE E SOSTEGNO ALLE VITTIME DI CONFLITTO: IL CASO DI GAZA
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Roberto Barbieri - Direttore Generale Oxfam Italia.
INFANZIA FERITA. SALUTE MENTALE E SOSTEGNO ALLE VITTIME DI CONFLITTO: IL CASO DI GAZA
Mohamed Tuaima Psicologo Psicoterapeuta e Presidente dell'Associazione SCH Gaza per la cura delle persone con disabilità nella Striscia di Gaza
Mario Landi - Direttore UFC Salute Mentale dell'Infanzia e Adolescenza, Firenze, AUSL Toscana Centro.
Mohamed Abushawish - Psicologo.
Filippo Alderghi - Psicologo Psicoterapeuta UFC Salute Mentale dell'Infanzia e Adolescenza, AUSL Toscana Centro.
Alberto Mascena - Psicologo e Referente dell'Area di Salute Mentale di PCRF-Italia.
Alberto Mascena - Psicologo e Referente dell'Area di Salute Mentale di PCRF-Italia.
Marianna Scollo Abeti - Psicologa Psicoterapeuta AOU Meyer IRCCS.
Alberto Mascena - Psicologo e Referente dell'Area di Salute Mentale di PCRF-Italia.

Foto Paolo Mazzinghi