Sono nato nel primo dopoguerra in una piccola clinica privata, una delle pochissime a Milano, città dove fino al 1971, quando aprì l’Ospedale San Raffaele, non c’erano praticamente ospedali privati. La clinica era convenzionata con la mutua aziendale Pirelli (dove lavorava mio padre), una delle tantissime casse mutue (i medici della mutua…), unificate nel 1943 nell’INAM, che sono vissute fino al 1978, quando è stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con la Legge 833 del 23 dicembre 1978. Una legge ispirata all’articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti.”

Dagli anni ’60 era iniziata nel sindacato, nei partiti e nella società, con i contributi di tante personalità (tra cui mi sembra giusto ricordare Giovanardi, Macaccaro e Giovanni Berlinguer), un’analisi sulla salute e l’assistenza sanitaria in Italia, che fino al 1978 era frammentata e gestita da casse mutue di categoria, con forti disuguaglianze nell’accesso alle cure. Di certo sulla nascita della Legge 833, concordata da Dc, Psi e Pci nel clima del “compromesso storico”, hanno assai influito anche le grandi lotte operaie degli anni ’70 contro la nocività in fabbrica, le lotte per l’abolizione dei manicomi (la Legge Basaglia è del maggio 1978) e le numerose lotte ospedaliere (1975-77).

Mi pare importante ricordare, in questi nostri anni bui, che l’Articolo 1 della Legge 833 prevedeva che “l’attuazione del SSN compete allo Stato, alle Regioni e agli Enti Locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini.”

Il finanziamento del SSN doveva avvenire tramite l’istituzione di un Fondo Sanitario Nazionale (FSN), il cui ammontare veniva determinato annualmente dal governo.

Con la 833 si legiferò la riunificazione di Prevenzione, Sanità e Riabilitazione nelle Unità Sanitarie Locali (USL), con la stesura di un Piano Sanitario Nazionale (art. 53), che doveva essere articolato in un Piano Sanitario Regionale dalle Regioni, a cui spettavano anche funzioni di controllo, ma che con l’ Art.13 attribuiva ai Comuni tutte le funzioni amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, che non fossero espressamente riservate allo Stato ed alle Regioni.

Negli anni ’80, con l’attacco allo Stato Sociale della coppia Reagan-Thatcher e l’esplosione del capitalismo finanziario, iniziò in Italia l’attacco liberista al SSN, realizzatosi in successive leggi, che alterarono del tutto spirito e dettato della 833. Il primo attacco fu l’introduzione dei ticket sanitari nel 1982, in contrasto col fatto che il SSN era finanziato con le entrate fiscali, che dovevano già essere progressive. Ma lo stravolgimento completo fu opera del governo Amato, che per ridurre i costi in aumento del SSN, deliberò la legge di Riforma De Lorenzo N. 502/1992, per cui le Regioni esautorarono i Comuni nella gestione della sanità, con le Usl diventate Asl, cioè Aziende Sanitarie e così pure i grandi ospedali, introducendo la gestione manageriale della Sanità: la legge sostituì nella gestione gli organi politici con organi tecnici, in cima un Direttore Generale nominato dal Presidente della Giunta Regionale.

Ai Sindaci restavano solo le misure di emergenza sanitaria e igienica-ambientale. Come ciliegina, si introdusse l’attività libero-professionale all’interno delle strutture pubbliche da parte dei medici dipendenti, una particolarità del SSN italiano.

Infine la legge n. 229/1999, la riforma Bindi, «per la razionalizzazione del sistema sanitario», ha consolidato il processo di aziendalizzazione, ridefinendo i principi della sanità pubblica in termini di sostenibilità, appropriatezza ed efficienza. Il decreto ha rafforzato il ruolo programmatorio dello Stato attraverso il Piano Sanitario Nazionale triennale, attribuendo alle Regioni maggiore responsabilità nella gestione dei servizi sanitari locali e imponendo vincoli di bilancio alle Aziende Sanitarie.

Questo progressivo accentramento ed esclusione dei Comuni e della partecipazione dei cittadini ha contribuito alla buffonata dilagante di chiamare i Presidenti delle Giunte Regionali Governatori ed anche alla richiesta di Autonomia Differenziata delle Regioni leghiste più ricche del Nord Italia.

Nel 2024 in Italia la spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,3% del PIL, minore della media europea (6,9%), indecente rispetto alla Germania (10,6% del PIL) .

Sempre nel 2024 in Italia la spesa sanitaria pubblica pro-capite si colloca 14° posto tra i 27 Paesi europei dell’area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7, con un valore di $ 3.835, nettamente inferiore alla media dei Paesi europei ($ 4.689) e ridicola rispetto alla Germania ($ 8.080).

I dati della Relazione sui servizi pubblici del Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) hanno dimostrato che il ruolo della sanità privata in Italia, sempre più preponderante e in aumento, ormai sfiora i 48 miliardi, con un aumento tra il 2023 e il 2024 del 4%, (circa il 25% del totale della spesa sanitaria nazionale) e ha premiato la sanità privata pura, che dal 2016 al 2023 ha raddoppiato gli incassi (da 3,1 a 7,2 miliardi, +137%).

A fronte di questa decadenza della Sanità Pubblica, la Regione Liguria, con la popolazione più vecchia d’Europa (età media 49,4 anni), già dal 2018 ha accentrato a livello regionale, sottraendolo alle sue 5 ASL, il Cup per le prenotazioni delle prestazioni sanitarie, rendendo certamente più difficoltoso l’accesso, specie per gli anziani.

Dal 1° gennaio 2026 una riforma porterà la Regione Liguria a un’unica Azienda, la ATS-Associazione Tutela Salute, con una nuova gestione guidata da un super-commissario, che centralizza tutti gli aspetti amministrativi e burocratici e “si articola in 5 aree sociosanitarie liguri, corrispondenti ai territori delle attuali 5 aziende sociosanitarie.” Ci sarà un’Azienda Ospedaliera Unica per la città di Genova, a cui risponderanno gli ospedali Villa Scassi, San Martino, Galliera e il futuro ospedale degli Erzelli. Inoltre saranno unificate le centrali del 118.

E’ da considerare che la Liguria è una delle regioni più piccole di Italia, con 5,4 mila KM2 di superficie, 350 Km di costa e 1,51 milioni abitanti. E ricordiamoci la decadenza della città di Genova: aveva 800 mila abitanti nel 1971 ora ne ha 525 mila!

E le Case di Comunità, cioè i presidi nel territorio?

Sono 33 le Case di Comunità previste dal Pnrr in Regione Liguria, da attivare entro il 2026, ma per ora solo 16 hanno almeno un servizio sanitario attivo, mentre il 51,5% non è ancora operativo. La cifra si riduce a 6 se si guarda l’attivazione di tutti i servizi obbligatori (eccetto presenza medica e infermieristica) e addirittura a 2 con tutti i servizi obbligatori attivi, inclusa la presenza medica e infermieristica (il 6%). Solo 2 su 11 ospedali di comunità sono operativi. In compenso aumentano di continuo in Liguria (e Piemonte) le Case della Salute private della famiglia Pesenti, che ha venduto Italcementi e dal 2020 investe nella sanità privata.

In Italia hanno una sola ASL solo due Regioni con poca popolazione, Molise e Valle d’Aosta, ma questa riforma della Liguria sarà di esempio per le 9 Regioni con meno di 2 milioni di abitanti, soprattutto quelle gestite dal centrodestra?

Penso di sì: la strada verso la ultra-privatizzazione della sanità e alle assicurazioni private, per chi ha i soldi e può farlo, è sempre più larga!.

A Genova e in Liguria l’opposizione, pur dichiarando che la riforma era un favore ai privati e uscendo dall’aula al momento della votazione, ha contrastato debolmente questa decisione della Giunta di centrodestra (da anni assai influenzata dalla Lombardia, vedi l’ex Presidente Toti, ex berlusconiano di Mediaset) e l’ANCI non ha difeso l’ulteriore espulsione dei Comuni dalla sanità.

I sindacati hanno manifestato durante la votazione con striscioni e fumogeni davanti al Consiglio Regionale e hanno parlato di salto nel buio, ma io ritengo sia ben più di questo: il Direttore Generale diventa il vero padrone e gli operatori sanitari, già insufficienti, potrebbero venire trasferiti a suo giudizio nei vari luoghi di lavoro dell’ATS unica.

Antonio Lupo – Referente ISDE -Medici per l’Ambiente Liguria