I cosiddetti piani di pace del Presidente degli Stati Uniti d’America ricordano l’idea che gli Antichi Romani avevano della pace: una pace armata basata sulla piena sottomissione dei popoli conquistati.
Una Pax Imperiale fondata sulla potenza delle armi e dell’esercito e, non a caso, coerentemente con questo modello sostenevano che “si vis pace para bellum”, poiché la potenza militare era l’unica garanzia di pace all’interno dell’Impero e di salvaguardia dei confini da invasioni.
La cosiddetta pace di Trump, peraltro lungi dall’essere realmente raggiunta in Palestina ed in faticosissima via di costruzione in Ucraina, potrebbe, il condizionale è d’obbligo, far cessare il genocidio dei palestinesi e portare ad una tregua in Ucraina.
Chi potrebbe non vederne gli aspetti positivi?
Cosa esiste al mondo di più terrificante del genocidio di un popolo?
Chi potrebbe non salutare con favore una tregua purchessia dei combattimenti in Ucraina, dove lungo le trincee sulla linea del fronte, come nelle città-fantasma a ridosso dei combattimenti, le vittime si contano ormai a centinaia di migliaia, soprattutto tra i militari, che io considero nella loro maggioranza civili strappati alle loro famiglie e costretti ad indossare una divisa, e tra i civili veri e propri?
Al tempo stesso chi non può gioire se in Palestina si fermassero davvero i bombardamenti a tappeto contro un intero popolo stremato, oppresso e schiacciato da decenni di guerre asimmetriche, da una occupazione militare basata sul razzismo e sul suprematismo etnico? Chi può non vedere con favore un accordo che blocchi il genocidio di un popolo che rischia di essere cancellato dalla Storia e ridotto a sopravvivere nella umiliante condizione di massa informe di profughi mal tollerati?
E in Ucraina chi si può sensatamente opporre ad un cessate il fuoco che permetta di salvare ciò che resta, da un lato del fronte, di una intera generazione, che via via scompare inghiottita dal gorgo nero della guerra, ma fa, anche dall’altro lato del fronte, innumerevoli vittime che solo percentualmente, rispetto alla popolazione complessiva, sono meno numerose di quelle dell’Ucraina?
Non si può quindi non festeggiare la sospensione di questi massacri, tra l’altro imposta anche grazie, (ad essere sinceri solo per quanto riguarda la questione Palestinese) a mobilitazioni popolari senza precedenti in ogni parte del globo.
Durante la campagna elettorale, del resto, Trump aveva promesso al suo popolo la pace, insieme, non dimentichiamolo, a Robert Kennedy Junior (il figlio di Robert e nipote di John, i cui assassinii restano uno dei maggiori “misteri” della storia contemporanea degli Usa) che da quotato candidato indipendente pacifista decise a sorpresa di ritirarsi e di appoggiarlo.
Era forse una vera alternativa pacifista la candidata Kamala Harris, vicepresidente di una amministrazione che, fin dal suo inizio, aveva supportato il genocidio e che aveva contribuito a far degenerare la guerra in Ucraina, già dal suo inizio nel 2014, e poi a più riprese sabotando ogni reale processo di Pace e provocando e alimentando la guerra (questo senza nulla togliere alle responsabilità del Presidente Vladimir Putin della Federazione Russa che, come il suo antagonista statunitense, ha fatto strame del Diritto Internazionale)?
Paradossalmente molti hanno votato Trump convinti dei suoi propositi di pace o non hanno votato per niente non trovando grandi differenze tra una compagine e l’altra, tra accesi guerrafondai e ipocriti manipolatori delle coscienze.
La pace Imperiale che Trump pensa di poter imporre al mondo è il ritorno a livello planetario dell’egemonia statunitense. E’ possibile soltanto con il riconoscimento da parte di tutti gli Stati ed i popoli del mondo della supremazia Usa.
Nessuna velleità di autonomia per le altre nazioni o speranze di trattare da pari a pari, semmai il riconoscimento di un ruolo di potenze regionali, in una posizione comunque secondaria.
La cosiddetta pace di Trump è una Pax Imperiale perché si afferma insieme al trionfo dell’Impero Statunitense. Nasce distruggendo i vincoli posti dai principi universali del Diritto Internazionale, dall’umiliazione delle Nazioni Unite, a cui non si riconosce alcun ruolo, ma al cui interno si resta per sfruttare l’anacronistico diritto di veto e quindi per bloccare ogni risoluzione del Consiglio di Sicurezza considerata anche soltanto parzialmente scomoda rispetto ai propri interessi di superpotenza.
Gli Usa restano nell’Onu non perché credono nei suoi valori fondativi, ma per distruggerne ogni autorevolezza agendo dall’interno come un tumore maligno. Coerentemente con questo principio si ignorano le risoluzioni dell’Assemblea Generale, le deliberazioni della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, che impongono a tutti gli stati di fermare il genocidio in Palestina, il ruolo dell’Unrwa nell’assistenza ai palestinesi e via di seguito.
Al tempo stesso si decidono inconcepibili e vergognose sanzioni individuali a Francesca Albanese, relatrice dell’Onu per i territori palestinesi occupati, e ai giudici del Tribunale Penale Internazionale, nato dal Trattato di Roma, che le diverse amministrazioni Usa hanno sempre rifiutato di ratificare per avere le mani libere di calpestare la libertà e i diritti degli altri popoli macchiandosi persino di crimini efferati.
“America First” non esclude processi di pacificazione, ma esclude una pace autentica basata sulla giustizia, sui Diritti Umani e sulla fraternità solidale tra tutti i popoli del mondo.
La Pax Imperiale di Trump svela senza ipocrisie le linee di fondo di decenni di politica estera degli Stati Uniti d’America: affermare la supremazia della potenza statunitense, non già del suo popolo, a cui arrivano semmai le briciole, ma della sua élite.
La Pax Imperiale statunitense somiglia alla pace mafiosa: i mafiosi non hanno più bisogno di sparare ed uccidere quando hanno il controllo totale ed assoluto di un territorio.
Tuttavia la pace trumpiana proprio perché accelera esponenzialmente le politiche di riarmo, da un lato serve a continuare la guerra contro le classi popolari statunitensi e degli altri Paesi del mondo, creando miseria, disastri ambientali e non escludendo guerre terribili nelle diverse periferie dell’Impero, dall’altro basandosi sulla potenza militare e su armi adatte allo sterminio di massa sempre più potenti ed efficaci, continua a far scivolare il pianeta verso un possibile, se non addirittura probabile, conflitto mondiale totale, che molti invasati negli Usa, alcuni dei quali fomentati da correnti sedicenti cristiane, con una visione apocalittica della Storia, si illudono di poter vincere, sdoganando perfino l’uso delle armi atomiche, che, unica nazione al mondo, gli Usa hanno già cinicamente utilizzato su due città, Hiroshima e Nagasaki, senza pagare alcun dazio, armi nucleari di cui del resto hanno già stracolmi i loro arsenali.
Svelare la verità dei sedicenti processi di pacificazione statunitensi, è condizione indispensabile per continuare a far vivere un movimento mondiale di massa, sceso nelle strade e nelle piazze di ogni parte del pianeta sull’onda emotiva, ma anche profondamente etica e umanitaria, del genocidio del popolo palestinese.
Non ci si può fermare ora, in mezzo al guado, se non si vuole essere travolti dall’ondata di piena del militarismo guerrafondaio e della volontà di potenza degli Stati Uniti d’America e dei loro vassalli o di quello velleitario e speculare dei loro principali antagonisti.
Soltanto la forza dei popoli, a partire da quella generosa e propulsiva dei giovani, a cui rischia di essere negato ogni futuro, e da quella assolutamente necessaria ed indispensabile delle lavoratrici e dei lavoratori organizzati può costruire un argine al rischio di una guerra catastrofica e devastante e, in ogni caso, da politiche di folle riarmo, che distruggono lo stato sociale e immiseriscono le classi popolari.
Non si tratta di appoggiare il “campo” dei governi considerati dagli Stati Uniti come “Canaglie”, campo al suo interno assai variegato, che comprende sia preziosi e reali esperimenti di socialismo democratico e umanitario, che personalmente considero come unica via praticabile al superamento del capitalismo e alla costruzione del comunismo, sia sanguinarie dittature.
Si tratta di mettere in campo la forza di un nuovo internazionalismo trasversale perché deve coinvolgere le classi popolari di tutti i Paesi del mondo, che nulla hanno da guadagnare, ma tutto hanno da perdere dal riarmo e, ovviamente, da nuove guerre.
Questo urge fare, prima che sia troppo tardi.










