Domenica 28 settembre, giorno della chiusura della kermesse Milano Fashion Week.  Una costola del gruppo che si trova ogni giorno in piazza Duomo contro il genocidio a Gaza decide di far sentire la sua voce davanti all’Accademia di Brera, dove alle 19 si svolge l’ultima sfilata, quella degli abiti di Armani.

Come avviene in questi casi, ci si presenta per tempo, senza dare nell’occhio, si studia dove posizionarsi per poi estrarre i numerosi cartelli portati. La situazione è complicatissima: transenne, un mare di curiosi, numerose guardie private e “pubbliche”. Con discreto anticipo si decide e in una manciata di secondi si è posizionati lungo un marciapiede sulla via dalla quale arriveranno i macchinoni neri, con vetri offuscati, che portano i vip. Fuori i cartelli, fuori le bandiere, montata la vela con il logo della Global Sumud Flotilla che da settimane ci accompagna.

Scattano decine di foto, i giornalisti arrivano, video, una breve intervista. Abbiamo fatto colpo. Il nostro silenzio rompe la tranquillità imbellettata di un ambiente che vive su un altro pianeta, rispetto a quello che succede in Palestina, ma anche, in crescendo, in Italia e nel mondo.

In brevissimo tempo capiamo una cosa: lo spazio ce lo si conquista, lo si tiene, mandarci via è oramai molto faticoso. Se lo facessero, dal punto di vista mediatico forse ci farebbero solo un favore, ma va bene così. Arrivano le auto, lente, vedendoci rallentano di più, come se i semplici e leggeri veli delle nostre bandiere potessero danneggiare le loro auto di lusso. Volti terrei alla guida, chi ci sia seduto dietro non è dato sapere, ma dall’interno delle macchine arrivano gesti di approvazione e sostegno da almeno quattro persone e due ragazzi vestiti “alla moda” e diretti all’evento fashion si uniscono a noi con i cartelli per un po’ di tempo. Anche vari passanti esprimono il loro appoggio.

Il nostro silenzio dura circa mezz’ora, ma basta un LA di una di noi e come da una pentola a pressione si esplode in slogan urlati con tutta la nostra forza, come a superare quei vetri blindati, quella distanza tra noi e la nostra amata Accademia di Brera, “occupata” oggi da semplicemente ricchi.

Si grida forte, e anche in questo caso la polizia non batte ciglio. La strada è stretta, il corridoio che a questo punto abbiamo formato sui due lati accoglie le auto che arrivano con slogan che inneggiano alla Palestina libera, a Gaza libera. Alla fine, saremo rimasti per oltre un’ora, fino a che il passaggio finisce.

Siamo stanchi, stanche. Un altro passo, piccolo, bisogna andare avanti. Parecchi di noi si spostano in piazza Scala (ribattezzata piazza Gaza), dove da tre giorni vi è un’occupazione con diverse tende; più tardi ci sarà una fiaccolata da piazza Duomo a piazza Gaza.

La sensazione è che l’attenzione verso la Palestina sia oramai continua, che in ogni momento in questa città, ma non solo, cittadini e cittadine (non solo più attivisti e attiviste) siano in piazza, che le azioni si moltiplichino, si incrocino, rimbalzino da un luogo all’altro, si diano forza a vicenda.

Come quando c’è da spostare un grande peso, si decide di concentrare gli sforzi, tutti insieme, per spostarlo. Il momento sembra questo. Chi vergognosamente resiste (perché ignorarlo non può più) di fronte a questa onda popolare crescente comincia a vacillare, è sempre più circondato da coloro che non ne possono più della colpevole inerzia dei propri governi. Anche il più grande sindacato italiano, grazie sicuramente a una formidabile spinta dal basso, sta per battere un colpo: benvenuto.

Per chi è a Milano: tutti i giorni in piazza Scala portiamo solidarietà, generi di conforto, presenziamo. Ogni giorno in piazza Duomo dalle 18.30 alle 19.30 partecipate all’iniziativa “Un verso per Gaza”. Giovedì 2 ottobre, alle 21, ci ritroviamo davanti a moltissimi ospedali in Italia.