Giovedì 10 luglio 2025 presso la Biblioteca delle Oblate di Firenze, si è tenuta la presentazione del saggio di Lorenzo Guadagnucci Un’altra memoria. Sono intervenuti insieme all’autore, Valentina Baroni, giornalista, vicedirettrice di Fuori Binario, autrice del libro sulla GKN “La fabbrica dei sogni“ e Dmitrij Palagi, consigliere comunale di Firenze, vicepresidente Commissione consiliare 7, pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali, immigrazione.

Il libro è incentrato sulla riflessione che la memoria delle stragi nazifasciste (da Sant’Anna di Stazzema, a Marzabotto – Montesole, alle Fosse Ardeatine) è diventata in gran parte un rito sterile, autoreferenziale e complice dell’indifferenza verso i crimini del presente, quali ad esempio quello in corso a Gaza. Viene denunciata l’incoerenza del condannare le stragi del passato ma tollerando quelle di oggi e non considerando quelle che ci ha visto attori come italiani. Al contrario ci sarebbe la necessità di una memoria viva, politica, attiva, capace di denunciare gli orrori e le guerre di oggi, affermare il valore universale di ogni vita umana e difendere il Diritto Internazionale oggi screditato e sotto attacco.

Dmitrij Palagi nella introduzione ha invitato a “non farci ingannare dal titolo del libro” ed ha evidenziato come in esso “si parte da una presenza anche fisica nei luoghi della memoria, a un rapporto con il camminare nei luoghi della memoria e interrogarsi su quello che attraversa tutto e tutti noi quando partecipiamo ai momenti istituzionali”. Ha ricordato ad esempio che la sindaca di Firenze Funaro non era mai stata contestata quanto durante l’ultima celebrazione del 2 giugno a Firenze, una contestazione che nasceva dalla domanda che fa nascere questo libro. In questo senso questo “non è un libro sul passato perché si interroga sul senso che hanno le istituzioni per come sono state costruite nel secondo dopoguerra mentre oggi sta venendo meno l’intero assetto su cui è costruita la legittimazione delle nostre democrazie occidentali”.

Valentina Baroni ha sottolineato come viene trattata la memoria oggi e come Guadagnucci “lo fa attraverso riferimenti bibliografici attraverso una grandissima conoscenza di questo tema ma lo fa andando nei posti con il proprio corpo e questa è una particolarità perché è qualcosa che coinvolge il lettore”. “La parola chiave di tutta questa riflessione è una parola antica che non mi aspettavo, è la parola ‘rivoluzione’: il nostro approccio deve essere rivoluzionario, una parola antica ma Lorenzo la usa in una maniera nuova, perché nel mondo in cui ci troviamo oggi, in cui tutto sembra crollare,  in questa incertezza totale in cui ci troviamo,  questa parola non compare mai nel dibattito pubblico come salvifica e quindi già l’averla citata l’averla messa in fondo al libro dopo tutti questi stimoli che arrivavano per me è stata una cosa che ancora di più mi ha fatto pensare”.

Lorenzo Guadagnucci ha ricordato come “questo libro nasce esattamente quasi un anno fa la mattina del 12 agosto a Sant’Anna di Stazzema quando ci siamo ritrovati con un gruppo di camminatori che tutti gli anni fanno un percorso a piedi da Montesole a Sant’Anna, sui luoghi della memoria delle stragi nazifasciste. Da qualche anno in questo gruppo si è è sviluppata l’insoddisfazione per la ritualità della cerimonia ufficiale del 12 agosto e abbiamo aggiunto un piccolo rito che facciamo all’alba alla Vaccareccia, una delle frazioni dove è stata attuata la strage e dove è morta Elena la mamma del mio papà”.  Ci siamo trovati lì con la presenza del nostro corpo, ma la testa era altrove ed ho pensato che il mio contributo più onesto da dare a quella giornata fosse di non raccontare la storia che normalmente raccontavo di mia nonna …  perché mi sembrava improprio raccontare una storia, suscitare quindi commozione e attenzione su una vicenda di 80 anni fa, mentre eravamo in un luogo della memoria che stava dimostrando il suo fallimento, mentre erano in corso le stragi a Gaza con il contributo militare politico mediatico di tutte le democrazie occidentali compresa la nostra. A che serve la meria delle stragi di allore se poi “dimentichiamo”, facciamo finta di non vedere, non interveniamo sulle stragi di oggi.

Continua Guadagnuccic’è un bisogno di rigenerare questa memoria se vogliamo continuare a credere che abbia un valore, un senso, che possa essere un punto di riferimento per la comunità, un momento di unione, di ispirazione.  E quindi da lì è partito questo viaggio che è anche un viaggio fisico. Perché questa memoria è così inutile rispetto all’oggi? Perché non sa dire niente sulle vicende così gravi che accadono sulla striscia di Gaza ed io credo che questa vicenda sia una svolta storica ed abbia cambiato completamente il senso della nostra democrazia.  Io non credo che abbiamo nemmeno più il diritto di parlare di democrazia: è una svolta anche sotto il profilo istituzionale, buona parte della costruzione istituzionale fatta dopo il ‘45 sulla base dell’esperienza della Seconda guerra mondiale viene demolita giorno per giorno, voto in Parlamento per voto in Parlamento, le Nazioni Unite umiliate le corti internazionali irrise”. “Penso anche che l’antifascismo oggi sia in una crisi molto grave, perché non mi pare che abbia colto la gravità di questo passaggio, tant’è che i voti nei Parlamenti nazionali e europei sono univoci, gli antifascisti votano con i postfascisti su cose determinanti come le politiche delle armi” 

Non penso di dover abbandonare l’antifascismo, credo però che questo scarto che c’è stato tra il passato e il presente potrebbe avere a che fare con il fatto che abbiamo sviluppato una memoria storica prevalentemente vittimistica,  cioè una memoria nella quale i fatti che abbiamo incluso nel nostro calendario civile sia soprattutto sui fatti della guerra in cui gli italiani sono stati vittime, le strage di civili, che sembrano che siano state fatte solo contro gli italiani, quindi si parla di Montesole, di Marzabotto, delle fosse Ardeatine,…   ci concentriamo su noi italiani come vittime della guerra contro i civili, ma dimentichiamo tutta l’altra parte, cioè quella in cui gli italiani, perlomeno quelli con la divisa, sono stati autori di stragi altrettanto gravi e c’è una lunga sequenza di episodi storici ormai noti dalla Grecia all’Albania alla Jugoslavia per non parlare dell’Etiopia e quindi c’è sicuramente una memoria monca, una memoria parziale”.

Dmitrij Palagi: un tema presente nel libro è che la memoria può essere terreno di scontro. “Chi ha ereditato la cultura della Repubblica Sociale Italiana e non l’ha mai rinnegata, ma magari l’ha nascosta, non ha nessun tipo di problema ad attaccare utilizzando la memoria, a scegliere il giorno in cui può vittimizzarsi. E’ una visione per cui il giorno del ricordo non è tanto il problema della Jugoslavia, è il problema che quelli erano slavi e quindi è vero che gli italiani erano fascisti, ma tutto sommato erano italiani e quindi perché noi dovremmo ricordare la nostra parte cattiva invece delle nostre vittime?  Questo è effettivamente il paradigma che ci viene proposto perché noi facciamo sempre più fatica il Giorno della Memoria o i giorni delle stragi a poter dire che si può anche fare conflitto sulla memoria e sulla storia, perché la memoria non corrisponde esattamente alla disciplina storica e alla ricerca delle fonti, ma l’uso e la memoria è fondativa dell’identità”.

“Non  c’è rivoluzione senza movimento, cioè la rivoluzione è il passaggio in cui a un certo punto il movimento rompe, crea uno spazio vuoto e si ricomincia a ricostruire, nel ricostruire il rischio, come c’è scritto nel libro, è che si cada nella visione del potere che c’è dall’alto verso il basso, cioè l’idea è conquisto il potere, con il rischio di ricadere nelle stesse logiche e nelle stesse contraddizioni che tra l’altro hanno anche segnato il novecento: non a caso nella parte finale del  libro c’è scritto che deve essere una rivoluzione non violenta”.

Lorenzo Guadagnucci ha poi ripreso il tema della Rivoluzione: “io effettivamente penso che è un concetto che dobbiamo recuperare, è stato accantonato, è stato considerato superato, è una parola praticamente impronunciabile, ti sorridono con sufficienza quelli che ti guardano mentre la dici, però io penso che sia una dimensione alla quale in realtà facciamo riferimento ogni volta che ci impegniamo nella società e cerchiamo di intervenire sulle questioni più grosse, le uniche di cui dovremmo occuparci: il cambiamento climatico, le guerre che si preparano.  Le proposte che vengono da tutti i gruppi, i movimenti di qualsiasi tipo che si impegnano su questo tema in realtà sono proposte rivoluzionarie nel senso che sono in totale contrasto rispetto al sistema oggi dominante, qualsiasi ripensamento sull’economia, sull’organizzazione sociale, sulla politica, sulle diplomazie, sui rapporti fra stati, in questo momento per avere senso deve avere un carattere rivoluzionario perché siamo di fronte a un tale degrado che il riformismo è inservibile per usare queste due categorie riformismo e rivoluzione”. “Siamo malati di moderatismo, c’è stata una dittatura, ci hanno veramente manipolato in questo, un sistema di pensiero, un sistema mediatico, politico che ha insistito su questo tema e ci ha fortemente condizionato. Io quindi credo che la dimensione della rivoluzione debba essere nel nostro presente e poi quello che mi porta anche a fare una distinzione tra antifascismo debole e antifascismo forte: l’antifascismo debole è l’antifascismo che contesta ai fascisti di essere fascisti, che fa presidio, che fa custodia della memoria. Tutto questo va bene e non credo che vada sprecato, ma mi sembra veramente insufficiente: lo chiamo antifascismo debole perché non è abbastanza rispetto a quello che è successo, non è abbastanza rispetto a tutte le sfide che abbiamo di fronte, noi di tutta la tradizione antifascista che è grandiosa, lo sappiamo, tutte le cose migliori che abbiamo nascono perché abbiamo avuto una resistenza, c’è stato un pensiero antifascista nei vent’anni del regime. La tensione rivoluzionaria dell’antifascismo, questa è l’unica vera cosa che ci interessa oggi, più di tutte le altre, loro pensavano e si preparavano a un cambiamento radicale, non stavano a cercare mediazioni”.