1. Lo scorso 28 marzo, il Comitato per i diritti umani sull’implementazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, ha pubblicato a Ginevra le conclusioni su Albania, Burkina Faso, Mongolia, Montenegro e Zimbabwe dopo aver esaminato i cinque Stati parti durante l’ultima sessione. In un suo comunicato, il Comitato per i diritti umani ha espresso preoccupazione “per i potenziali conflitti tra le disposizioni del Patto e il Protocollo tra il Consiglio dei Ministri della Repubblica d’Albania e il Governo della Repubblica Italiana per il rafforzamento della cooperazione nel campo delle migrazioni e ha preso atto della sospensione della sua attuazione. Il Comitato ha inoltre sollevato preoccupazioni in merito alla Legge sull’asilo e la protezione temporanea. Ha invitato l’Albania a garantire che a tutti coloro che cercano protezione internazionale venga concesso un accesso illimitato al suo territorio e una valutazione equa e personalizzata del loro status di rifugiato, nel pieno rispetto del principio di non respingimento. Ha sottolineato che la legislazione albanese, insieme al Protocollo con l’Italia, deve essere pienamente allineata a questi requisiti. In particolare, il Comitato ha sottolineato che la detenzione di migranti e richiedenti asilo dovrebbe essere applicata rigorosamente come misura di ultima istanza.” Le conclusioni del Comitato si rivolgono direttamente alle autorità albanesi, ma possono avere ripercussioni dirette sulla attuazione del Protocollo d’intesa Italia-Albania.

Al paragrafo 31 del Rapporto ONU Il Comitato accoglie con favore la Strategia nazionale sulla migrazione 2024-2030 e il Piano d’azione 2024-2026 e prende atto della sospensione dell’attuazione del Protocollo tra il Consiglio dei ministri della Repubblica d’Albania e il Governo della Repubblica italiana per il rafforzamento della cooperazione nel campo della migrazione, concluso nel 2023. Il Comitato è tuttavia preoccupato per i potenziali conflitti tra il Protocollo e il Patto, che si applica alla gestione extraterritoriale delle procedure di migrazione e asilo, come quelli riguardanti la detenzione automatica dei migranti e il rischio di una detenzione prolungata, nonché il rischio di essere soggetti a procedure di migrazione o asilo inadeguate. Il Comitato è inoltre preoccupato per la legge sull’asilo e la protezione temporanea, adottata nel 2023, in particolare per le disposizioni relative alla mancanza di accesso alle procedure di richiesta di asilo con effetto sospensivo, all’accesso insufficiente all’assistenza legale gratuita, alla detenzione di minori e alle contestazioni per quanto riguarda l’effettiva attuazione del principio di non respingimento (artt. 7, 9, 12 e 13).

In particolare il Comitato ONU, ha rilevato (par.32) che “Lo Stato parte dovrebbe garantire che tutte le persone che cercano protezione internazionale abbiano libero accesso al territorio nazionale e a procedure eque ed efficienti per la determinazione personalizzata dello status di rifugiato o dell’idoneità alla protezione internazionale, al fine di garantire il rispetto del principio di non respingimento; e garantire che la sua legislazione, così come il Protocollo concluso con l’Italia, siano pienamente conformi a questi requisiti. Dovrebbe garantire in particolare che: (a) la detenzione di migranti e richiedenti asilo sia utilizzata solo come misura di ultima istanza e sia ragionevole, necessaria e proporzionata, in conformità con l’osservazione generale n. 35 (2014) del Comitato sulla libertà e la sicurezza della persona, e che vengano utilizzate nella pratica misure alternative alla detenzione, e garantire che i bambini non siano privati della loro libertà per scopi legati all’immigrazione; (b) Il principio di non respingimento è sostenuto nella pratica, garantendo che tutte le persone che cercano protezione internazionale abbiano accesso a un meccanismo di appello giudiziario indipendente con effetto sospensivo contro le decisioni negative; (c) L’assistenza legale gratuita è accessibile nella pratica nelle procedure per la determinazione individualizzata dello status di rifugiato o dell’idoneità alla protezione internazionale“.

Le preoccupazioni espresse sulla “gestione extraterritoriale delle procedure di migrazione e asilo, come quelle riguardanti la detenzione automatica dei migranti e il rischio di una detenzione prolungata” sono direttamente rivolte all’Albania, ma anche alle prassi applicative derivanti dal Protocollo Italia-Albania e dalla legge 21 febbraio 2024, n. 14, con cui l’Italia vi ha dato attuazione, e vanno considerate attentamente per valutare la legittimità costituzionale ed internazionale del nuovo Decreto Legge “Albania”. Con il quale il governo italiano vorrebbe avvalersi di aree in territorio albanese, soggette (anche) alla sua giurisdizione, per detenere, piuttosto che richiedenti asilo, provenienti da paesi di origine sicuri, come previsto originariamente dal Protocollo firmato da Edi Rama e da Giordia Meloni nel 2023, immigrati già presenti in Italia e destinatari di un provvedimento di allontanamento forzato dal territorio. Dalle frammentarie notizie diffuse sul Decreto legge n.37/2025 appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale si tratterebbe di immigrati già detenuti all’interno dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) in territorio italiano, “selezionati” dalle autorità di polizia, sembrerebbe tra quelli “più violenti”. Ma i criteri di questa selezione, ed i successivi trasferimenti in un paese terzo extra UE, che dovrebbero essere rimessi alla legge, non sono chiari e rimangono di fatto affidati alla mera discrezionalità dell’autorità amministrativa senza alcun controllo giurisdizionale.

Le conclusioni del Rapporto tengono conto della “sospensione” del Protocollo Italia-Albania, che adesso con il nuovo Decreto legge viene riattivato, e pur rivolgendosi alle autorità albanesi, richiamano anche per l’Italia principi di garanzia dei diritti fondamentali,stabiliti dal Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, che peraltro corrispondono a principi simili affermati nella Costituzione italiana (artt. 3,10,13,24), nella Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo (artt.3,5,6,13), nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (artt.18,19,47) e nelle Direttive unionali tuttora vigenti in materia di Protezione internazionale ( n.32 e 33 del 2013) e di Rimpatri (2008/115/Ce).

 

2. Secondo l’art.2.3 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni UniteCiascuno degli Stati Parti del presente Patto s’impegna a:
a) garantire che qualsiasi persona, i cui diritti o libertà riconosciuti dal presente Patto siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali;
b) garantire che l’autorità competente, giudiziaria, amministrativa o legislativa, od ogni altra autorità competente ai sensi dell’ordinamento giuridico dello Stato, decida in merito ai
diritti del ricorrente, e sviluppare le possibilità di ricorso in sede giudiziaria:
c) garantire che le autorità competenti diano esecuzione a qualsiasi pronuncia di accoglimento di tali ricorsi.

In base all’art.9.1 del Patto ONU, “Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Nessuno può essere arbitrariamente arrestato o detenuto. Nessuno può esser privato della propria libertà, se non per i motivi e secondo la procedura previsti dalla legge”. Secondo l’art.9.4, “Chiunque sia privato della propria libertà per arresto o detenzione ha diritto a ricorrere ad un tribunale, affinché questo possa decidere senza indugio sulla legalità della sua detenzione e, nel caso questa risulti illegale, possa ordinare il suo rilascio”. Questi principi sono richiamati nel Rapporto sull’Albania del Comitato ONU per i diritti umani con specifico riferimento alla gestione extraterritoriale delle procedure di migrazione e asilo e dunque vanno applicati per intero al Protocollo Italia-Albania, ed alle leggi di attuazione che ne derivano a livello nazionale.

Dalla ricostruzione di questo complesso normativo, che si colloca su un piano sovraordinato rispetto alla legislazione nazionale, secondo il principio gerarchico delle fonti, come imposto dall’art.117 della Costituzione, si ricavano dunque criteri di valutazione che dovranno essere utilizzati nella conversione del decreto legge n.37/2025 “Albania” da parte della Commissione Affari costituzionali delle Camere, se questa sarà nelle condizioni di adottare un parere, e poi in caso di eventuali questioni di costituzionalità davanti alla Corte Costituzionale. Gli stessi criteri dovrebbero essere ritenuti anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea. E dovrebbero essere utilizzati anche dai giudici che saranno chiamati a decidere sui dinieghi delle richieste di protezione e sui ricorsi contro le misure di allontanamento forzato e di trattenimento amministrativo che saranno adottate nei confronti delle persone migranti destinatarie di un provvedimento di espulsione, trasferite dal territorio italiano nel centro di detenzione di Gjader in Albania.

Sembra di particolare rilievo il richiamo alla effettività dei diritti di difesa, confermato dall’art.47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, profilo oggetto della questione pregiudiziale, proposta non solo sul concetto di paese di origine sicuro, all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel procedimento sulle questioni sollevate da giudici italiani. proprio in materia di procedure accelerate “in frontiera”, e tra queste anche quelle “esternalizzate ” in Albania. I diritti di difesa non possono essere svuotati per effetto di un accordo bilaterale come il Protocollo Italia-Albania, o da decreti legge che introducono prassi di trattenimento amministrativo e modalità di trasferimento forzato in un paese terzo extra UE delle persone trattenute, che al di fuori di una specifica disciplina legislativa sulle modalità, e sulla tempistica, di questi trasferimenti forzati, sembrano sottrarre le conseguenti limitazioni alla libertà personale ad un tempestivo controllo giurisdizionale, al rispetto del diritto al contradditorio, alla possibilità di una effettiva attività difensiva.

 

3. Fra le “preoccupazioni” espresse dal Comitato ONU si richiama il “principio di non respingimento” affermato dall’art.33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, da rendere effettivo “garantendo che tutte le persone che cercano protezione internazionale abbiano accesso a un meccanismo di appello giudiziario indipendente con effetto sospensivo contro le decisioni negative”. Questo principio sarà di particolare importanza. tanto in Albania, che nei CPR e nelle procedure di frontiera in Italia, nel caso di coloro, già destinatari di un provvedimento di espulsione ed in stato di trattenimento, che presentino prima dell’esecuzione del rimpatrio, una domanda “reiterata” di protezione. Le modificazioni apportate con la legge n.133/2013 (ex Decreto Cutro 20/2023), che restringono di molto questo diritto e sottraggono ad una verifica giurisdizionale la maggior parte delle domande di protezione reiterate nella fase del trattenimento pre-espulsivo. Come potrebbe verificarsi anche nel CPR di Gjader in Albania, le regole introdotte in Italia con la più recente decretazione d’urgenza appaiono contrarie rispetto alle garanzie contenute nella Direttiva 2008/115/Ce sui rimpatri in merito alla necessità di un controllo giurisdizionale sui successivi provvedimenti di diniego per inammissibilità e anche per la mancanza di un effetto sospensivo dei ricorsi. Se si richiamano le disposizioni del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, in materia di effetto sospensivo dei ricorsi contro i dinieghi delle richieste di protezione, si scopre un solco probabilmente ormai incolmabile tra le norme e le prassi adottate negli ultimi anni dalle autorità italiane in materia di trattenimento aministrativo ed i principi sanciti dal Patto, ma anche da altre importanti convenzioni internazionali, come la Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. ed euro-unionali. come la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Al punto che è diventato sempre più difficile distinguere tra il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo nelle procedure accelerate ed il trattenimento pre-espulsivo, finalizzato all’operazione di rimpatrio con accompagnamento forzato.

Gioverà ricordare per il futuro, in materia di domande reiterate di protezione, per richiedenti che sono stati esaminati in procedura accelerata, che secondo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza del 29 aprile 2024 n. 11399, “vi è deroga al principio generale di sospensione automatica del provvedimento impugnato solo nel caso in cui la Commissione Territoriale abbia applicato una corretta procedura accelerata. In ipotesi contraria, quando la procedura accelerata non sia stata rispettata nelle sue articolazioni procedimentali, si determina il ripristino della procedura ordinaria. Va inoltre evidenziato che la deroga al principio generale di sospensione automatica del provvedimento della Commissione Territoriale in caso di mancato rispetto delle articolazioni procedimentali della procedura accelerata vale non soltanto per dinieghi per manifesta infondatezza nelle ipotesi di richiedenti provenienti da Paesi di origine sicuri, ma per tutte le ipotesi ricomprese all’interno dell’art. 28-ter del D.Lgs. 25/2008, nonché per le decisioni – come quella in esame – di inammissibilità a seguito di domanda reiterata“.

Il Comitato per i diritti umani dell’ONU ricorda agli Stati parte, come l’Italia, non solo all’Albania, che le procedure di restrizione della libertà personale e i procedimenti espulsivi nei confronti delle persone tutte, inclusi dunque anche gli immigrati destinatari di un provvedimento di allontanamento forzato, non possono subire eccezioni lesive dei principi fondamentali dello Stato di diritto. E’ lo stesso principio ordinante della sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale, richiamato di recente dalla Cassazione nella ordinanza n.5992/2025  a Sezioni unite sul caso del trattenimento amministrativo dei naufraghi, nel 2018, a bordo della nave militare Diciotti nel porto di Catania. Si tratta di principi inderogabili a tutela dei diritti fondamentali della persona umana, che non possono essere elusi o aggirati, per finalità politiche o per mera propaganda elettorale, con la esternalizzazione in paesi terzi extra UE delle procedure di asilo, o di trattenimento ed allontanamento forzato.

 

Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite critica il Protocollo Italia-Albania