Gli analisti politici di ogni schieramento, così come i comuni mortali alle prese con i social, stanno impazzendo cercando di dare un senso alle fantasmagoriche “sparate” di Trump, che da quando è stato eletto presidente ne ha dette di cotte e di crude.

Mi sorprende, tuttavia, che in questo disperato tentativo di capire, di fronte all’incredibile proposta di cacciare i Palestinesi da casa loro piazzandoli da qualche altra parte del mondo, per fare delle loro terre martoriate dei giardini fioriti a nostro uso e consumo, a nessuno sia venuto in mente che ipotesi per certi versi molto simili si facevano circa un secolo fa nella vecchia Europa (non solo nella Germania nazista), nella speranza di ripulire il vecchio continente dalla sgradita presenza degli Ebrei.

Non era ancora l’Olocausto, ipotizzato come “soluzione finale” dal 1939, e che avrebbe poi trovato la sua tragica conferma nella Conferenza di Wannsee del 1942, nel pieno della guerra in atto. L’idea originaria era piuttosto quella della espulsione e della deportazione delle comunità ebraiche, già penalizzate ed escluse dal contesto civile della Germania dalle leggi di Norimberga del 1935, che privavano gli Ebrei dei diritti civili e proibivano i matrimoni misti. 

Fu in questo clima politico che venne messo a punto il “Piano Madagascar”. Un progetto fatto proprio dal regime nazista, prima dello scoppio della guerra, che prevedeva il trasferimento della popolazione ebraica della Germania (e poi a guerra in corso dell’intera Europa) nell’isola africana. Una soluzione che, almeno inizialmente, veniva considerata molto più comoda ed efficace rispetto all’idea di doversi impegnare in un progetto di segregazione in appositi campi di concentramento.

È bene precisare che il “Piano Madagascar”  non fu il parto della sola follia nazista della Germania. L’idea originaria venne formulata già alla fine dell’Ottocento, e venne poi ripresa negli anni Venti del secolo successivo da vari esponenti dell’antisemitismo europeo. 

Senza seguire tutte le vicende storiche legate a questa folle ipotesi, basterà citare due fatti fortemente emblematici. Il primo ci dice di come “Il governo polacco nel 1937 istituì, con la collaborazione dei francesi, una commissione che esaminasse la possibilità di trasferire gli ebrei polacchi nell’isola” (fonte Wikipedia). La seconda questione riguarda il fatto, davvero sorprendente, che l’idea originaria della deportazione fu suggerita a Hitler e ai gerarchi nazisti da esponenti dell’antisemitismo francese, trovando una entusiastica approvazione nelle alte sfere del regime, al punto che per un certo periodo, in attesa del trasferimento in massa degli odiati giudei, fu addirittura sospesa la costruzione del ghetto di Varsavia. Poi le vicende della guerra presero un’altra piega.

Cosa ci insegna questa storia in parallelo con quanto sta avvenendo in Palestina?  Innanzitutto il fatto che ogni ipotesi di deportazione forzata dalla propria terra è da considerare, già in se stessa, una forma di genocidio, avendo come scopo l’annientamento di una identità  collettiva, che poi, nella quasi scontata impossibilità pratica di trasferire milioni di persone, si fa inevitabilmente genocidio vero e proprio, inteso come soppressione fisica.

Va detto inoltre che la storia così come viene spesso raccontata in modo semplificato, come scontro tra “buoni” e “cattivi” è un inganno che tende a mistificare il passato ma soprattutto a distorcere il presente. Il nazismo non avrebbe mai potuto fare ciò che ha fatto  se non avesse potuto contare su velati appoggi, strane amicizie e insospettabili connivenze, ma anche oggettivo sostegno da parte di posizioni incerte, ambigue o solo votate al buon senso e all’equidistanza di chi non si vuole sporcare le mani. 

Oggi non la si può prendere alla larga. Di fronte al genocidio in corso lo sdegno nei confronti degli orrori del sionismo deve essere unanime. Chi se ne tiene lontano è complice! (Eventuali limiti, errori, o anche posizioni non condivisibili da parte della resistenza palestinese sono altra questione, e non possono mutare il giudizio nei confronti delle scelte criminali di Israele).