di Marco Sansoè scritto dopo la presentazione a Palazzo Gromolosa, Biella, del libro Gorgo CPR di Lorenzo Figoni e Luca Rondi edito da Altreconomia

I CPR (Centri di permanenza per i rimpatri) non sono un errore. Non sono il risultato disumano della gestione sciatta dello Stato italiano e nemmeno l’effetto drammatico di accordi truffaldini tra lo Stato e le cooperative sociali che li gestiscono.

I CPR non sono il prodotto di un disegno discriminatorio e violento della destra reazionaria. Sono stati istituiti, nel 1998, dalla cosiddetta legge “Turco-Napolitano” durante il governo Prodi. Sono immaginati come lo strumento regolatore e di controllo dell’immigrazione clandestina, status introdotto da quella legge e consolidato in reato dalla cosiddetta legge Bossi-Fini, del 2009, governo Berlusconi.

Ma i CPR non sono nemmeno lo strumento per fermare o scoraggiare l’immigrazione. In tutti questi anni meno del 50% degli immigrati presenti nei CPR sono stati rimpatriati…

Le immigrazioni non si fermano, non si sono mai, mai fermate!

I CPR sono la realizzazione più recente dell’impianto concentrazionario dallo Stato moderno razziale uscito dalla Rivoluzione francese e consolidatosi attraverso il Colonialismo, l’Imperialismo e lo stato-nazione novecentesco.

La cultura concentrazionaria dello Stato moderno razziale si è sviluppata nei secoli attraverso le riserve indiane negli Stati Uniti, i campi di concentramento nazisti, i campi profughi diffusi in tutto il mondo nei quali vivono decine di milioni di persone, i campi di prigionia per il respingimento dei migranti finanziati dalla Comunità Europea in Turchia, Libia, Niger, Tunisia, Marocco, nei Balcani, ecc., i CPR in Italia e strutture analoghe, con altro nome, negli altri Paesi d’Europa.

I CPR dovrebbero essere smantellati, distrutti, incendiati da una rivolta popolare, così sarebbe potuta accadere, forse, se noi fossimo riusciti a diffondere una cultura decoloniale efficace. Invece riusciamo solo a svolgere un’azione di solidarietà, utile e necessaria, ma incapace di sovvertire l’ordine globale della logica del profitto che ha nello Stato moderno razziale il suo gendarme.