Benvenuti alla seconda parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele” – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.
“Ricordati di scordare Amalek” è il mantra che spesso Netanyahu ha ripreso per dare una giustificazione biblica al genocidio contro i palestinesi. Questo legittima l’esistenza di un “popolo eletto” che merita la “Terra promessa” e un popolo da sradicare. Di cosa si tratta?
Quello della pretesa azione politica su base biblica è un discorso abbastanza articolato e complesso, tanto da dedicarvi ben due capitoli nel mio libro. Ritenevo infatti necessario disinnescare ed eliminare immediatamente questa premessa, totalmente priva di fondamento logico, seppur utilizzata ingenuamente per tentare di ammantare la politica israeliana di un alone divino.
Nonostante la sua palese illogicità, essa emerge di tanto in tanto per sporcare il dibattito e dirottare l’attenzione dalle questioni concrete e reali, al campo dell’irrazionale, e dunque conducendo lo stesso dibattito dentro un vicolo cieco da cui poi risulta difficile evadere.
Quello di Netanyahu è un evidente tentativo di sfruttamento della Bibbia a fini politici. Parlo di tentativo in quanto è lapalissiano a tutti quanti, compreso all’attuale premier Israeliano, che il mondo civilizzato non può assolutamente indulgere in questa narrazione.
Solo per comprenderci, mai nel consesso ONU l’immancabile veto degli Stati Uniti è stato motivato da un “Signori … Dio lo vuole!”. Gli ambasciatori in seduta plenaria si sarebbero messi a ridere in faccia a chiunque avesse sollevato questo tipo di argomentazioni. Questo perché il “Dio lo vuole” e il relativo utilizzo pedissequo della Bibbia come testo “rivelato”, in occidente ha smesso di essere applicato da diversi secoli.
La natura “rivelata” della Bibbia si è andata assottigliando nel tempo, man mano che le scienze avanzano e andavano smentendo i vari frammenti biblici: la teoria geocentrica, la creazione del mondo (dell’universo), l’esistenza di galassie e sistemi solari esterni con tanto di potenziali mondi abitati, la teoria evolutiva con annessa genesi dell’homo sapiens. E anche lì, dove si sperava di potersi puntellare almeno sui resoconti storici, la moderna archeologia è scrosciata sui più devoti come una vera e propria doccia fredda. I recenti scavi archeologici nel sud di Israele hanno dato evidenze cristalline sull’inattendibilità storica di buona parte, se non di tutto il racconto biblico relativo alla terra promessa.
Mi riferisco agli scavi condotti dagli archeologi Silberman e Finkelstein, quest’ultimo ebreo e direttore dell’Institute of Archaeology dell’Università di Tel Aviv, che hanno smentito le ricostruzioni bibliche sul Grande Regno di Israele, sulla conquista della terra di Caanan, sulla grandezza dei re David e Salomone e perfino sulla presunta magnificenza del tempio di Gerusalemme.
Gli scavi hanno dimostrato “che antichi sovrani come Davide e Salomone, vissuti secoli prima, fossero “capi tribù che governavano da una piccola città collinare, con un modesto palazzo e un santuario reale” e dunque il resoconto biblico narrato nel libro di Giosuè sulla conquista di Canaan, quella terra promessa dalla divinità al patriarca Abramo, è piuttosto un manifesto ideologico dell’autore/deuteronomista che un evento storico accaduto alla fine dell’età del bronzo. Perfino i racconti biblici su Davide e Salomone, afferma Finkelstein, sarebbero in parte mitizzati e idealizzati rispetto alla realtà storica. In definitiva, secondo i due studiosi, molte storie bibliche potrebbero essere state scritte in epoca successiva (VII secolo a.C.) per rafforzare l’identità e le ambizioni politiche di Giuda, idealizzando un passato glorioso per legittimare il regno.
Dunque nessun puntello storico ma una semplice proto-propaganda politica che, non trovando riscontro nelle evidenze archeologiche, ha costretto Yuval Gadot, archeologo presso la Tel Aviv University, a dover confermare che la Gerusalemme del X secolo a.C. è un “vuoto archeologico” e che tutti i reperti trovati e risalenti a quel periodo potrebbero stare dentro una scatola di scarpe.
Dunque dobbiamo concludere che la Bibbia è sì un testo sicuramente importante nel suo essere fondante di tutte le culture e le società giudaico-cristiane; un testo che ha plasmato la storia e il destino del mondo occidentale per secoli, ma pur sempre un testo non attendibile dal punto di vista storico e scientifico.
In definitiva un testo non “rivelato” bensì mitologico, non dissimile dall’Iliade e dall’Odissea; scritti da esseri umani per altri esseri umani.
Sotto quest’ottica nulla quaestio sull’utilizzo dei brani in chiave valoriale positiva.
Mi spiego meglio; è lecito estrapolare dalla Bibbia (ma anche dall’Iliade o dall’Odissea) valori positivi quali il coraggio, l’amicizia, il sacrificio, l’onestà del non rubare e del non uccidere. In sintesi, tutti quei valori che aiutano gli esseri umani a convivere meglio e in pace fra loro.
D’altro canto, appare ovvio a tutti che nel 2025 nessuno sano di mente andrebbe a utilizzare in chiave emulativa i passaggi biblici che incentivano l’incesto (Lot e le sue figlie – Genesi 50), oppure indulgenti verso il sacrificio umano (Iefte e l’olocausto della figlia – Giudici 11:30-40).
Alla stessa maniera, e specificatamente alla luce dell’inattendibilità archeologico-storica dei racconti biblici afferenti la terra promessa, diventa criminale nel 2025 estrapolare i passaggi che inneggiano alla guerra, alla deportazione e al pelecidio, così come descritto in Numeri (33:52-53) “caccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e distruggerete tutte le loro alture (le loro città n.d.r.). Prenderete possesso del paese e in esso vi stabilirete, perché io vi ho dato il paese in proprietà.”.
Appare ovvio anche al più fervente devoto che il testo qui sopra altro non è che un inno al genocidio che mal si concilia con i valori occidentali coevi. Per non parlare dell’aperta violazione a qualsiasi normativa internazionale. Con questo non si vuole dire che qualcuno in Israele, o fuori Israele, non creda veramente al mito del libro rivelato e della promessa ivi riportata (soprattutto se ci guadagna una seconda casa a condizioni molto convenienti … ma questo lo approfondiremo successivamente).
Ma quello che dobbiamo capire è che il fatto che qualcuno sventoli un libro per giustificare il pelecidio non rende quel reato accettabile o condonabile.
Quello che dovremmo fare, a mio avviso, è ricolonizzare il parlato e tornare a chiamare le cose con il loro nome. Ad esempio, com’è che chiamavamo, fino a pochi anni fa, quell’uomo o donna che in nome della sua religione compiva atti atroci su persone da lui ritenute “infedeli”?
Fanatico, estremista religioso, integralista? Terrorista? Questa è la lessicografia. Ed è sicuramente molto più scientificamente spendibile di qualsiasi racconto biblico.
Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf