L’anniversario dell’assassinio da parte dei fascisti (su richiesta di Mussolini) del deputato socialista Giacomo Matteotti, ha riportato all’attenzione dei media anche l’analogo assassinio di don Minzoni (su indicazione di Italo Balbo) . Entrambi provenivano dalla bassa pianura padana dove i fascisti, finanziati dagli agrari, erano più feroci.

Su don Minzoni consigliamo la lettura del testo su Wikipedia, che contiene una accurata ricostruzione della sua vita ed anche una segnalazione dei video realizzati su di lui (anche due filmati della RAI negli anni 70).

Riportiamo anche alcuni passi di un recentissimo e documentato articolo di ‘Avvenire’.

‘L’affaire don Minzoni. L’uomo, le inchieste, i processi ‘ (Franco Angeli, pagine 298, euro 33,00),un libro di Andrea Baravelli e Paolo Veronesi, dell’Università di Ferrara, restituisce a don Giovanni Minzoni il ruolo storico che gli spetta, inquadrandolo nel contesto politico della Bassa Pianura Padana, dove lo squadrismo agrario fascista imperversò sotto la guida di Italo Balbo, uno dei più sanguinosi capi fascisti.

Nato a Ravenna nel 1885, Minzoni studiò negli anni in cui si affermava il modernismo, che recepì soprattutto attraverso la lezione di Romolo Murri, indirizzando il proprio sacerdozio verso l’azione sociale e politica.
Dal 1910 alla morte operò sempre ad Argenta, un grosso comune emiliano in provincia di Ferrara e diocesi di Ravenna, prima come cappellano e poi come parroco.
Animato da un forte patriottismo, ma senza eccessi nazionalistici, fu cappellano nella Prima guerra mondiale e si guadagnò una medaglia d’argento.
Nel 1919 tornò ad Argenta e divenne subito il perno di numerose iniziative sociali – cooperative agricole, biblioteca, doposcuola, teatro parrocchiale – che ottennero largo seguito.
Aderì al Partito popolare di Sturzo, e individuò nello scoutismo cattolico lo strumento educativo più idoneo per mobilitare l’elemento giovanile.
In questo modo si contrappose prima ai socialisti e subito dopo ai fascisti. Lo scontro con questi ultimi, che nell’Argentano esibivano il volto peggiore dello squadrismo agrario lo espose ben presto al rischio di ritorsioni e anche di aggressioni. (…)
Quando ad Argenta fu assassinato il sindacalista socialista Natale Gaiba (maggio 1921), fu solo la voce di don Minzoni a farsi interprete dell’orrore di tutta la cittadinanza.
Il prete divenne così da un lato il vindice della giustizia violata e dall’altro il nuovo bersaglio della violenza squadrista.
Così la sera del 21 giugno del 1923 due individui lo aggredirono alle spalle, mentre camminava per strada con un amico.
Il colpo di bastone che lo colpì alla testa fu talmente forte da sfondargli il cranio e provocare la morte del prete dopo poco.
Ad armare gli assassini ( su indicazione scritta di Italo Balbo, anche dello strumento di uccisione, il bastone ) non fu soltanto la loro protervia ma anche l’isolamento di Minzoni dai vertici cattolici locali, largamente acquiescenti al fascismo: il vescovo di Ravenna, Antonio Lega, non sentì l’elementare dovere di presiedere la cerimonia funebre.
L’inchiesta giudiziaria sull’assassinio non arrivò a nessun risultato. A permettere di riaprire il caso fu l’anno seguente il clamore suscitato dal delitto Matteotti.
Nella crisi che inizialmente parve quasi travolgere il governo trovarono spazio e coraggio i giornali antifascisti. “La voce repubblicana” riparlò della morte di Minzoni, facendo espressamente il nome di Italo Balbo.
Grazie a questa sentenza e anche all’impegno di un altro giornale, “Il Popolo” di Giuseppe Donati, il caso Minzoni dovette essere riaperto e arrivare a processo nel 1925.
Ma il fascismo aveva ripreso il controllo della situazione.
Stavano uscendo le leggi cosiddette “fascistissime” che smantellavano lo Stato di diritto e gli imputati, cioè mandanti ed esecutori del delitto, tutti appartenenti al peggiore squadrismo locale, chiaramente individuati, andarono assolti.
Saranno condannati per omicidio preterintenzionale nel 1947, quando il precedente processo fu annullato e ricelebrato a Ferrara a carico degli esecutori dell’assassinio, ancora in vita, ma subito scarcerati per la sopravvenuta amnistia.
Baravelli e Veronesi hanno il merito di ripercorrere tutta questa vicenda presentando finalmente Giovanni Minzoni senza abbellimenti, sullo sfondo della vicenda ecclesiale, storica e giudiziaria che lo vide protagonista.
Ne esce un personaggio lineare, che pagò consapevolmente con la vita il suo impegno civile e religioso, andando molto oltre il recinto dei credenti.