Da tempo sul nostro pianeta sono in atto due grandi guerre globali.

La prima viene combattuta dagli uomini (o meglio dalle loro oligarchie) contro la Natura, per estirpare alla Terra le sue risorse, con la continua distruzione delle foreste e l’inquinamento dei mari, dell’acqua e dell’aria, bruciando il carbone, il petrolio, il gas, sottratti alla crosta terrestre, innescando l’effetto serra, lo scioglimento dei ghiacciai e la conseguente crisi climatica, di cui già iniziamo a subire gli effetti devastanti.

La seconda è quella per il dominio dei territori, delle loro risorse e dei loro mercati, e viene combattuta dagli Stati, ma anche dalle grandi aziende multinazionali e dai potentati finanziari. L’oscuro intreccio fra questi crea il circolo vizioso fra l’industria delle armi e la guerra: l’una alimenta l’altra.

Che queste due grandi guerre siano fra loro intimamente connesse è un fatto. Dagli effetti dei bombardamenti nei lunghi periodi sui terreni colpiti, ai conflitti che nascono per gli interessi dei capitali internazionali, interessati al gas, ai diamanti, al litio e ad altri minerali, la guerra alla Terra coincide con la guerra fra esseri umani.

Voglio farvi ora solo un piccolo esempio, che ci riporta alla Sardegna, dove tra Domusnovas e Iglesias, è stanziata la fabbrica di armamenti della RWM Italia, succursale della multinazionale tedesca Rheinmetal.

Dopo aver contribuito, con la sua produzione di bombe, ad uccidere numerosi civili in Yemen, questa fabbrica costruisce, oltre a proiettili per artiglieria e bombe, anche droni-killer che colpiscono in medio oriente, avendo da tempo siglato un accordo commerciale in materia con Israele. Questa azienda d’armi, i cui ampliamenti irregolari erano stati bocciati dal Consiglio di Stato, tira avanti dritta, con noncuranza e arroganza.

L’industria di armamenti, ringalluzzita dalla disastrosa situazione internazionale che, paradossalmente, per lei risulta essere ridente, cerca di produrre al massimo e scavalcare anche gli ostacoli legali. Recentemente ha fatto richiesta per nuovi lavori che dovrebbero “azzerare” l’alveo di alcuni torrenti che s’insinuano nei terreni interni e adiacenti, tutti confluenti nel Rio Figu, in una regione in cui s’alternano lunghi periodi di siccità e piogge torrenziali, che possono causare esondazioni e frane. Può sembrare ovvio che una fabbrica d’armi da guerra se ne freghi altamente di poter causare disastri ambientali, in quanto la morte è la sua “mission”, mai palesata, ma implicita.

In mancanza di un’adeguata sorveglianza ambientale da parte delle istituzioni, è la società civile sarda ad accollarsi questo compito. Così, nella prima settimana di aprile, numerose associazioni sarde e alcuni sindacati di base hanno inoltrato ufficialmente alla Direzione Generale dell’Agenzia regionale del Distretto idrografico della Sardegna, “un corposo documento, con relativi allegati grafici e relazioni tecniche, col quale chiedono all’Agenzia regionale di respingere la richiesta di cancellazione del reticolo idrografico dei corpi idrici interni alla proprietà RWM Italia”, come si legge nel loro comunicato, in cui viene specificato che la zona è considerata a rischio idrogeologico elevato.

Al di là di come andrà a finire anche questa storia, che va inserita nel conflitto da anni aperto tra l’azienda multinazionale delle armi ed i disarmisti ed antimilitaristi sardi, questo esempio ci riporta al fatale intreccio fra guerre e armi, ma anche al mortale connubio fra la devastazione del pianeta e delle altre specie viventi ed il massacro dei popoli sotto bandiere diverse, in guerre decise dai governi e dai potenti.