Si avvicina il 25 aprile che quest’anno, per varie ragioni, cade in un contesto a tinte fosche: la guerra mondiale “a pezzi”, come l’ha definita il Papa, da un momento all’altro rischia di degenerare in un conflitto globale, in particolare a causa della nuova drammatica fase del conflitto israelo-palestinese e la guerra in Ucraina; in più destre ed estreme destre di impronta xenofoba e razzista sono al governo in molti Paesi europei, a partire dal nostro, e anche in altri continenti.

Tutto ciò rende il tradizionale appuntamento una giornata carica di significati con varie implicazioni. Evento che negli ultimi anni, in alcune grandi città, ha visto salire la tensione per la presenza della Brigata Ebraica. E’ facile prevedere che i crimini commessi da Israele dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre, in cui molti hanno visto tutte le caratteristiche del genocidio, aumenterà ancora di più la tensione. Quindi può essere utile inquadrare tutta la vicenda dal punto di vista storico e capire quando e perché sono iniziate le contestazioni.

In questo senso ci può aiutare l’ottimo libro di Gianluca Fantoni “Storia della Brigata Ebraica” pubblicato da Einaudi due anni fa.

La Brigata Ebraica sbarca in Italia nell’autunno del 1944, quindi nella fase finale del conflitto, conta circa cinquemila soldati. Originariamente nel 1942, per iniziativa dei britannici, era nato il Palestine Regiment, che poteva contare sulla presenza di 1600 ebrei e 1200 palestinesi.

Due anni dopo i primi avrebbero dato vita alla Brigata, la quale non era formata esclusivamente da ebrei vista la presenza di un migliaio di militari britannici, in grado di garantire un livello militare adeguato per quanto riguardava la funzione di artiglieri e addetti alla comunicazione.

La Brigata, eccetto alcuni casi sporadici, non partecipò ad operazioni in prima linea.

La sua partecipazione fu sostanzialmente non particolarmente rilevante. Il numero dei componenti va confrontato con il contributo che migliaia di ebrei diedero nella lotta contro il nazifascismo, sia nelle formazioni partigiane che, soprattutto, negli eserciti regolari. Fantoni stima in un milione e mezzo il loro numero, in particolare nelle file russe.

Fu il movimento sionista, in particolare lo Yshuv, cioè la comunità già presente in Palestina dagli inizi del Novecento, a utilizzare la Brigata Ebraica ai fini della creazione del futuro Stato israeliano e anche ad esaltarne, alla fine della guerra, lo spirito combattente per contrastare l’immagine che la Shoah aveva dato degli ebrei, vittime dei nazisti senza reagire: immagine falsa visto che la successiva storiografia attesterà innumerevoli episodi di resistenza di vario genere, anche individuali, al di là della nota rivolta del ghetto di Varsavia.

E’ bene aggiungere che l’esperienza di ebrei e palestinesi che combatterono a fianco del Palestine Regiment è stata sottaciuta dalla propaganda sionista, perché controproducente a causa dell’immagine di collaborazione offerta tra i due popoli e in quanto contrastante con una visione della comunità palestinese e araba filo-naziste. Fantoni ricorda che a fronte dell’arruolamento nelle file britanniche di un numero non irrilevante di arabi (la stima oscilla tra i 12.000 e i 9.000) “furono molto pochi, forse nell’ordine di qualche centinaio, quelli che combatterono dalla parte dell’Asse”.

E dopo questi brevi cenni storici veniamo alla questione del 25 aprile.

Il casus belli accade a Milano nel 2004. Fino ad allora sia la Comunità israelitica che i ragazzi della Federazione Giovani Ebrei Italiani avevano sfilato nei cortei senza problemi, anzi come racconta nel volume Dario Romano “ricevevamo applausi da tutti, in quanto vittime della Shoah”. Appunto vittime…

Prosegue Romano: “Ma la cosa non mi convinceva, per ricordare lo sterminio era già stato istituito Il Giorno della Memoria. La liberazione doveva essere anche per gli ebrei un giorno di festa e di riscatto.” Da qui la proposta rivolta all’Associazione Amici di Israele di Milano di sfilare a nome della Brigata ebraica. Come rileva giustamente Fantoni, non si capiva che legame ci potesse essere tra i giovani ebrei milanesi e i soldati ebrei di allora, emigrati negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Peraltro anche se sicuramente una buona parte dei 4.000 componenti delle Brigata erano sionisti, non è improprio pensare che tra loro ci fosse anche chi non professava l’ideologia nazionalista. Fatto sta che si decise di portare in piazza la bandiera di Israele con la Stella di David, ignorando che per tanti fosse il simbolo di uno Stato che da decenni opprimeva un intero popolo, il quale nel 1948 era stato cacciato dalle proprie case. Si cercò di ovviare al problema cambiando il colore della stella dall’azzurro al giallo, per richiamare il noto simbolo imposto dai nazisti e dai fascisti. Ma l’accorgimento non cambiò le cose e da allora, soprattutto a Roma e Milano, si verificano accese contestazioni nei confronti della Brigata.

Da tempo sul 25 aprile ci sono due correnti di pensiero: c’è chi ritiene che dovrebbe essere circoscritto alla ricorrenza, cioè ricordare la Resistenza, i suoi valori, senza nessuna attualizzazione e chi invece ritiene, a mio avviso giustamente, che debba essere un momento in cui il concetto di “liberazione” sia messo in relazione con il contesto, sia nazionale che internazionale, per evitare qualunque “imbalsamazione” della data, per rendere sempre attuali i valori di libertà e di lotta contro qualunque oppressione e forma di fascismo e razzismo.

Detto questo, ritengo che le contestazioni messe in atto in questi anni nei confronti della Brigata, se così si può ancora chiamare visto che i veri componenti, con il trascorrere del tempo, sono pressoché scomparsi, siano sbagliate.

Se è vero che le Comunità ebraiche, intese come soggetto formale e istituzionale, in tutti questi anni hanno espresso un appoggio incondizionato, o quasi, nei confronti di Israele, in Italia da tempo sono attivi gruppi di ebrei che in particolare dopo la passeggiata di Sharon alla “spianata delle moschee”, si sono attivati, in sintonia con ciò che accadeva in altri Paesi occidentali, contro le politiche del governo israeliano di turno. Non hanno posizioni omogenee, tra loro c’è anche chi si professa sionista, ma sono accumunati dalla volontà di affermare un principio di pace (giusta) e dalla necessità di mettere fine ad un conflitto secolare.

Oltre a queste componenti organizzate, anche singoli rappresentanti del mondo culturale e dell’informazione di origine ebraica hanno fatto sentire la loro voce. In questi mesi ancora di più di fronte alla macelleria in atto a Gaza. Il gruppo che ha promosso l’appello “Mai indiferrenti. Voci ebraiche per la pace” sta dando continuità al proprio impegno, come mostra anche la recente iniziativa alla Casa della cultura di Milano. Indignazione e rabbia sono più che comprensibili, ma compito di ognuno e ognuna di noi dovrebbe essere quello di provare ad aprire contraddizioni, dubbi, anche in ambiti apparentemente arroccati su se stessi.

Inoltre la presenza della Brigata di fatto non ricorda solo il contributo, seppure modesto, come abbiamo visto (e anche strumentalizzato dal sionismo), di chi arrivò nel 1944, ma anche delle migliaia di ebrei che insieme a tanti e a tante combatterono con il nazifascismo, che oggi, in parte sotto mentite spoglie, è ben presente nelle nostre comunità. E contro il quale bisogna continuare a lottare, così come nei confronti di qualunque oppressione e razzismo ovunque si manifestino