Approvata la legge che consentirà l’apertura di atenei privati anche in Grecia. Continuano le lotte del movimento studentesco contro il processo di privatizzazione del servizio d’istruzione, che aveva resistito alle politiche di austerità imposte dall’UE e che – con le liberalizzazione volute dalla Troika – hanno distrutto le grandi reti pubbliche infrastrutturali, a cominciare da quella sanitaria

Dopo oltre due mesi di occupazioni, assemblee e cortei che hanno visto un’intera generazione di studenti prendersi le aule e le strade, l’8 marzo è stato approvato dal parlamento – con 159 voti favorevoli e 129 contrari – il disegno di legge che apre l’istruzione universitaria ai privati. Si tratta di un voto storico, che segna la fine del monopolio pubblico dell’università, che aveva resistito in Grecia fino ad oggi. Infatti, nel Paese ellenico, nonostante fossero presenti diversi college, scuole di formazione ed istituti di ricerca privati, nessun titolo di studio ottenuto privatamente era finora considerato legalmente equivalente alla laurea, conseguibile solo nell’università pubblica. Come ha più volte lamentato il Ministro dell’Istruzione Pierrakakis, la Grecia era rimasta, assieme a Cuba, “l’unico Paese al mondo a proibire le università non statali, che sono ammesse persino in Corea del Nord”.

Tutto ciò sembra assurdo se visto dall’Italia, dove non solo le università private si sono moltiplicate negli anni ed hanno acquisito un ruolo centrale per i loro legami con le élite economiche e politiche, ma anche dove l’università pubblica è stata ormai penetrata e svuotata dagli interessi e dagli attori privati. Un’università italiana sempre più organica al complesso militare-industriale, al servizio del mercato e della guerra, risvegliata negli ultimi mesi dalle mobilitazioni studentesche per la Palestina.

Non è la prima volta che un governo greco prova ad aprire la strada alla privatizzazione degli atenei, anzi si tratta dell’ennesimo tentativo, in particolare dallo scoppio della crisi economica del 2008. Tuttavia, da un lato l’articolo 16 della Costituzione – sancendo che “L’istruzione a livello universitario deve essere fornita esclusivamente da istituzioni di diritto pubblico” – era sembrata finora un argine legale invalicabile, dall’altro nessun governo recente era stato così politicamente forte nel Paese come il Mitsotakis 2, che oggi può permettersi di sfidare studenti e professorə sapendo che ne uscirà (almeno per ora) indenne. In effetti, la nuova legge sull’università ha diviso anche lə costituzionalistə, aprendo un dibattito sulla legalità della misura che non ha però impedito la sua approvazione, legittimata secondo lə consulenti legali del ministero alla luce del quadro normativo europeo, di fatto aggirando la Carta. Lo stesso articolo 16 non solo dovrebbe precludere l’esistenza di università private, ma stabilisce anche che “Tutti i greci hanno diritto all’istruzione gratuita, a tutti i livelli”. Infatti in Grecia non esistono tasse universitarie, per ogni insegnamento viene fornito gratuitamente almeno un libro ad ogni studente, ed anche il servizio mensa è gratuito per tuttə. Un sistema educativo quasi-socialista che negli ultimi quindici anni ha resistito – pur colpito da continui tagli, visto che la Grecia oggi spende solo il 7% del suo pil in istruzione, contro il 9% della media europea – all’attacco delle politiche di austerità, mentre venivano distrutti i servizi pubblici e favorita l’avanzata dei privati, dalla sanità alle infrastrutture, con la privatizzazione e la (s)vendita a stati e compagnie straniere di porti, aeroporti, ferrovie, pezzi di città, ecc.

Per l’istruzione si tratta con ogni probabilità dunque solo dell’inizio di una fase di cambiamenti e battaglie, che deve essere inscritta all’interno della più generale “modernizzazione” nazional-liberista del Paese promossa a suon di riforme dal governo di Nea Dimokratia, che punta ad archiviare definitivamente il decennio della crisi del debito ed allineare la Grecia agli “standard europei”. Modernizzazione che però significa smantellamento dei residui di stato sociale e di pubblica amministrazione, ed un’economia basata su turismo, investimenti esteri ed una ritrovata competitività fondata su salari bassi e meno tasse. In definitiva, Mitsotakis sta trasformando la Grecia in un attrattivo resort di lusso, pacificato nelle sue contraddizioni dallo stato di polizia, dedicato a ricchi europei ed americani, con i prezzi che aumentano e il lavoro che rimane povero.

La riforma dell’università mira, nelle intenzioni governative, ad attrarre nel Paese università straniere per “consentire ai giovani di frequentare le filiali di rinomate università internazionali senza la necessità di lasciare la loro patria” – come ha affermato Mitsotakis nella discussione in Aula. Per questo, sono previsti criteri agevolati per le prime venti università nelle classifiche globali, che potranno aprire una sede con un solo dipartimento invece dei tre richiesti come minimo dalla nuova legge. Il primo ministro ha infatti argomentato che l’apertura delle filiali di atenei privati non solo tratterrà gli oltre 40 mila studenti greci iscritti all’estero – la cui maggioranza studia nel Regno Unito e soprattutto, dopo la Brexit, a Cipro – ma attirerà anche moltə giovani europeə, facendo diventare la Grecia il maggior polo universitario del sud-est d’Europa. Tuttavia, sono proprio i figli della classe dirigente che solitamente si trasferiscono nelle più prestigiose e costose università anglosassoni – come Mitsotakis stesso, discendente di una lunga dinastia politica, laureato ad Harvard e con alle spalle una carriera nella finanza tra USA e Inghilterra. Al contrario, i problemi della maggioranza dellə 650 mila studenti non hanno molto a che fare con la scarsa competitività o attrattività degli atenei, ma con la mancanza di prospettive lavorative qualificate. Il tasso di disoccupazione giovanile è il più alto d’Europa, e con una laurea in tasca si è costrettə a lavorare per Deliveroo o per i call center a 800 euro al mese: è questo che spinge moltə giovani a cercare un futuro migliore fuori dalla Grecia, non lo scarso prestigio delle accademie.

L’8 marzo, mentre veniva approvata la nuova legge, decine di migliaia di persone manifestavano per le vie di Atene, in una giornata di convergenza tra il movimento femminista e quello studentesco. In piazza Syntagma, lə manifestanti rispondevano ai lacrimogeni, alle granate stordenti e alle violente cariche – in cui sono rimastə feritə otto studenti – con il lancio di pietre e molotov verso la polizia e il parlamento. Nonostante i feriti, migliaia di persone hanno deciso di rimanere e continuare a presidiare il palazzo parlamentare per ore e ore mentre la riforma veniva discussa. È solo l’ultimo atto di questi mesi di mobilitazione: per il giorno del voto sono arrivate nella capitale persone da tutta la Grecia, ma ogni giovedì a mezzogiorno le strade delle città elleniche sono state attraversate dalle manifestazioni studentesche. Per oltre due mesi 150 università sono state occupate in modo permanente, le lezioni sono state impedite, sospese, ed infine trasferite online dai dirigenti. Le proteste non sono riuscite a fermare l’approvazione della riforma, ma la lotta continua.

leggi integralmente il reportage di Giovanni Marenda su Global Project