Le donne birmane, con il loro coraggio e la loro forza, spazzeranno via la giunta militare, la sua dittatura genocida e la cultura misogina che la sorregge*_

«Prima abbiamo ucciso la madre, poi abbiamo trascinato sua figlia, una ragazza di 33 anni, a terra sotto la sua casa e con i miei compagni l’abbiamo violentata. a turno. Poi le abbiamo sparato al petto. Infine, visto che, nonostante il colpo di pistola non era ancora morta, le abbiamo tagliato la gola».

Questa è la testimonianza del sergente Kyaw Myo Oo, 205° battaglione di fanteria leggera della giunta birmana, filmata, dopo che era stato catturato dall’Arakan Army, che fa parte della resistenza birmana nello Stato Rakhine.

La tragica fine che spesso fanno le ragazze, quando i soldati della giunta birmana entrano nei villaggi, razziano, incendiano, stuprano le donne secondo i dettami dell’Operazione brucia tutto, uccidi tutti.

Altrettanto spesso oggi, moltissime ragazze, anche di appena 14 anni, rimangono vittime del traffico sessuale, finendo nei bordelli tailandesi.

Dal colpo di stato militare di tre anni fa, le donne birmane, di tutte le età e classi sociali, si oppongono con le unghie e con i denti alla violenta dittatura militare e alla cultura patriarcale che domina la società birmana e soprattutto la cultura dell’esercito birmano. Il 32° esercito al mondo. Una struttura, quella militare birmana, plasmata come una società feudale parallela al paese civile. I militari vivono in compound separati dal resto dei cittadini. Hanno le loro scuole, le loro università e accademie, i loro ospedali. Si sposano tra di loro e, soprattutto, controllano la politica e gestiscono una grossissima fetta dell’economia birmana in modo del tutto opaco e mafioso.

Dopo oltre sessanta anni di violenze sessuali e di genere e di altri crimini atroci, perpetrati dai regimi militari del Myanmar, le vittime e le sopravvissute di tali crimini stanno ancora aspettando giustizia. Il sistema giudiziario birmano è progettato per proteggere i colpevoli invece di consegnarli alla giustizia. Questa cultura dell’impunità ha lasciato alle sopravvissute poca o nessuna fiducia nel sistema giudiziario nazionale.

Bisogna ricordare che la costituzione militare del 2008 garantisce la cultura patriarcale e autoritaria. La costituzione prevede che i militari non possano essere condannati per la violazione dei diritti umani e i crimini passati e futuri. L’assenza delle donne da posizioni di potere ha permesso ai militari di mantenere il controllo. Ma nel decidere il colpo di stato militare, la giunta non ha capito che la società birmana del 2021 era diversa da quella del 1962, 1988, 1990, anni in cui vi sono state proteste di massa represse nel sangue.

Sindacalisti/e, donne. Generazione Z, medici, infermieri, lavoratrici del settore tessile abbigliamento, ferrovieri, portuali, tutti ormai connessi grazie agli smartphone, non hanno voluto abdicare a quel pezzo di libertà e democrazia, benché parziale, conquistata negli ultimi anni.

Le donne, spesso giovanissime, sono scese in piazza in tutto il paese, nonostante l’aumento delle violenze sessuali dirette specificatamente contro le donne attive politicamente.

I longyi delle donne come baluardo contro i militari e la misoginia della giunta

Nelle prigioni, a cui l’accesso umanitario viene negato, l’esercito e la polizia usano tattiche arbitrarie, arresti, torture, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali e violenza sessuale, compresi stupri, stupri di gruppo, minacce di stupro e penetrazione con oggetti e molestie sessuali e violenza contro individui transgender.

Dal colpo di stato ad oggi sono state arrestate 5.416 donne, di cui ancora in carcere 3.909. Molte sono lavoratrici o sindacaliste accusate di terrorismo. Tutte sono poverissime. Il sindacato birmano cerca di garantire loro un avvocato difensore e un minimo di assistenza finanziaria.

Ma sono gocce nel mare. Circa 400 di queste donne sono state già condannate. Alcune ad oltre 20 fino a 40 anni di carcere, tra cui la leader e Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, accusata strumentalmente di corruzione e altri crimini assurdi, e la regista di documentari Shin Daewe. 16 donne sono state condannate a morte. La giunta ha utilizzato l’accusa di alto tradimento, come disposizione legale più comune nei confronti dei politici; e la sezione 124 sull’incitamento alla rivolta, per accusare 398 donne. La giunta, per tenere tutte e tutti in carcere, ha inoltre vietato il pagamento della cauzione.

Un articolo di Radio Free Asia ha raccolto le voci di alcune ex detenute politiche che hanno denunciato come le donne in carcere per essersi opposte alla dittatura, vengono regolarmente molestate sessualmente dal personale carcerario con il pretesto di “controlli di sicurezza”.

«Abbiamo dovuto toglierci camicie, reggiseni e biancheria intima”, ha detto una di loro, aggiungendo che alle donne è stata data la biancheria intima della prigione e un sarong (longyi) per coprirsi il seno. «Hanno perquisito fisicamente i nostri corpi. Hanno effettuato una perquisizione manuale delle cavità corporee. Hanno esaminato manualmente la zona tra le cosce. Ci hanno anche strizzato i seni».

Una giovane donna che aveva protestato contro una perquisizione invasiva mentre aveva il ciclo, chiedendo che facessero un’eccezione, non è stata ascoltata.

«Non hanno accettato la sua richiesta e le hanno detto di togliersi la biancheria intima», ha detto l’ex detenuta. «La giovane si è vergognata perché c’erano delle macchie sul suo assorbente».

Durante gli scontri armati tra l’esercito con le sue milizie da un lato, e la resistenza birmana composta dalle organizzazioni etniche armate e dalle nuove Forze di Difesa Civile, le denunce di violenza sessuale sono aumentate drammaticamente.

Nonostante tutto questo le donne non demordono. Avevano cominciato a scendere in piazza subito dopo il golpe. Decine di migliaia di giovani lavoratrici delle zone industriali, in particolare delle fabbriche del tessile abbigliamento che all’epoca del colpo di stato arrivavano a circa 700.000, sono scese in piazza insieme alle studentesse, alle insegnanti, alle reginette dei concorsi di bellezza, ai medici, alle infermiere e alle ostetriche, per dire NO ai militari e alla cultura misogina e patriarcale. Avevano trasformato i loro reggiseni, gli slip e gli assorbenti macchiati di vernice rossa, in bandiere contro la cultura maschilista dell’esercito. Un messaggio dirompente. Avevano steso sulle strade i loro longyj, abiti che nessun uomo toccherebbe mai, per paura di perdere la virilità.

Poi dopo le prime manifestazioni pacifiche e oceaniche i militari hanno cominciato a sparare sulle folle. Così, la prima a cadere è stata Angel, una giovanissima manifestante di 19 anni. Era in una manifestazione e indossava una maglietta con scritto “Tutto andrà bene!”

Angel durante la manifestazione del 21 marzo 2021

Un proiettile l’aveva colpita alla testa mentre protestava contro il colpo di Stato. Un suo amico, Myat Thu, che era con lei quando è morta, ricorda il suo coraggio: «Lei si preoccupava sempre per gli altri. Ha preso in mano il candelotto di gas lacrimogeno lanciato dalla polizia e l’ha rilanciato indietro, poi ha rotto un tubo dell’acqua per permetterci di lavarci gli occhi irritati dal gas. Quando gli agenti hanno cominciato a sparare, mi ha detto di sedermi per non essere colpito». Migliaia di persone hanno partecipato ai suoi funerali. Si pensava che la giunta dovesse cedere, vista l’opposizione generale. Ma non è stato così. Nonostante gli scioperi che avevano paralizzato il paese e l’economia, nonostante i giovani della generazione Z che avevano assaggiato il profumo della libertà, i militari non si sono fermati. Anzi, a tre anni da quel febbraio terribile, i dati sono spaventosi. Oltre 900 bombardamenti in tutto il paese, 1400 attacchi di artiglieria hanno distrutto migliaia di villaggi, chiese, monasteri, ospedali, persino scuole. Oltre 2.6 milioni di rifugiati interni, prevalentemente donne e bambini, sopravvivono in condizioni di estrema precarietà nella giungla e nelle zone liberate. I giovani e ora sempre di più le giovani, vanno ad accrescere le file della resistenza armata che nel paese deve e può sconfiggere la giunta.

Dopo tre anni dalla cancellazione dei risultati delle elezioni democratiche, la giunta militare ha rinnovato per la quinta volta lo stato di emergenza, ha istituito la legge marziale in 61 township, tra cui le zone industriali, impedendo a chiunque di protestare, visto che sotto la legge marziale chi decide di protestare è giudicato da un tribunale militare, senza un avvocato difensore e senza diritto di appello, se non in caso di condanna a morte.

Le centinaia di migliaia di donne rifugiate nei campi profughi interni subisce ogni violazioni dei diritti umani e forti impatti negativi sulla salute riproduttiva.

La violenza di genere aumenta a causa della mancanza di spazi pubblici e di strutture sanitarie ad hoc.

«Non avevo mai messo i pantaloni in vita mia, prima di ora!» ha dichiarato ad Al-Jazeera una giovane insegnante ora nel Myaung Women Warriors.

«Le mani che fanno dondolare le amache dei bambini possono far parte della rivoluzione»: questo rivendicano le giovani donne che ora fanno parte della resistenza democratica. Una sfida titanica, contro una dittatura che si sta sfaldando per le continue diserzioni, nonostante Cina, Russia e India abbiano continuato a fornire armi e sostegno politico alla giunta.

Anche l’ASEAN si è mostrata in tutta la sua debolezza e non è riuscita a giocare un ruolo per promuovere una transizione verso la costruzione di un governo democratico e federale, senza i militari, come vorrebbero i birmani tutti.

Ora, grazie alla resistenza non violenta e a quella armata, la giunta sta perdendo pezzi. Migliaia sono le diserzioni a cui si cerca di porre riparo applicando una vecchia legge del 2010 rimasta sulla carta che impone la coscrizione obbligatoria di tutti i giovani e le giovani sopra i 18 anni. Si parla di 14 milioni di ragazzi e ragazze, che la giunta vuole reclutare per tentare di sopravvivere alla avanzata della resistenza, che ormai controlla oltre la metà del paese. Chi viene arrestato è condannato a tre anni di carcere, chi si nasconde ne rischia cinque, oltre ai tre del servizio obbligatorio. Tutto il paese è in subbuglio.

Decine di migliaia di giovani stanno cercando di fuggire, richiedendo il visto presso le ambasciate sovraffollate o intraprendendo viaggi pericolosi verso altri paesi limitrofi.

A Mandalay il 19 febbraio, due donne sono morte schiacciate davanti all’ufficio passaporti della giunta, mentre circa 5.000 giovani erano in coda per richiedere il passaporto per tentare di lasciare il paese. Altri giovani decidono di entrare in clandestinità e di andare a combattere contro la giunta militare.

Nello stato Rakhine questa catastrofe è particolarmente grave. Il 19 febbraio, la giunta ha arrestato circa 600 passeggeri in arrivo da Yangon negli aeroporti di Sittwe e Kyaukphyu. La giunta ha arrestato e reclutato con la forza centinaia di Rohingya nei campi per sfollati interni, oltre a minacciarli ha cercato di convincerli ad arruolarsi promettendogli la possibilità di libertà di movimento, denaro, riso o carte d’identità nazionali. Molti ricorderanno che le popolazioni Rohingya sono da anni senza cittadinanza e senza alcun diritto. Ora vengono presi di mira dagli autori del loro genocidio, per essere arruolati come scudi umani, dragamine umani e portatori, tra gli altri lavori forzati.

Cecilia Brighi è segretaria generale Associazione Italia-Birmania Insieme
[* ]  Italia-Birmania INSIEME sostiene finanziariamente e politicamente le organizzazioni sindacali e democratiche oggi in  clandestinità o in carcere, con programmi specifici, contro la legge marziale, le elezioni illegali, e a sostegno dei giovani e delle giovani che fuggono dalla coscrizione obbligatoria.
Per un dare sostegno all’organizzazione clicca su: wishraiser.com/italia-birmania-insieme  
fonte: QuestioneGiustizia