Il Parlamento Europeo mercoledì ha votato in maniera favorevole il Media Freedom Act, dando così il via libero definitivo alla promulgazione della nuova legislazione il cui scopo dovrebbe essere quello di proteggere i giornalisti e tutelare la libertà di stampa. Indipendenza editoriale, pubblicità, trasparenza, grandi piattaforme, sono tutte questioni trattate dalla legge europea che però mantiene una disposizione che rischia di compromettere gli scopi dello stesso Media Freedom Act. Infatti, nella norma è prevista la possibilità di utilizzo, da parte dei governi, di spyware nei confronti dei giornalisti – come anche dei loro contatti – nel caso in cui fossero sospettati di aver commesso “reati gravi”.

La nuova legge, il Media Freedom Actadottata mercoledì dal Parlamento Europeo con 464 voti a favore, 92 contrari e 65 astensioni, obbliga gli Stati membri a proteggere la libertà di stampa, l’indipendenza dei media e dei giornalisti da interferenze esterne, politiche o economiche. La relatrice della commissione per le libertà civili, Ramona Strugariu, ha dichiarato: «I giornalisti hanno ora un alleato, una serie di strumenti che li protegge, rafforza la loro indipendenza e li aiuta ad affrontare le sfide, le interferenze e le pressioni che spesso devono affrontare nel loro lavoro. Questo regolamento è una risposta a Orbán, Fico, Janša, Putin e a coloro che vogliono trasformare i media nei propri strumenti di propaganda o diffondere notizie false e destabilizzare le nostre democrazie. Nessun giornalista dovrebbe mai temere pressioni di alcun tipo quando fa il suo lavoro e informa i cittadini». Eppure, tra gli elementi contenuti nella nuova legislazione europea, permane la possibilità da parte dei governi di utilizzare spyware per controllare i giornalisti, e non solo.

Sebbene da un lato la legge stabilisca l’impossibilità da parte delle autorità di applicare spyware e altri dispositivi di spionaggio nei confronti del giornalista – e dei suoi contatti – con lo scopo di ottenere le sue fonti giornalistiche, al contempo, la legge prevede la possibilità del suo utilizzo nel caso di indagini per “reati gravi” punibili con una pena detentiva, previa autorizzazione da parte delle autorità giudiziarie. La norma specifica che, in questi casi, i soggetti avranno il diritto di essere informati dopo che la sorveglianza è avvenuta, potendo impugnarla in giudizio. Dunque, nel caso in cui ci sia un’indagine, un sospetto, di non meglio imprecisati “reati gravi” che prevedono pene detentive, agli apparati di sicurezza e controllo è concesso, previa autorizzazione giudiziaria, di spiare i giornalisti, i loro familiari, le redazioni in cui lavorano e addirittura i contatti occasionali dell’interessato, salvo poi doverli informare una volta che l’operazione di spionaggio è terminata. Non è chiaro se, nel caso, saranno informati anche tutti coloro che sono stati spiati collateralmente. Risulta alquanto strano prevedere la possibilità di simili strumenti di controllo quando già esistono leggi e regolamenti che ne consento l’utilizzo agli Stati nel corso delle indagini su possibili crimini, a prescindere dal fatto che sia sospettato o coinvolto un giornalista, un muratore, un imprenditore, un banchiere o un politico.

Di fatto, come aveva già notato lo scorso anno l’European Federation of Journalists durante le discussioni sulla legislazione, il rischio concreto è che le deroghe previste sull’utilizzo di sistemi di sorveglianza e spionaggio trasformino le tutele originariamente previste per i giornalisti in “gusci vuoti”. Queste possibilità di utilizzo di sistemi di spionaggio nei confronti dei giornalisti vanno infatti in controtendenza con lo scopo stesso della legislazione che, a parte questo, contiene dei caratteri innovativi importanti per la tutela della libertà di stampa, specie in materia di trasparenza e di indipendenza, così come per le disposizioni nei confronti dei grandi social media che non potranno godere più di quella libertà di censura (esplicita) di cui hanno goduto fino ad ora.

Da una parte dunque si fanno passi in avanti, dall’altra invece il rischio concreto è che le deroghe previste rendano vuote le protezioni previste per i giornalisti e per il loro libero svolgimento della professione.

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