“Inshallah a boy”, un film da vedere, punto.
Da diversi anni scrivo su Pressenza, ma non mi sono mai permesso di scrivere una “critica cinematografica”.
Infatti, questa non è una “critica”, è un semplice invito, un caloroso invito a vedere questo film.
Ho avuto la fortuna di assistervi in una proiezione speciale a Milano, domenica 10 marzo, alle 10 di mattina, una proiezione alla quale erano stati invitati ed invitate insegnanti milanesi. Sala piena, al termine, dicono, vi saranno il regista e un’attrice.
Non sapevo altro del film, se non il titolo e la provenienza (dal titolo chiaramente): il mondo arabo.
Vi assicuro, vi invito a non volerne sapere di più.
Vedere il trailer o leggere delle recensioni toglierebbe forza ad una storia che si snoda mirabilmente, che coglie di sorpresa il pubblico, che emoziona e fa partecipi.
Certo, si parla di mondo arabo, di società patriarcale, di condizione di dominio dei maschi. Ma riguarda solo il mondo arabo?
Mai come stamattina mi sono vergognato di essere uomo, il film colpisce nel segno, tutti e tutte. Tutti e tutte in un modo o nell’altro vi si riconoscono, fosse anche per la infinità di tipi di relazione che sono presenti nel film, compresa quella (per esempio a noi spesso vicina) di una giovane donna badante e la nonna, col Parkinson, assistita.
Ma oggi abbiamo avuto l’incredibile fortuna di vedere in carne ed ossa Amjad Al Rasheed (il giovane regista giordano, alla sua opera prima) e Mouna Hawa (la giovane attrice palestinese).
Eh già, questo lo posso dire, l’attrice, protagonista e colonna portante del film dalla prima scena all’ultima, è palestinese. E questo dice ancor di più.
A giorni sarà il 101esimo anniversario della nascita di Gianmaria Volontè. Che cosa fece grande quell’attore? Il fatto che l’attore e l’uomo fossero maledettamente vicini, che Volontè lottasse anche nella vita, che fosse immerso nei conflitti di piazza di quegli anni.
Così, questa attrice, nata in quel mondo dove le leggi scritte e non scritte sono ben radicate, lo ha subito e in quello tuttora lotta, difende i suoi diritti e quelli delle altre donne. Come può piangere così un’attrice se non ha sentito sulla sua pelle un dolore simile a quello che deve rappresentare, una rabbia, una forza che ha dovuto scovare dentro di sé, di giorno e di notte.
Così ha raccontato Mouna, descrivendo il coraggio che ha dovuto metterci per fare questo film, la sfida era dentro e fuori. Mouna, attrice palestinese con passaporto israeliano, abituata quindi a non trovar lavoro in Israele come nei paesi arabi…
Abbiamo parlato di loro due, perché erano coloro presenti in sala, e gli applausi in sala sono stati lunghi, intensi, partecipati. Ma è tutto il cast che è potente, trascinante, compresa la bimba di 7/8 anni che non sbaglia un’inquadratura (e ve lo dice un maestro elementare).
Al termine della proiezione le domande del pubblico sembravano non voler smettere, come dicessimo: non abbandonateci. Non lasciateci qui. Sì è vero, la “nostra società” sembra più avanti, ma se voi state risalendo la china e lottate con forza e coraggio, noi stiamo arretrando e rischiamo di incrociarci, come i treni a binario unico, a metà strada…
Insomma, andate, spendete i soldi per un film, e magari anche quelli dei mezzi pubblici per arrivarci e della babysitter se ne avete bisogno. Ne vale la pena. Vi assicuro che alla fine discuterete tra voi, e ne parlerete con chi non lo ha visto dicendo: “Andate, c’è ancora domani….”
Concludo citando un pezzo di una critica (piuttosto supponente come siamo noi, occidentali, e progressisti!) fatta a Cannes:”E il pubblico di mentalità liberale non avrà bisogno di essere convinto dal contenuto del film, come sempre, coloro che difficilmente lo vedranno sono quelli che ne hanno più bisogno.”
Io credo che ne abbiamo tutti e tutte bisogno, per quanto noi ci crediamo assolti, siamo per sempre coinvolti. Buona visione.