La rivoluzione bolivariana, il progetto di trasformazione sociale e politica di ispirazione bolivariana e di orientamento socialista che rappresenta una vera e propria “cifra” dell’odierno Venezuela e un elemento propulsore del cosiddetto “socialismo del XXI secolo”, compie venticinque anni. Dopo la sollevazione civico-militare del 4 febbraio 1992 e i successivi sviluppi degli anni a venire, con la vittoria alle elezioni presidenziali del 6 dicembre 1998 e il successivo insediamento alla presidenza del 2 febbraio 1999, esattamente 25 anni fa, si inaugura la lunga e importante vicenda politica, sociale e istituzionale, con Hugo Chávez, della trasformazione del Venezuela in senso rivoluzionario. Quali furono e quali sono i tratti caratteristici, distintivi, del processo?

Si trattava non solo di superare il sistema bloccato del “Patto di Punto Fijo”, che aveva caratterizzato la stagione storica e politica precedente, quella del Venezuela della IV repubblica, ma anche e finalmente di dare una risposta ai problemi irrisolti del Paese e garantire partecipazione, inclusione e giustizia sociale per le masse popolari venezuelane. Di conseguenza, non si trattava solo di definire un nuovo modello di Costituzione e di Stato, nella forma di una Repubblica bolivariana, all’insegna della parola d’ordine dell’istituzione di una V repubblica, ma anche di impostare una strategia per garantire i diritti economici e sociali della popolazione.  I tre elementi chiave del processo sarebbero dunque stati, e tuttora sono, la nazionalizzazione delle risorse fondamentali, a partire dal petrolio; l’utilizzo delle risorse così liberate per finanziare e sostenere programmi di inclusione sociale; l’avvio di un nuovo modello politico fondato sulla cosiddetta, originale, «democrazia partecipativa e protagonistica».

Il recupero della sovranità nella gestione delle risorse del Paese ha consentito la realizzazione dei progetti sociali che sono e restano tra le cifre caratterizzanti della rivoluzione bolivariana, al punto che, dal 1999 in avanti, i due terzi del bilancio nazionale sono stati destinati, direttamente o indirettamente, agli investimenti sociali. Il «sistema integrato di giustizia sociale» si sviluppa non attraverso programmi tradizionali di welfare state, o di “stato sociale” di tipo occidentale, bensì in programmi che sono, al tempo stesso, di garanzia di diritti e servizi sociali e di partecipazione e mobilitazione popolare. Si tratta delle missioni bolivariane, tra cui le missioni “Barrio Adentro” (programmi di salute, prevenzione sanitaria e medicina preventiva); “Robinson” (programma di istruzione di base, che ha portato il tasso di alfabetizzazione quasi al 100% della popolazione, e grazie al quale oltre tre milioni di persone hanno imparato a leggere e scrivere); “Ribas” (programma di istruzione secondaria, grazie al quale un milione di studenti e studentesse ha avuto la possibilità di conseguire un diploma). Tra le maggiori missioni vi è poi la storica missione “Vivienda” per la costruzione e la consegna di nuovi alloggi: alla fine del 2023 è stata raggiunta la cifra, davvero rilevante, di 4.8 milioni di nuove case.

Le missioni bolivariane sono tuttavia solo un “pezzo” del sistema di partecipazione e di protezione sociale e sono state affiancate da nuovi strumenti anche in relazione alla guerra economica che il Paese sta subendo, con le sanzioni economiche, unilaterali e illegittime, imposte dagli Stati Uniti. La nascita dei CLAP (Comitati locali di approvvigionamento e di produzione) ha provveduto ai bisogni alimentari di più di 7.5 milioni di famiglie in tutto il Paese; la cifra è indicativa dell’impatto e della gravità della guerra economica scatenata contro il Venezuela. Basti pensare che sono in vigore ben 926 sanzioni coercitive unilaterali; il progetto sanzionatorio, che per la sua portata e i suoi effetti configura una vera e propria “guerra economica”, ha portato a perdite per il Venezuela che si stima ammontino a oltre 30 miliardi di dollari. Il tutto, come facilmente si comprende, con effetti pesantissimi, gravissimi, sulle condizioni materiali di esistenza della popolazione.

Il modello inaugurato dalla rivoluzione bolivariana nel 1999 va sotto il nome di «democrazia partecipativa e protagonistica»; è stato codificato nella nuova Costituzione bolivariana (2000); è stato e continua ad essere, per la sua originalità, oggetto di analisi e di studio in America Latina, in Europa e nel mondo. Si supera la configurazione tradizionale della separazione dei poteri, non più tre poteri, ma cinque poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario, elettorale e cittadino, che, nel complesso, definiscono l’articolazione del “potere popolare”. Si introduce poi un sistema articolato di potere a livello popolare, con l’istituzione dei Consejos Comunales e delle Comunas Socialistas, attraverso cui si sperimenta una forma di autogoverno popolare di massa: nei Consejos Comunales la comunità, riunita in assemblea, definisce le proprie istanze e i propri progetti.

Quanto alla proiezione internazionale, anche nel contesto delle guerre del nostro tempo, a partire dalla guerra per procura USA e NATO contro la Russia in Ucraina, il Venezuela ha confermato l’impianto di una “diplomazia bolivariana di pace”. Il Venezuela ha cioè fatto proprio il principio, martiano e bolivariano, dell’«equilibrio del mondo» e l’orientamento a un rinnovato multilateralismo e a un inedito mondo multipolare. Il principio guida (il «sogno di Bolívar») è il disegno dell’integrazione e della cooperazione reciproca e solidale a partire dalla “Patria Grande” latino-americana: l’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC), l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (ALBA, ispirata da Fidel Castro e Hugo Chávez e della quale ricorrono, quest’anno, i venti anni dalla sua istituzione nel 2004), la Banca del Sud, TeleSur, PetroCaribe ed altri. Non è certo un processo esente da contraddizioni o privo di battute d’arresto; ma per la prima volta ha risposto a bisogni di giustizia, inclusione e autodeterminazione.