Un potente simbolo dell’ordine di sicurezza globale guidato dagli Stati Uniti appare sempre più minacciato dal gruppo di ribelli yemeniti. La mancanza di una solida risposta internazionale ha messo a nudo una serie di vulnerabilità nel momento in cui gli Stati Uniti tentano di sostenere le rotte marittime mondiali dopo l’interruzione delle catene di approvvigionamento imposta dal COVID-19.

Il 30 dicembre 2023, la Maersk Hangzhou, che batte bandiera di Singapore e appartiene alla compagnia danese Maersk Line, ha subito un attacco missilistico e subito dopo navale da parte dei ribelli Houthi nel Mar Rosso. La Marina statunitense ha risposto utilizzando elicotteri per distruggere tre delle quattro navi utilizzate nell’assalto. La Maersk, la più grande compagnia di navigazione del mondo, ha immediatamente annunciato la sospensione a tempo indeterminato delle operazioni in quella area marina, unendosi alle principali compagnie di navigazione occidentali e alle compagnie energetiche nella decisione di modificare i percorsi delle loro navi, evitando quella regione.

Gli attacchi degli Houthi si sono verificati frequentemente dall’ottobre 2023, dopo che il movimento aveva dichiarato di voler prendere di mira le navi associate a Israele. In risposta, il 18 dicembre Washington ha annunciato una task force per combattere gli attacchi, l’Operazione Prosperity Guardian, e ha imposto sanzioni alle reti di finanziamento degli Houthi, principalmente legate all’Iran. Ma la difficoltà di mettere in sicurezza le strette acque del Mar Rosso e la strozzatura del Canale di Suez hanno messo a nudo la fragilità del trasporto marittimo globale, con un calo stimato del 20% del traffico navale attraverso il Mar Rosso nel dicembre 2023. Il traffico giornaliero di navi porta-container attraverso il Canale di Suez si è nel frattempo dimezzato all’inizio di gennaio 2024, rispetto all’anno precedente.

Le ripercussioni dovute a questo dirottamento del trasporto marittimo si fanno già sentire a livello globale, con le tariffe dei cargo oceanici ormai alle stelle dall’inizio degli attacchi. All’inizio di gennaio, la società di logistica Freightos ha riferito che le tariffe per il trasporto Asia-Nord Europa erano più che raddoppiate, superando i 4.000 dollari per container da 12 metri. A metà gennaio, il costo della spedizione di un container da 7 metri dall’India all’Europa e alla costa orientale degli Stati Uniti era cresciuto da 600 a 1.500 dollari. Ad aggravare l’onere finanziario, si prevedono supplementi che vanno dai 500 ai 2.700 dollari per container, e anche le tariffe per le spedizioni dall’Asia al Nord America hanno subito significativi aumenti.

Per chi osa la navigazione nel Mar Rosso, i premi assicurativi sono più che triplicati, passando dallo 0,2% allo 0,7% del valore della nave per ogni viaggio. Sebbene i consumatori non abbiano ancora sentito il peso dell’aumento dei prezzi, incombe lo spettro dell’inflazione nelle prossime settimane. Il già previsto effetto-domino evoca le conseguenze del disastro della Ever Given nel 2021, quando una nave si arenò nel Canale di Suez per sei giorni, con un impatto talmente duraturo da riverberarsi per mesi.

L’imperativo per gli Stati Uniti di controllare le minacce al trasporto marittimo è sottolineato dal loro impegno in termini di stabilità economica globale, essendo il commercio internazionale dominato dal dollaro e in considerazione dell’influenza che ne deriva sia per gli alleati che per gli avversari. La possibilità di garantire o compromettere la sicurezza dei movimenti di merci e navi militari di altri Paesi garantisce la capacità di Washington di applicare blocchi e sanzioni economiche, nonché di rispondere rapidamente alle crisi globali e combattere il terrorismo e la criminalità organizzata.

Nonostante le difficoltà nel mantenere la propria influenza, gli Stati Uniti hanno già affrontato con successo le minacce al trasporto marittimo globale. Protezioni multilaterali come le Combined Maritime Forces, cui aderiscono decine di Paesi sotto il comando degli Stati Uniti, monitorano il Medio Oriente, e una  task force come la Combined Task Force 151 (CTF-151), creata nel 2009, ha affrontato con successo minacce specifiche come la pirateria somala.

Dal 2015, gli Houthi hanno preso di mira a intermittenza le navi nel Mar Rosso, ma dall’ottobre 2023 la loro sempre più sostenuta campagna ha sollevato parecchi dubbi circa la capacità dell’esercito statunitense di salvaguardare la navigazione. Operando al largo dello Yemen, gli Houthi impiegano un mix di missili, radar, elicotteri, piccole imbarcazioni e droni poco costosi, e per il fatto di non disporre di infrastrutture sostanziali che possano essere neutralizzate, rappresentano un’indubbia sfida. L’uso da parte della Marina degli Stati Uniti di missili da 2 milioni di dollari per intercettare droni da 2.000 dollari aumenta le preoccupazioni sull’efficacia della risposta in termini di costi.

Potendo contare sull’aiuto logistico iraniano e motivati dal più fermo impegno per la causa palestinese, gli Houthi hanno incontrato una resistenza minima da parte dei Paesi della regione che esitano a inasprire le tensioni. Dopo otto anni di campagna in Yemen, la stessa Arabia Saudita si è ritirata dal Paese e nel 2022 ha avviato colloqui di pace con gli Houthi. A parte il piccolo Bahrein, i partner locali degli Stati Uniti si sono astenuti dall’aderire all’Operazione Prosperity Guardian per paura di essere accusati di sostenere Israele. Anche l’Egitto, che sta subendo perdite notevoli nelle entrate derivanti dal transito attraverso il Canale di Suez, ha scelto di rimanere in disparte.

L’incapacità dell’esercito saudita di sconfiggere le forze Houthi nell’ultimo decennio, sebbene dotato di moderne armi occidentali e affidandosi ai raid aerei e agli attacchi dei droni, suggerisce che il solo intervento efficace nei loro confronti potrebbe essere un intervento di terra. Ma Washington non ha la determinazione né l’influenza necessarie per intraprendere un tale sforzo. Oltretutto alcuni alleati della NATO, tra cui Francia, Italia e Spagna, si sono ritirati dall’Operazione Prosperity Guardian per evitare di agire sotto il comando degli Stati Uniti, lasciando solo alcuni alleati storici come il Regno Unito e l’Australia – che ha inviato 11 militari nella regione ma nessuna nave.

Nel frattempo, altre significative potenze hanno condotto manovre indipendenti nella regione. Dopo aver rifiutato l’invito di Washington a partecipare all’Operazione Prosperity Guardian, la marina indiana ha iniziato le proprie operazioni nell’area. Anche la Cina ha rifiutato l’opportunità di unirsi alla coalizione multilaterale e ha preso le distanze dal messaggio statunitense sulla crisi, dispiegando le proprie navi militari nella regione.

L’incapacità di scoraggiare gli Houthi ispirerà altri a mettere alla prova la volontà di Washington di difendere le rotte di navigazione aperte. Dopo un calo significativo negli ultimi anni, la pirateria somala è aumentata nel 2023. Anche il Sud-est asiatico ha visto un costante aumento della pirateria negli ultimi anni e si teme che gli incidenti possano continuare ad aumentare con gli Stati Uniti distratti in Medio Oriente. Inoltre, l’Iran ha già sequestrato navi occidentali in navigazione nella regione e nel dicembre 2023 è stato accusato dal Pentagono di aver usato un drone per attaccare una nave cisterna per il trasporto di sostanze chimiche nell’Oceano Indiano.

Gli attacchi e le conseguenze del conflitto hanno ripercussioni che vanno ben oltre il commercio regionale. Nel dicembre 2023, la Malesia ha chiuso i suoi porti alle navi israeliane, mentre le azioni russe nel Mar Nero hanno ulteriormente disturbato la navigazione internazionale. Inoltre, la situazione potrebbe avere un impatto sulle esercitazioni per la libertà di navigazione a livello globale. L’inasprimento delle tensioni e l’escalation della Cina nel Mar Cinese Meridionale e a Taiwan hanno suscitato le preoccupazioni degli Stati Uniti, al punto da tenere impegnati i funzionari della difesa di Washington e di Pechino, per una due giorni di colloqui all’inizio di gennaio in vista delle recenti elezioni a Taiwan.

La Russia, la Cina e l’Iran vedono con favore le difficoltà degli Stati Uniti per mantenere il controllo delle rotte marittime a causa della minaccia Houthi, considerandola un’opportunità per sfruttare la posizione di Washington a livello globale. Tuttavia, soprattutto nel caso della Cina, hanno anche beneficiato della stabilità che questo sistema ha fornito al commercio globale, e le rotte alternative praticabili per il commercio d’oltremare restano poco sviluppate o non ancora testate.

In un simile caos, anche il Canale di Panama, altro snodo cruciale per il trasporto marittimo internazionale, deve affrontare le interruzioni dovute alla grave siccità che abbassa i livelli dell’acqua. Poiché solo un numero limitato di navi riesce a transitare, la supervisione di Washington nel garantire il flusso ininterrotto delle rotte marittime globali appare più precaria di quanto sia stata negli ultimi decenni. Mentre sono sul tavolo varie opzioni, come i convogli militari in continuazione e l’aumento delle compagnie private di sicurezza marittima, la chiusura del Canale di Suez per otto anni dopo la guerra arabo-israeliana del 1967 rimane un inquietante promemoria circa la posta in gioco.

Mentre Washington tenta di bilanciare il controllo con il rischio di un’escalation, gli Houthi hanno evidenziato la resilienza dell’influenza di attori non statali nella geopolitica del XXI secolo, nel quadro di crescente competizione tra grandi potenze. La situazione è diventata l’ultima cartina di tornasole dell’impegno di Washington nel preservare l’accesso alle rotte marittime globali, sebbene si stia orientando verso politiche economiche di friendshoring e reshoring che incoraggiano il commercio via terra e la produzione in Nord America.

Con l’avvicinarsi delle elezioni del 2024 e il perdurare dell’impatto delle politiche “America First” coniate da Trump, la salvaguardia delle rotte marittime globali potrebbe emergere come un tema centrale nelle prossime elezioni. Insieme alle sfide senza precedenti poste dagli Houthi, la creazione di una risposta efficace e decisiva contro la minaccia sui mari si è finora dimostrata difficile per l’Amministrazione Biden. I bombardamenti aerei statunitensi e britannici in corso contro gli Houthi non hanno impedito ulteriori attacchi alla navigazione. Più tempo ci vorrà per rispondere in modo efficace, maggiore sarà la minaccia per il futuro dell’attuale situazione delle catene di approvvigionamento globali e della capacità statunitense di dominare le rotte marittime del mondo.

Di John P. Ruehl

Questo articolo è stato prodotto da Globetrotter.

Traduzione dall’inglese di Daniela Bezzi. Revisione di Thomas Schmid.


John P. Ruehl è un giornalista australiano-americano che vive a Washington, D.C., ed è corrispondente di affari mondiali per l’Independent Media Institute. È redattore di Strategic Policy e collaboratore di numerose altre pubblicazioni di affari esteri. Il suo libro, Budget Superpower: How Russia Challenges the West With an Economy Smaller Than Texas’, è stato pubblicato nel dicembre 2022.