In vista della Giornata Internazionale della Solidarietà (20 Dicembre), può essere di qualche utilità condividere, allacciando i nessi tra solidarietà, inclusione e costruzione della pace, alcune delle riflessioni emerse tra i panel della recente Conferenza UNESCO sul Patrimonio culturale nel XXI secolo, tenuta a Napoli lo scorso novembre e di cui Pressenza ha offerto ampia copertura stampa. Tra i panel, in particolare, per quello che riguarda lo specifico del nesso tra solidarietà, inclusione sociale e costruzione della pace, la sessione n. 5, dedicata al «Patrimonio culturale in tempi di conflitto: promuovere prevenzione e costruzione della pace» (Cultural Heritage in times of conflict: Fostering prevention and peace building). L’asse portante del panel è rappresentato dal ruolo della cultura e del patrimonio culturale, materiale e immateriale, per la costruzione della pace («culture for peacebuilding»): non solo ricostruire i luoghi della cultura segnati dalla guerra, ma anche ripristinare i legami sociali che consentono di rendere l’ambiente sociale e culturale circostante vivo.

Come ha ricordato Omar Mohammed, storico, docente a Sciences Po, quando inizia la guerra, la prima cosa che accade è che le parti in conflitto abbandonano o dimenticano il senso dell’umanità. Per questo, è di fondamentale importanza il «racconto delle storie»: non solo custodire la memoria, ma anche raccontare le storie dell’altro e degli altri. Nel tempo della guerra, il principale evento simbolico che la guerra porta con sé sul piano culturale è la distruzione di quelli che possono essere tra i più significativi luoghi della cultura e luoghi simbolici; d’altra parte, la stessa distruzione dei luoghi pubblici e di aggregazione impedisce alle persone di incontrarsi e unirsi, alimentando, viceversa, uno degli scopi della guerra, quello di rompere legami e creare barriere tra le persone. Tra le conseguenze, vi è il fatto che le persone perdono la connessione con il patrimonio culturale in tutte le sue forme ed espressioni (beni culturali e luoghi culturali) del luogo stesso.

Ecco perché la cultura è importante nei processi di costruzione della pace. La cultura permette di ricostruire ciò che è stato distrutto, di alimentare la comunicazione, la parola e quindi la relazione tra le persone, e di ridare speranza. L’intervento sul patrimonio culturale in contesti di crisi e di conflitto non deve riguardare solo l’emergenza, ma anche la prospettiva, nei confronti delle generazioni future, perché il recupero post-conflitto, sia nel senso della ricostruzione materiale sia in quello della ricomposizione sociale, è un processo lungo e complesso, che richiede un cambiamento di mentalità e di visione. Procedendo sulla medesima falsariga, Annie Tohmé-Tabet, antropologa e docente presso la Saint Joseph University, Beirut, ha sottolineato che il principale impatto negativo che la guerra esercita sul patrimonio culturale è racchiuso in una parola: «distruzione». Generalmente si pensa alla distruzione dei monumenti, ma c’è anche la distruzione della cultura, della saggezza e delle memorie dei popoli, quindi la distruzione delle relazioni umane e del tessuto sociale, poi ancora la distruzione del patrimonio economico, delle attività culturali e creative, delle arti e dell’artigianato. Tutte queste «distruzioni» contribuiscono all’instabilità e allo spaesamento, allo smarrimento delle storie delle persone e del contatto con i luoghi. La vita stessa finisce per essere assorbita nella polarità tra «tempo con» e «tempo senza» i bombardamenti, il tempo della guerra e delle sue conseguenze.

E tuttavia nella cultura è possibile trovare una delle risposte. Il patrimonio culturale (immateriale) è lì per trovare soluzioni, per manifestare ed esprimere creatività, e la creatività è ciò che è necessario per superare il conflitto, per immaginare alternative, per ricostruire la vita, proprio perché il patrimonio immateriale è il complesso delle espressioni culturali, immagini, soluzioni, pratiche e manifestazioni di carattere artistico e culturale e di valore storico e culturale che conferiscono senso e pienezza alla vita. Come ha ricordato anche Oluwatoyin Sogbesan, fondatrice e direttrice della Àsà Heritage Africa Foundation, l’impatto della guerra sul patrimonio culturale materiale e immateriale, in definitiva, è il vuoto, la perdita di arte e cultura, l’oblio delle storie e delle memorie, la mancanza di istruzione e di salute, la mancanza di economia e di società a qualsiasi livello. Il ruolo del patrimonio culturale nella costruzione della pace è esattamente il contrario, dare pienezza, in tutti gli ambiti, riattivare l’economia e la socialità, ripristinare l’arte e la cultura, le storie e le memorie.

Cosa ha a che fare tutto questo con la ricorrenza della Giornata Internazionale della Solidarietà? Molto, a ben vedere. Come ricordano le Nazioni Unite, infatti, la Giornata è anche l’occasione per celebrare la nostra «unità nella diversità»; per ricordare ai governi di rispettare gli impegni assunti con gli accordi internazionali; per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della solidarietà; per incoraggiare il dibattito sulle modalità di promozione della solidarietà per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile,  e per incoraggiare nuove iniziative per il raggiungimento degli Obiettivi stessi, tra i quali è appena il caso di richiamare, in questa sede, il n. 1 dedicato allo sradicamento della povertà; il n. 8 dedicato al lavoro dignitoso e alla crescita economica; il n. 10 dedicato alla riduzione delle diseguaglianze; il n. 11 dedicato alle città sostenibili; il n. 16 dedicato alla pace, giustizia e istituzioni solide: «accesso alla giustizia per tutti e tutte, costruzione di istituzioni solide a tutti i livelli», costruzione della pace con giustizia sociale e «tutti i diritti umani per tutti e per tutte».