A fine ottobre, dopo un mese e mezzo di scioperi, uno dopo l’altro in 6 giorni erano stati stipulati dal sindacato United Auto Workers (UAW) accordi (assai simili tra loro) per il rinnovo dei contratti di lavoro con le 3 Grandi dell’auto (General Motors GM, Ford e Stellantis). Tali contratti, applicati a 146.000 lavoratori, sono stati ora approvati con un consenso assai diverso tra Ford e Stellantis – dove più di 2/3 dei votanti ha votato SI – e GM, dove mercoledì scorso la ratifica pareva messa in discussione.

Facendo un passo indietro, la riuscita degli scioperi via via proclamati è risultata essere fondamentale per la chiusura di una vertenza che si preannunciava difficile e che ha sùbito acquisito una centralità sociale, istituzionale, economica ben superiore al numero dei lavoratori coinvolti, decimati da decenni di dismissioni di impianti produttivi.

Qualcuno ha contestato la non attuazione di uno sciopero generale di tutti i lavoratori coinvolti nel rinnovo contrattuale (alla firma di tutti e 3 i contratti erano 45.500 gli operai progressivamente coinvolti ai picchetti), ma non si può sottovalutare il fatto che alcuni lavoratori, i primi ad entrare in sciopero, erano senza stipendio dal 15 settembre, se non per l’importo di 500 dollari a settimana versato dal Sindacato a chi scioperava. E le risorse sindacali non sono illimitate.

Il rinnovo dei contratti UAW è avvenuto in un contesto turbolento, caratterizzato sommariamente da molteplici fattori: transizione all’auto elettrica, finanziata dal governo federale senza garanzie occupazionali; chiusura progressiva di storici stabilimenti di veicoli a benzina e relativo impoverimento delle comunità che vivevano di quel lavoro; aumento del costo della vita; lotta tra Biden e Trump per conquistare i voti di comunità di zone industriali fondamentali per il risultato elettorale delle elezioni presidenziali; gestione delle trattative da parte di una nuova dirigenza sindacale che ha sostituito col voto degli iscritti quella azzoppata dal caso delle tangenti di Marchionne e dai “contratti di restituzione” delle conquiste collettive dei decenni precedenti; approccio contemporaneo della trattativa con tutte e 3 le aziende auto; scioperi progressivamente incrementati a seconda dell’atteggiamento più o meno disponibile delle singole imprese nel tavolo di confronto; insultanti introiti di amministratori delegati e dirigenti aziendali e bassi salari della manodopera da poco assunta.

Grandi erano le aspettative dei lavoratori, indotte da quanto sopra, che hanno condizionato in questi giorni il voto sui risultati dei 146.000 addetti auto che avevano condiviso una piattaforma contrattuale ambiziosa, a partire dalla richiesta di un aumento economico del 40% (calcolato sulla base delle perdite pregresse), che aveva scandalizzato i dirigenti delle 3 grandi dell’auto. I quali risulta avessero telefonato ad agosto al Presidente degli USA per chiedergli un’opinione, se non un intervento sul Sindacato. Ma Biden li aveva delusi, comparendo a Detroit a confermare la giustezza dell’aumento richiesto, a fianco degli operai impegnati in un picchetto.

Nella piattaforma erano inoltre presenti: l’applicazione del contratto a tutti gli stabilimenti per veicoli elettrici attuali e futuri, il ripristino di COLA (il collegamento tra retribuzioni ed inflazione), l’abolizione per i neo assunti del livello discriminatorio in materia di retribuzione e coperture sanitarie/previdenziali, la riduzione dell’orario settimanale e 32 ore pagate 40 (abbattendo l’attuale orario infarcito di straordinari facoltativi e obbligatori e i sabati lavorativi), ecc.

Su tutti questi argomenti, i risultati sono stati variegati. Innanzituttto, l’aumento di salario è stato mediamente del 25% in quattro anni e mezzo, di cui l’11% alla ratifica. Ma del 150% per i lavoratori temporanei, del 37% per le retribuzioni apicali e del 68% per quelle iniziali. Cioè un aumento minore di quanto richiesto ma orientato verso le retribuzioni più basse. E che non riesce, al netto dell’inflazione, a recuperare più di tanto le perdite di potere d’acquisto che gli operai con maggiore anzianità avevano subito nel ventennio in cui era assente l’adeguamento automatico del salario all’aumento del costo della vita. Per molti l’aumento immediato dell’11% sarebbe stato “astronomico” se non fosse avvenuto dopo un lungo periodo di perdite salariali (da ciò la richiesta di piattaforma di un incremento del 40% del salario).

Nei contratti stipulati è previsto anche il ritorno di una forma di “scala mobile”, il passaggio al contratto a tempo indeterminato dei lavoratori temporanei, la cui paga passa da 17 a 25 dollari all’ora e la stabilità per i futuri temporanei dopo 90 giorni, l’applicazione del contratto anche alle attuali e alle future aziende per la produzione di auto elettriche (ma non è chiaro se per tutte). E anche un “bonus a sorpresa”, ottenuto solo da Stellantis e GM, le ultime due imprese a firmare l’accordo, di 110 dollari al giorno di picchetto (negli stabilimenti che sono stati in sciopero nella vertenza).

Del tutto dimenticata la richiesta diminuzione dell’orario a 32 ore pagate 40 per recuperare tempo di vita per la famiglia e per i propri interessi: nell’accordo c’è solo un giorno di ferie in più e 80 ore di cure parentali. Una richiesta di drastica riduzione dell’orario che contrastava forse la tendenza di molti lavoratori a fare straordinari volontari ricorrenti, che si aggiungono a quelli obbligatori imposti in alcuni impianti e che portano talvolta a raggiungere le 60 ore settimanali.

Concluso il confronto con le aziende, alcuni lavoratori, di fronte alla difficoltà di leggersi le solite centinaia di pagine del contratto e i relativi allegati e scambi di lettere tra le Parti, fors’anche infastiditi dal trionfalismo sindacale, dei media, di Biden, non hanno fatto fatica a trovare obiettivi non raggiunti in parte o del tutto. Un fattore imprevisto nei commenti all’accordo dei grandi giornali non solo statunitensi, che non avevano previsto un voto così diversificato tra la risicata maggioranza che ha approvato il contratto stipulato in GM e quella solida in Stellantis e Ford.

Il voto negativo in GM sembrerebbe riguardare gli operai, soprattutto quelli dei grandi stabilimenti, con una storia di motivato dissenso sui contratti che avevano dovuto trangugiare da parte della precedente leadership sindacale, anche ma non solamente nelle fase di crisi finanziaria delle 3 imprese alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Operai che pretendevano dalla nuova dirigenza, appena votata, quel “contratto record”, che compensasse interamente il periodo di magra. E di cui Shawn Fain, il nuovo presidente UAW, ha spesso parlato nelle sue, seguitissime, conversazioni settimanali in diretta Facebook in cui spiegava dettagliatamente l’andamento del confronto (una grande novità di trasparenza rispetto alle precedenti trattative) e indicava le fabbriche che dovevano aggiungersi allo sciopero. In alcuni casi, come alla Toledo Jeep di Stellantis, i dirigenti di stabilimento hanno persino concesso di fermare le linee di produzione per guardare le dirette.

Il dissenso che si è manifestato soprattutto in GM non si può addebitare ai poco diffusi gruppi di base che hanno dato un’indicazione negativa di voto. Nemmeno forse alla mancata indicazione positiva di voto dei lavoratori che fanno riferimento al caucus (la tendenza interna al sindacato) di Unite All Workers for Democracy, che è stata una delle principali sostenitrici della candidatura, poi rivelatasi vincente, di Shawn Fain a presidente del Sindacato con una maggioranza di suoi sostenitori nella direzione nazionale di UAW.

La predominanza del voto negativo è stato un fenomeno soprattutto dei grandi stabilimenti.

In GM ha votato il 78 % dei 46.000 operai e il SI’ ha raggiunto il 54,7% (53,2% tra i lavoratori in produzione). GM è l’azienda con maggior presenza percentuale di lavoratori ad alta anzianità e hanno votato a maggioranza per il NO 7 degli 11 stabilimenti di assemblaggio. Da quello storico di Flint, dove hanno votato 3.000 operai, di cui il 53% per il NO, a quello di Fort Wayne (più di 3.000 lavoratori, di cui il 63% per il NO). L’accordo è stato “salvato” dal grande stabilimento di Arlington, che produce il 30% dei profitti della GM. Coinvolto nell’ultima fase dello sciopero, esso ha nei fatti garantito la vittoria in GM col suo 60% dei SI’ sui 3000 votanti). Hanno votato SI anche dalle tante piccole strutture come i magazzini ricambi.

In Stellantis hanno votato in 26.000 e il sì ha raggiunto il 68%. Contrario, tra i grandi impianti, solo il 55% degli operai di Jeep Toledo.

Alla Ford solo il 54% dei 3.600 lavoratori dello stabilimento Kentucky Truck Plant, il più grande dell’azienda, ha votato NO ma il 68% dei 35.000 votanti ha approvato.

Se il NO avesse prevalso in un’azienda, le trattative avrebbero dovuto riprendere con essa. Come è successo ad inizio di autunno, fuori dall’ambito delle 3 grandi, quando i 3.900 lavoratori della Mack Trucks, di proprietà della Volvo, avevano rifiutato un accordo provvisorio sul proprio specifico contratto, hanno scioperato ed ora l’hanno accettato con piccole modifiche.

I nuovi contratti con GM, Ford e Stellantis hanno tutti il 30 aprile 2028 come data di scadenza. Il primo maggio seguente sarà la data (fatidica) d’inizio degli scioperi se non dovesse esser trovata prima un’intesa per il rinnovo. Ciò non a caso: il presidente di UAW, Fain, ha invitato i Sindacati di tutto il Paese ad allineare le scadenze dei contratti a quella data in modo da iniziare collettivamente gli scioperi: “Se vogliamo davvero affrontare la classe dei miliardari e ricostruire l’economia in modo che inizi a lavorare a beneficio di molti e non di pochi, allora è importante non solo scioperare, ma colpire insieme”.

Tornando ad oggi, sarà da vedere come avverrà l’applicazione delle norme fissate dall’intesa e anche e soprattutto quale sarà l’atteggiamento delle 3 Grandi sull’argomento fondamentale della riconversione progressiva degli stabilimenti che oggi producono auto a benzina in fabbriche di veicoli elettrici o della realizzazioni di nuovi stabilimenti ad hoc.

Le prossime lotte contrattuali di UAW saranno negli stabilimenti finora non sindacalizzati dei marchi asiatici: Toyota, Honda e Hyundai. Quest’ultima ha immediatamente annunciato un aumento del 25% delle retribuzioni entro il 2028 (come ottenuto col contratto delle 3 grandi).

Ma la grande madre di tutte le vertenza sarà probabilmente nei 4 stabilimenti statunitensi di Tesla, contro l’antisindacale Musk che paga salari inferiori, ancor di più dopo questo rinnovo contrattuale, di quelli delle 3 Grandi. Alcuni lavoratori, dei 2.000 che vi lavorano, hanno già formato un comitato organizzatore con la UAW presso lo stabilimento di punta Tesla a Fremont, in California. Uno Stato fortemente sindacalizzato, i cui numerosi scioperi, avvenuti o in corso in questi ultimi anni, possono essere l’ambiente ideale per la nascita del sindacato anche in Tesla.

Fonti principali:

S.Pizzigati, UAW win has global significance, People’s World, 9.11

K.B.Brown, Auto Workers Debate Contracts: Tall Gains, Taller Expectations, Labor Notes, 10.11

N.Scheiber, Union Workers Back Contract Deals at 3 Big Automakers, New York Times, 16.11

https://uaw.org/