Pressenza ripubblica, in 10 capitoli, il dossier «Palestina: la pace passa attraverso il diritto» pubblicato nel luglio 2022 da ritimo.

Questo dossier viene pubblicato «in un contesto di recrudescenza della violenza tra palestinesi e israeliani. Per controbilanciare le narrazioni spesso manipolate che spopolano nei principali media, noi di ritimo abbiamo valutato opportuno diffondere ancora una volta il nostro dossier, pubblicato nel luglio 2022, ma che resta di stretta attualità:  «Palestina: la pace passa attraverso il diritto», che dimostra come la pace nella regione non può fare a meno del riconoscimento del popolo palestinese, del suo diritto all’autodeterminazione e alla parità di diritti. […] Questo dossier dimostra come la sola via per una pace giusta e duratura sia l’applicazione del diritto internazionale».

Ecco il capitolo n.1 (Introduzione):

Alle origini di un interminabile conflitto

Il «conflitto israelo-palestinese», che presuppone una potenza occupante e un popolo occupato, potrà mai avere una fine? Per rispondere a questa domanda e porre le basi di una soluzione giusta e duratura, è fondamentale ripercorrere il corso della storia, tornando alle origini del conflitto alla fine del XIX secolo [1].

Dalla pubblicazione di «Lo Stato degli ebrei» di Theodor Herzl, nel 1897, fino agli annunci del Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sul progetto di annessione della Cisgiordania occupata, la tragedia vissuta dal popolo palestinese continua. Nell’estensione del colonialismo occidentale del XIX secolo, in particolare del colonialismo britannico, e delle persecuzioni nell’Europa dell’Est, il movimento sionista [2] ha immaginato il popolamento di una «propria patria», in Palestina, per tutti gli ebrei del pianeta.

Ed ecco che nel 1948 i palestinesi hanno subito la «Nakba» – la «catastrofe» in arabo – con la creazione dello Stato di Israele sul suolo palestinese e l’avvio di un lungo processo di espropriazione e di espulsioni. Da allora, i dirigenti sionisti non hanno mai voluto condividere la terra di Palestina con gli abitanti storici né hanno mai smesso di accaparrarsi la terra, di cacciarli dal loro Paese e di installare popolazioni di confessione ebraica originarie di altri Paesi.

Questo processo, che ha accompagnato la creazione dello Stato di Israele nel 1948, prosegue a suon di offensive militari e violenze perpetuate contro le popolazioni locali. Si consolida con la creazione di nuove colonie protette dall’esercito e da numerosi muri di separazione, mai denunciati dal diritto internazionale. A partire dalla guerra di conquista del 1967, sono quasi 662.000 gli ebrei installati nelle colonie in Cisgiordania (ribattezzate Giudea-Samaria) e intorno a Gerusalemme [3].

L’apartheid di Stato

La Legge fondamentale [4], che definisce Israele come «lo Stato-nazione del popolo ebreo», adottata dal Parlamento israeliano (Knesset) il 19 luglio 2018, istituisce due categorie di cittadini: da un lato gli ebrei e dall’altro tutti gli altri. Numerose sono le disposizioni di questo testo che violano i diritti fondamentali di circa 1,8 milioni di cittadini non ebrei (circa il 20% della popolazione), tra cui l’importante «minoranza» araba. Tale legge priva l’arabo dello status di lingua ufficiale e istituisce l’ebraico come unica lingua dello Stato di Israele. Per quanto riguarda la nazionalità, il matrimonio, l’accesso al mondo del lavoro, le concessioni edilizie, ecc., i cittadini palestinesi sono discriminati dalle giurisdizioni civili e militari israeliane.

Nei territori occupati [5] (che oggi contano 2,5 milioni di palestinesi in Cisgiordania e 2 milioni nella Striscia di Gaza), l’esercito israeliano e la giurisdizione militare controllano la terra, l’acqua, gli spostamenti e le condizioni di lavoro dei palestinesi, i quali non hanno diritto al salario minimo né agli orari di lavoro dei cittadini israeliani.

Un apartheid rafforzato [6]

Richard Falk (relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Palestina dal 2008 al 2017) e Virginia Tilley, nel loro rapporto per la Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l’Asia occidentale (CESAO), giudicano l’insieme di pratiche che Israele mette in atto nei confronti del popolo palestinese come «regime di apartheid», in base a un’argomentazione che fa riferimento al corpus di diritto e di principi internazionali in materia di diritti umani. Tale rapporto analizza i metodi messi in campo per controllare l’intera popolazione palestinese, in funzione dei luoghi di residenza. Esso giunge alla conclusione che Israele mantiene un regime di apartheid per mezzo di una frammentazione geografica, dove vengono applicati metodi di amministrazione differenti, che mirano a dividere e a controllare i palestinesi:

  • I palestinesi cittadini di Israele: le leggi limitano la loro capacità di ottenere diritti paritari a quelli dei cittadini ebrei.
  • I palestinesi di Gerusalemme est: la loro condizione di residenti permanenti (status di uno straniero in possesso di visto permanente) mantiene le discriminazioni nei loro confronti, costringendoli a una certa precarietà.
  • I palestinesi in territorio occupato (Cisgiordania e Gaza) sono sottoposti a un regime giuridico militare specifico. In Cisgiordania, i coloni godono di una particolare legislazione.
  • I rifugiati e gli esiliati palestinesi non hanno il permesso di tornare nella loro madrepatria, in Palestina (ovvero tutto il territorio palestinese sotto mandato britannico e attualmente sotto il controllo diretto di Israele).
    Dal 2010 al 2012, i quattro giurì del Tribunale Russell per la Palestina  [7] hanno analizzato questo regime di dominazione e lo hanno considerato apartheid, secondo i criteri stabiliti dal diritto internazionale e dalle Nazioni Unite [8].
    Il muro costruito dal 2002 per 700 km (presentato da Israele come una linea di sicurezza) e le strade riservate ai soli israeliani che, percorrendo i Territori occupati, separano e isolano le comunità palestinesi tra loro, sconvolgono la loro quotidianità.

A Gaza la situazione è catastrofica e i diritti fondamentali dei palestinesi non vengono rispettati dalla potenza occupante. Questa striscia di terra, stretta tra il mare e il deserto, diventa una grande prigione a causa del blocco militare imposto da Israele dalle elezioni palestinesi del 2006 – un blocco al contempo aereo, marittimo e terrestre. I bombardamenti della popolazione civile, che non risparmiano scuole e ospedali, sono frequenti.

Il silenzio della comunità internazionale e l’impunità di Israele

Lo Stato di Israele, sebbene membro dell’ONU dal 1949, non ha mai applicato una sola delle risoluzioni di questo organismo internazionale, che regolarmente gli ricorda i propri obblighi, in quanto potenza occupante, nei confronti della popolazione palestinese rifugiata e occupata. Al contrario, Israele ha ostacolato la nascita dello Stato di Palestina dagli Accordi di Oslo del 1993. Sotto il patrocinio statunitense, questi accordi avrebbero portato alla creazione di uno Stato con, provvisoriamente durante il processo di negoziazione, un’Autorità palestinese eletta dai palestinesi. Dal fallimento dei negoziati, la società palestinese continua a essere privata del proprio diritto all’autodeterminazione e alla nazionalità. E le questioni fondamentali (frontiere, Gerusalemme, rientro dei rifugiati) sono occultate.

Lo Stato di Israele persegue una politica del fatto compiuto con il sostegno politico, militare ed economico delle grandi potenze, tra cui gli Stati Uniti, alcune ex potenze coloniali dell’UE e perfino alcuni Stati arabi.

Entrando nel gioco della «normalizzazione» ufficiale con Israele, i dirigenti di questi Stati arabi rompono con il Summit di Khartum e la politica storica araba dei tre «no» (no ai negoziati, no alla pace e no al riconoscimento di Israele). Questo atteggiamento non fa altro che isolare ancora di più i palestinesi sulla scena regionale e internazionale.
L’illegittimità dell’occupazione e dell’annessione, così come le violazioni dei diritti umani sono conosciute e largamente documentate tanto dalle istanze dell’ONU che da diverse ONG internazionali. Gli interessi economici e storici per gli Stati Uniti e l’Unione Europea in Medio Oriente spiegano l’impunità su cui può contare Israele.

Resistenza palestinese e movimenti di solidarietà

La resistenza civile e popolare palestinese non si è mai fermata. Essa affronta coraggiosamente una potenza militare enorme, che può contare su mezzi finanziari colossali e sulle migliori tecnologie di sicurezza. Dall’appello delle ONG palestinesi del 4 luglio 2005 [9], si è sviluppata grazie alla campagna Boycott Désinvestissement Sanctions (BDS) [10], che trae ispirazione da quella applicata al Sudafrica all’epoca dell’apartheid. La campagna BDS è appoggiata da numerose personalità e associazioni di solidarietà nel mondo. Le mobilitazioni cittadine fuori dalla Palestina chiedono lo stop all’impunità di cui godono i governi israeliani successivi, chiedendo in particolare:

  • la sospensione dell’accordo di associazione tra l’Unione Europea e Israele, che favorisce l’economia militare-industriale del Paese e delle proprie colonie (accordo di associazione, accordo di cooperazione scientifica e tecnologica, ecc.)
  • l’annullamento delle condizioni imposte dall’Unione Europea rispetto all’aiuto fornito alle ONG palestinesi, considerate organizzazioni terroristiche.

La pace sarà possibile solo applicando il diritto

L’unica via possibile per una pace giusta e duratura è l’applicazione del diritto internazionale, che deve mettere fine a uno degli ultimi colonialismi del XXI secolo. A tal proposito, è necessario:

  • il riconoscimento dello Stato di Palestina con la propria capitale, Gerusalemme Est, secondo la linea di armistizio del 1949
  • l’applicazione delle risoluzioni Onu, in particolare l’articolo 11 della risoluzione 194 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, adottata l’11 dicembre 1948 sul rientro dei rifugiati [11]
  • il rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti umani. Si tratta del riconoscimento del popolo palestinese sul proprio territorio, del suo diritto all’autodeterminazione e alla legittimità dei suoi diritti, che consentiranno la costruzione pacifica delle società palestinesi e israeliane.

Note

[1] Vedi la cronologia e le opere citate nella bibliografia (ICI1ICI2ICI3) di questo dossier.

[2] Movimento politico ebreo, in origine laico e socialista, divenuto colonialista e religioso.

[3] Le mappe della Palestina fino al 2020 mostrano chiaramente l’azione di smembramento territoriale e di sparizione della Palestina e dei palestinesi dal 1947.

[4] Le leggi fondamentali di Israele sono dei testi a carattere costituzionale.

[5] Territori conquistati durante la guerra dei Sei Giorni, nel 1967.

[6] «Israeli Practices towards the Palestinian People and the Question of Apartheid». Rapporto di Richard Falk e Virginia Tilley del 15 marzo 2017 rimosso dal sito della CESAO su richiesta degli Stati Uniti e di Israele (https://www.aurdip.org/IMG/pdf/un_apartheid_report_15_march_english_final_.pdf). L’Associazione Francia Palestina Solidarietà (AFPS) e l’Associazione degli Universitari per il Rispetto del Diritto Internazionale in Palestina (AURDIP) lo hanno pubblicato in francese: http://www.aurdip.org/IMG/pdf/rapport_nu_fr.pdf.

[7] Tribunale internazionale di iniziativa popolare composto da personalità internazionali note per la loro integrità morale, sorrette da esperti giuristi specializzati in diritto internazionale; le conclusioni del Tribunale Russell 2013, www.ujfp.org

[8] Risoluzione 3068 XXVIII dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 30 novembre 1973.

[9] Appello della società civile palestinese del 2005: https://www.bdsfrance.org/qui-sommes-nous/appel-de-la-societe-civile-palestinienne/?print=pdf°

[10] La campagna BDS, creata in seguito all’appello di 171 organizzazioni della società civile palestinese del 4 luglio 2005, è condotta da un coordinamento internazionale che si batte in modo pacifico contro l’apartheid, la colonizzazione e a favore dei diritti dei palestinesi (https://www.bdsfrance.org/).

[11] Sulla risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1948, vedi http://monde.fil-info-france.com/resolution_194_assemblee_generale_onu_11_decembre_1948.htm et http://collectif69palestine.free.fr/spip.php?article706

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Traduzione dal francese di Ada De Micheli. Revisione di Thomas Schmid.

L’articolo originale può essere letto qui