Militarizzazione e corruzione, a caro prezzo, con centinaia di migliaia di persone in fuga: fenomeni interconnessi nel nord del Mozambico eldorado del gas naturale, secondo Daniel Ribeiro, attivista dell’ong locale Justica Ambiental, intervistato dall’agenzia Dire a margine di un incontro in Sala stampa estera.
Si parla di Cabo Delgado, provincia al confine con la Tanzania che custodisce nelle aree costiere e offshore giacimenti di idrocarburi tra i più promettenti al mondo sui quali stanno investendo multinazionali europee e americane.
Durante l’incontro, organizzato dalla Federazione degli organismi cristiani del servizio internazionale volontario (Focsiv) e dal Movimento Laudato sì, si evidenzia che nell’area le persone che hanno lasciato le loro case dal 2017 a seguito di assalti di gruppi armati e controffensive militari sono oltre 800mila su una popolazione complessiva di circa due milioni.
“Oggi la situazione è estremamente militarizzata” denuncia Ribeiro. “C’è l’esercito del Ruanda e ci sono unità di forze armate di altri Paesi della Sadc, la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe; i loro interventi si concentrano però tutti nell’area dei progetti estrattivi, dei quali si vuole garantire la sicurezza”.
Non sarebbero affrontate invece le cause degli squilibri sociali, secondo Justica Ambiental “legati alla perdita di mezzi di sussistenza, all’accaparramento di terre e a investimenti che non hanno beneficiato le persone accrescendo invece corruzione, oppressione e militarizzazione”.
È evocata la “maledizione delle risorse”. “In Mozambico e in Africa in genere esiste un legame tra la loro scoperta e nuovi conflitti” denuncia Ribeiro. “Non credo che il gas sia la ragione principale dell’instabilità e delle violenze ma è stato un grande amplificatore”. Secondo l’attivista, “in un Paese con leader e governo corrotti una nuova e improvvisa disponibilità di risorse può avere l’effetto di moltiplicare pratiche sbagliate, compresa quello dell’indebitamento pubblico, cresciuto a dismisura negli ultimi tempi sulla base di previsioni di introiti futuri”.
Starebbe accadendo anche questo, oggi, in Mozambico. Ribeiro lo dice soffermandosi su clausole contrattuali, citando accordi e menzionando la francese Total Energy o l’italiana Eni. “Le multinazionali si assicurano grandi vantaggi e lasciano poco al Mozambico, che potrà avere primi benefit solo tra dieci anni” la tesi dell’attivista. “C’è anche una limitazione della sovranità nazionale, perché le intese vietano al governo di Maputo di modificare le leggi in materia di oil & gas”.
Il tema è anche quello del “valore aggiunto”: resterebbe nella disponibilità delle multinazionali e di chi in Europa o in America controlla trasformazione, distribuzione e mercati, lasciando al Mozambico solo l’estrazione. Con Focsiv e il Movimento Laudato si’ ne parla anche Antonio Muagerene, rappresentante della Caritas diocesana della provincia di Nampula e della Conferenza episcopale mozambicana.
Il suo intervento è centrato sulle conseguenze umanitarie del conflitto, cominciato nel 2017 con gli assalti di gruppi identificati spesso come “Shabaab”, “giovani” in arabo, lo stesso nome di un movimento islamista radicato molto più a nord, in Somalia.
Cabo Delgado è una regione a maggioranza musulmana ma lo scontro, secondo Muagerene, non è religioso. “L’Onu calcola che le persone costrette a lasciare le proprie terre e i propri mezzi di sussistenza siano state oltre 800mila” sottolinea il rappresentante di Caritas. “Una parte di loro si è diretta nella parte sud di Cabo Delgado, mentre altri hanno raggiunto le province di Nampula e Nyasa, a volte percorrendo a piedi addirittura 700 chilometri”.
Secondo Muagerene, solo nella diocesi di Nampula sono arrivati 67mila profughi. “Nell’area c’è un unico centro di accoglienza, che ha appena 7mila posti” riferisce il rappresentante di Caritas: “Gli altri vivono in strada o nella boscaglia”.
In difficoltà sarebbe anche il sistema internazionale degli aiuti. “Tra il febbraio e il maggio scorso il Programma alimentare mondiale ha sospeso le distribuzioni di cibo a causa della mancanza di risorse” ricorda Muagerene. “A oggi solo tre persone sfollate su dieci hanno accesso all’assistenza fornita dalla Chiesa o da altre organizzazioni; e ci sono famiglie che hanno ospitato fino a 50 persone”.