Il tema delle relazioni e, in prospettiva, dei contenuti sociali del patrimonio culturale, è stato ampiamente sviluppato nel corso della seconda giornata dei lavori della Conferenza UNESCO sul Patrimonio Culturale per il XXI secolo (Naples Conference on Cultural Heritage in the 21st century), in corso di svolgimento presso il Palazzo Reale di Napoli fino al 29 novembre, e di cui Pressenza segue i lavori. La “dimensione di comunità” è stata infatti, tra gli altri, il tema guida della quarta sessione di lavoro svolta quest’oggi, 28 novembre, sul tema «Promuovere lo sviluppo di comunità attraverso la tutela e la salvaguardia del patrimonio culturale», moderata da Heba Aziz, docente di gestione del patrimonio culturale e del turismo sostenibile nella regione araba. Il tema dello sviluppo di comunità a partire dal patrimonio e in relazione alla tutela, gestione e promozione del patrimonio culturale, in tutte le sue espressioni, è un tema quanto mai attuale e complesso.

Da un lato, i suoi fondamenti possono essere rintracciati non solo nelle due Convenzioni che fanno da cornice allo svolgimento della Conferenza di Napoli, vale a dire la Convenzione sulla protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale del 1972 e la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003, ma anche nella importante Convenzione di Faro, la Convenzione Quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (2005). Dall’altro, la sua effettiva realizzazione non potrebbe darsi astraendo dal riferimento ai quadri normativi nazionali e internazionali o dalla forza, partecipazione, presenza, capacità e competenze della società civile, imponendo il tema dello sviluppo di comunità legato al patrimonio culturale, sia in termini di inclusione e partecipazione, sia in termini di competenze e empowerment.

La Convenzione di Faro fissa, come si accennava, alcuni riferimenti importanti sia nel senso, in generale, della definizione di un ruolo delle comunità degli abitanti e delle abitanti in relazione al patrimonio culturale, alla sua tutela e al suo sviluppo, sia nella direzione, più specifica, della formazione di vere e proprie «comunità di patrimonio». Essa specifica (art. 2) che «il patrimonio culturale è un insieme di risorse, ereditate dal passato, che le persone considerano […] come un riflesso e un’espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni in continua evoluzione; esso comprende tutti gli aspetti dell’ambiente derivati dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi»; definisce inoltre una comunità di patrimonio come un insieme di «persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, che desiderano, nel quadro dell’azione pubblica, mantenere e trasmettere alle generazioni future». Ricapitolando i presupposti storici dell’adozione delle due Convenzioni (1972 e 2003), Mounir Bouchenaki, esperto UNESCO, ha ricordato la campagna di messa in sicurezza dei due templi di Abu Simbel, il tempio del faraone Ramses II e il tempio di Nefertari, del 1960, e la messa in sicurezza del patrimonio culturale a seguito dell’alluvione di Firenze del 1966: i due grandi eventi che portarono al centro dell’attenzione mondiale non solo la questione della salvaguardia del patrimonio storico-culturale, ma anche il tema della necessaria cooperazione internazionale ai fini della tutela.

Il concetto di patrimonio culturale, anche alla luce di tali precedenti storici, doveva quindi essere integrato in quanto “mondiale” dal momento che beni, elementi, contenuti di «eccezionale valore universale» sotto il profilo storico, artistico, culturale, appartengono all’intera umanità. La loro perdita costituisce una perdita per l’umanità tutta, e impongono, di conseguenza, una speciale tutela e azioni di solidarietà e di cooperazione internazionale.

Tra gli anni Ottanta e Novanta vi è stato poi un più vasto movimento internazionale per affermare non solo l’importanza del patrimonio culturale mondiale, ma anche la specificità del patrimonio culturale intangibile, che si presenta attraverso espressioni, manifestazioni e pratiche culturali. La Convenzione del 2003 definisce, non a caso, il “patrimonio culturale immateriale” come «le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, i saperi […] che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale.

Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso di identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana». In esso è possibile riconoscere, pertanto, un elemento decisivo ai fini della memoria collettiva, della costruzione delle identità e delle comunità.

Il ruolo delle comunità resta quindi essenziale. Come ha segnalato Jane Thompson, esperta internazionale di gestione del patrimonio culturale (Instead Heritage), occorre sostenere un ambiente di tutela, salvaguardia e sviluppo del patrimonio che sia, al tempo stesso, fattore di capacitazione (empowerment), inclusione e partecipazione delle comunità locali, che sia quindi sostenibile a tutti gli effetti, sia sotto il profilo della pressione turistica, sia sotto il profilo, essenziale, della vita e del ruolo delle comunità degli/delle abitanti. Apparentemente univoca, si tratta viceversa di una sfida all’insegna della complessità. Come ha messo in evidenza Mirella Loda, docente di geografia sociale presso l’Università di Firenze, una comunità locale è sempre composta da una pluralità di comunità locali e, a sua volta, lo sviluppo delle comunità locali a partire dal patrimonio culturale è un processo complesso caratterizzato dalla presenza di molti attori e molti fattori.

Un esempio è stato offerto dalla relazione di Norov Urtnasan, presidente della Fondazione per la protezione del patrimonio culturale e naturale (Mongolia), in riferimento alle culture nomadiche della Mongolia, mentre Eva Lilia Martínez Ordóñez, dell’Istituto di Antropologia e Storia (IHAH) dell’Honduras ha richiamato il valore decisivo della partecipazione delle comunità locali in tutte le fasi delle politiche e delle azioni legate al patrimonio culturale. Non a caso, un approccio basato nella comunità è esplicitamente richiamato nella Convenzione del 2003 che riconosce, in premessa, che «le comunità, in modo particolare le comunità indigene, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui, svolgono un ruolo importante per la salvaguardia, la manutenzione e il ripristino del patrimonio immateriale contribuendo, in tal modo, ad arricchire la diversità culturale e la creatività umana».