È stata inaugurata oggi, 27 novembre, nella cornice monumentale del Palazzo Reale a Napoli, la Conferenza Internazionale dell’UNESCO dedicata allo sviluppo e alle prospettive del patrimonio culturale per il XXI secolo (Naples Conference on Cultural Heritage in the 21st Century). L’aspetto che più conta di questo importante appuntamento istituzionale, politico e culturale allo stesso tempo, è l’obiettivo: a cinquant’anni dal varo della Convenzione sul Patrimonio Mondiale del 1972 e nella ricorrenza del ventennale del varo della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale del 2003, la Conferenza di Napoli apre oggi uno spazio per il dialogo e il confronto tra gli attori del patrimonio culturale dei cinque continenti, al fine di esplorare le convergenze e le sinergie possibili, proprio alla luce delle indicazioni e delle prescrizioni fornite dalle due Convenzioni del 1972 e del 2003, nella preservazione, conservazione, tutela, nonché nella gestione e nella promozione del patrimonio culturale, in tutte le sue forme ed espressioni, di fronte alle sfide del XXI secolo.

La Conferenza trae ispirazione dalla recente Conferenza Internazionale sulle politiche culturali e lo sviluppo sostenibile del 2022 (MONDIACULT 2022), che ha posto al centro dell’attenzione globale il tema della cultura come «bene pubblico globale». Un’indicazione non poco esigente, soprattutto in termini di politiche pubbliche e in relazione al conseguimento di obiettivi di primaria importanza ai fini dello sviluppo e del progresso sul pianeta, che chiama le società civili e, in primo luogo, i decisori pubblici, a una responsabilità sempre più avvertita, per difendere le risorse del patrimonio, approfondire il ruolo della società civile nel potenziamento delle capacità e delle competenze e nella formazione di innovative «comunità di patrimonio», in linea con la Convenzione di Faro del 2005, e concretizzare politiche di gestione coerenti, contro fenomeni sempre più avvertiti ed aggressivi, dalla gentrificazione alla turistificazione, dalla perdita di identità e di valore, in conseguenza delle speculazioni economiche e degli impatti turistici, alla spoliazioni dei luoghi della cultura dalle loro risorse più importanti, la vitalità creativa e le relazioni solidali delle rispettive comunità degli/delle abitanti, sino alle conseguenze sul patrimonio legate agli impatti idrogeologici, climatici ed ecosistemici.

La scelta della città di Napoli come sede di svolgimento della conferenza, al di là della ricchezza e della vitalità del patrimonio universale da essa ospitato, acquisisce valore, politico e culturale, soprattutto in relazione alla connessione tra spazio culturale e spazio sociale delle relazioni: non è un caso, per dire, la motivazione della iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità (1995) del Centro Storico di Napoli «il cui tessuto urbano conserva una rappresentazione di elementi di spicco della sua lunga e ricca storia, espressa nel suo sistema viario, nella ricchezza di suoi edifici e dei suoi parchi storici, nella continuità di molte delle sue funzioni urbane e sociali, nella sua splendida collocazione sulla Baia di Napoli e nella continuità della sua stratificazione storica». È cioè una testimonianza esemplare della «doppia convergenza» dei valori patrimoniali: cultura e società da un lato (non vi sarebbe patrimonio culturale se non con la creatività, il lavoro e le relazioni dentro e attraverso le comunità dei cittadini/e); cultura e natura (in un vero e proprio continuum paesaggistico) dall’altro.

Diversi, tra gli interventi della prima sessione (“Promuovere un approccio olistico al patrimonio culturale: sinergie e complementarietà della Convenzione del Patrimonio Mondiale e della Convenzione del Patrimonio Culturale Immateriale”), hanno messo in risalto questi elementi. Alissandra Cummins, direttrice di Museum and Historical Society (Barbados), ha ricordato che le due Convenzioni (1972 e 2003) alludono ad un approccio trasversale e introducono contenuti al di là dello “specifico culturale”: fanno riferimento ai diritti umani; concorrono alle politiche e alle misure per lo sviluppo sostenibile; assegnano un ruolo di primo piano all’educazione. Da qui, anche, l’importanza del nesso tra cultural heritage e living heritage, patrimonio culturale e patrimonio vivente. Come segnalato da Emily Drani, già direttrice esecutiva e cofondatrice della Cross-Cultural Foundation (Uganda), la cultura è la base della “community narrative” (le narrazioni della e nella comunità), e anche in questo senso un bene del patrimonio non può essere visto e percepito isolato dal proprio contesto storico, antropico e paesaggistico: è necessario uno sguardo olistico al patrimonio, le dimensioni tangibile e intangibile, le sfere di cultura e natura, sono interdipendenti. Non solo non è immaginabile una compartimentalizzazione del patrimonio culturale, ma un tale approccio sarebbe perfino negativo ai fini delle politiche di gestione e tutela.

Nel suo intervento, Ming Chee Ang, Site Manager della George Town Heritage City (Malaysia), ha, non a caso, evidenziato che i contenuti fondamentali delle Convenzioni (1972 e 2003) riguardano non solo la cultura e il patrimonio culturale, ma, propriamente, la vita delle comunità: tali contenuti diventano particolarmente delicati e sensibili nei contesti multi-culturali, multi-linguistici e multi-religiosi, in contesti in cui diverse soggettività etniche e culturali possano percepire e vivere i luoghi e i beni della cultura come “propri”, nel senso, appunto, di una «appropriazione positiva». Il patrimonio culturale, d’altra parte, come segnalato da Ahmed Skounti, dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Scienze del Patrimonio (Marocco), non esiste “di per sé”, ma è una realizzazione delle persone, espressione, cioè, della creatività umana. Non diversamente, Britta Rudolff, Chair for Heritage Management (BTUI Cottbus-Senftenberg, Germania), ha evidenziato che lo sviluppo del patrimonio culturale costituisce un “community process”, un processo in itinere, una dinamica di comunità, basata nella creatività, e, in definitiva, nelle pratiche sociali e nelle relazioni sociali.