Nel suo libro MIR – Dialoghi sulla pace ai confini della guerra in Ucraina[1] l’antropologo culturale Francesco Vietti racconta i suoi ultimi viaggi in Moldavia tentando l’analisi del conflitto russo-ucraino da una regione di confine che da un lato consente considerazioni più meditate, dall’altro risulta sufficientemente vicina da essere significativa.

Vietti racconta sotto forma di dialogo il punto di vista delle persone con cui è venuto in contatto, con tutta la loro straripante umanità, inserite nel contesto in cui vivono e nel contesto internazionale: “attivisti moldavi, pacifisti russi, disertori ucraini, giovani della Transnistria, contadini che si ritrovano a gestire i campi di accoglienza per rifugiati”[2]. Ciascun racconto è occasione per approfondire temi fondamentali ed offrire un ampio inquadramento teorico nel trattarli: i confini, le migrazioni, la neutralità, il razzismo, la libertà, Il futuro.

Esemplificativa di questa attenzione verso i vissuti dei singoli in rapporto agli eventi macroscopici è il prologo la storia di Larissa che racconta il dolore di Larissa per non avere più un posto dove tornare, dopo aver passato una vita in giro per il mondo, perché la sua casa di famiglia a Doneck, casa in cui aveva investito parte dei suoi guadagni, è stata distrutta da un bombardamento. Il mondo dell’Unione Sovietica in cui è nata ed ha passato la gioventù non esiste più e nei conflitti del mondo nuovo non si riconosce.

“Quando a mia figlia è scaduto il passaporto è andata sia dagli ucraini che dai russi, e nessuno gliel’ha voluto rinnovare. Vai dagli altri, le hanno detto! Questa è la situazione di chi vive oggi nella mia città Doneck. Non siamo russi, non siamo ucraini, non siamo neanche più persone”[3]

Nei capitoli di approfondimento, Vietti tenta di definire un sistema di idee in grado di dare una prospettiva di pace per la regione e per il mondo e per far questo cita autori ed opere che giudica più adatti.

L’idea di desacralizzare i confini, che non si adattano quasi mail al vissuto dei popoli, a partire dalle intuizioni di Victor Hugo al Congresso per la Pace di Losanna (1869).

Le migrazioni, raccontate dall’antropologo e rifugiato iraniano Shahram Khosravi nel suo libro Io sono confine (Elèuthera 2019).

La definizione delle tre libertà fondamentali: la libertà di spostarsi, la libertà di disobbedire e la libertà di creare o trasformare i rapporti social. Definizione ispirata dall’opera del sociologo David Graeber e l’archeologo David Wengrow nel monumentale L’alba del tutto (Rizzoli 2022).

In sintesi, la lettura del libro consente di smontare la retorica del nemico, dei sacri confini, delle eccessive semplificazioni, descrivendo, attraverso le storie dei singoli, un’umanità complessa e multiforme, che non ha nessuna voglia di ridursi alle categorie semplificate necessarie alla retorica della guerra.

Del resto, la Moldavia è un crocevia storico dove si sono da sempre mescolate etnie, nazioni, culture che intersecano le esperienze individuali, le famiglie e le comunità: in tale mescolanza e nella sua intima resistenza alla retorica guerrafondaia si può riconoscere quella speranza di Pace di cui il mondo ha tanto bisogno in questi giorni confusi.

 

Francesco Vietti – antropologo culturale, insegna all’Università di Torino. Dal 2005 conduce ricerche etnografiche nei Balcani e in Europa orientale. Tra i suoi libri, Il paese delle badanti (Meltemi 2010, 2019), sulla migrazione moldava in Italia, e Hotel Albania. Viaggi, migrazioni, turismo (Carocci 2012).

 

[1] 2023 People www.peoplepub.it – ISBN 9791259791627

[2] Citazione della terza di copertina

[3] Rif. Pag. 13