Niscemi, Sicilia – 46 enormi antenne sono distribuite su un vasto tratto di campagna siciliana, protette da alte recinzioni sovrastate dalle micidiali concertine. In lontananza, oltre le colline, tre enormi parabole satellitari ricevono e trasmettono le comunicazioni che dirigono i droni e gli aerei militari statunitensi attraverso il Mediterraneo, il Medio Oriente, l’Africa e l’Europa dell’Est. Qui, nel cuore della Sicilia, si trova uno dei più sensibili luoghi strategici del complesso militare-industriale statunitense, il Mobile User Objective System, o semplicemente MUOS, come lo chiamano tutti.

Negli ultimi quindici anni, il movimento NO MUOS ha riunito attivisti antimilitaristi di tutta Italia, in lotta per lo smantellamento del MUOS e per porre fine alla militarizzazione da tempo in corso in Sicilia e nell’Italia intera. Durante la prima settimana di agosto di quest’anno, si è tenuto a Niscemi un campeggio, a dieci anni dal primo campeggio che venne organizzato nel 2013.

Quest’anno, in un contesto di crescente escalation della corsa agli armamenti a livello globale, l’assemblea convocata dal movimento NO MUOS si è posta l’obiettivo di porre la guerra e la militarizzazione al centro di tutte le lotte in Italia oggi. Per il 21 ottobre è stata indetta una giornata d’azione a livello nazionale, che prevede numerose manifestazioni in tutto il Paese. Porre fine alla macchina da guerra transnazionale è considerate una causa comune che potrà unificare tutte le singole lotte dal basso che esistono nell’Italia di oggi, dalle lotte ambientaliste a quelle per la giustizia sociale e sul fronte del lavoro: l’appello che viene dal movimento NO MUOS è di riconoscere il ruolo centrale della guerra in tutte queste lotte, ed è quindi un appello all’unità in un movimento che riesca a rappresentarle tutte. 

Per i portavoce del movimento NO MUOS, sfidare il consolidamento di un’economia di guerra in Italia non significa schierarsi da una parte o dall’altra dei conflitti in corso, ma piuttosto porre fine alla devastazione dei territori e della vita delle comunità che ci abitano. L’assemblea, che si è svolta sabato 5 agosto, ha riunito attivistǝ provenienti da movimenti di lotta contro l’espansione delle basi militari, contro lo sperpero di fondi pubblici indirizzati verso investimenti militari e contro il cosiddetto “dual use” delle infrastrutture civili per scopi militari, come il famigerato ponte sullo stretto di Messina, ora apertamente descritto come infrastruttura bellica. Nel tardo pomeriggio, una manifestazione ha visto  la partecipazione di diverse centinaia di manifestanti che a piedi si sono dirette verso la base militare, chiedendo a gran voce che venga smantellata, e che il territorio su cui sorge venga ripristinato. Smuntamulu, smontiamo la base, stave scritto sul lungo striscione che apriva il corteo.

Mentre gli attivisti italiani che si oppongo alla guerra lanciano l’allarme sul ruolo sempre più centrale del Paese nell’attuale corsa agli armamenti globali, il MUOS è solo uno dei tanti bersagli della protesta: sono ben 120 le basi militari statunitensi sparse tra le isole italiane e la terraferma, e le basi NATO in cui sono stoccate le testate nucleari nel Nord del Paese, e altre infrastrutture strategiche, sono considerate prioritarie dall’Unione Europea. Come se non bastasse, le forze armate italiane sono sempre più presenti ormai nel mondo della scuola, con eventi ‘speciali’ rivolti a bambini non più grandi di 10 anni, e molti dipartimenti universitari ricevono finanziamenti dai colossi dell’industria bellica, come nel caso della Leonardo a capitale pubblico-privato. Sono davvero tanti i casi che mostrano come la società italiana si stia orentando verso un’economia di guerra.

In tutto questo, la storia del MUOS e del movimento NO MUOS rappresenta in pieno le difficoltà che un movimento contro la guerra si trova ad affrontare al giorno d’oggi: il MUOS si trova in un territorio dove una volta c’era una secolare foresta di querce da sughero, che sorgeva sulle colline appena fuori la città di Niscemi, ma gran parte della foresta è stata sradicata quando la base venne aperta all’inizio degli anni ’90, lasciando solo una piccola sughereta che adesso si trova su un lato della base. Per anni il complesso militare è stato pressoché ignorato dalla popolazione locale, fino alla fine degli anni 2000, quando si inizia a prospettare l’inizio dei lavori di costruzione delle tre enormi antenne paraboliche che oggi dominano il paesaggio. 

Il movimento NO MUOS si è rapidamente trasformato da una protesta locale a una lotta popolare di respiro nazionale, e in più occasioni la base è stata invasa da migliaia di attivisti, portando alla momentanea sospensione delle trasmissioni del MUOS. La mobilitazione ha coinvolto anche gli amministratori locali e in diverse occasioni i tribunali regionali si sono pronunciati a favore del movimento, ma ciò non ha impedito che i lavori di costruzione proseguissero. Nonostante questa significativa battuta d’arresto, negli anni successivi il MUOS ha continuato a rimanere un bersaglio dell’opposizione, visto come un esempio fortemente visibile di come il complesso industrial-militare globale possa avere effetti profondamente dannosi sugli ambienti e sulle comunità locali.

Come quasi ogni anno, il campeggoi di lotta No MUOS si è tenuto su un terreno a breve distanza dalla base militare stessa. Per dieci giorni, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, un folto gruppo di persone si sono riunite per condividere le loro conoscenze ed esperienze sull’escalation della guerra in corso e per dare supporto al movimento di protesta locale. Per moltǝ del movimento antimilitarista siciliano, l’assemblea di quest’anno ha offerto l’opportunità di definire l’agenda delle mobilitazioni per i mesi a venire, ma per molti altri (me compreso), che non erano mai stati a Niscemi prima di quell momento, il campeggio ha rappresentato la possibilità di conoscere da vicino la questione, valutando con i propri occhi ciò che accade quando un territorio viene interamente consegnato all’industria bellica. Per la durata del campeggio, un terreno che è normalmente vuoto, è stato popolato da tende, acqua corrente, elettricità e una cucina mobile, oltre ai lunghi teloni ombreggianti per ripararsi dal caldo torrido dell’estate siciliana.

Sotto quei teloni, I volontari si organizzano per la preparazione dei pasti o per apportare migliorie al presidio. I primi giorni sono tranquilli. Di giorno il caldo è intenso, e il suono delle cicale riempie l’aria di notte e al mattino presto. Giorno dopo giorno, impariamo a conoscerci e a prendere familiarità con il luogo. Durante il giorno, alcune persone escono dal campo per esplorare la zona, per conoscere meglio il territorio e le sue caratteristiche, mentre la sera si organizzano laboratori e discussioni che mescolano la pedagogia di liberazione di Paulo Freire e le pratiche rivoluzionarie del movimento curdo in Rojava nello spazio delle nostre discussioni. Di tanto in tanto, la sera, quando la temperatura si abbassa, si accende un fuoco e alcunǝ di noi si riuniscono per chiacchierare, o condividere storie di ciò che abbiamo visto e sentito in altri luoghi.

Alcune volte, durante i primi giorni del campeggio, mi sono unito a queste passeggiate intorno alla base. La strada sterrata che costeggia il perimetro fortificato è fiancheggiata dalla tipica vegetazione resistente della macchia mediterranea e, dall’altra parte della recinzione, una jeep della Marina statunitense ci segue a poca distanza, mentre i soldati a bordo non ci perdono mai di vista. Dietro di noi, un’auto della polizia italiana ci fa da scorta nella passeggiata. Andando in senso orario intorno alla base, camminiamo per quasi un’ora, superando i cancelli fortificati e salendo su per una ripida collina. A parte la recinzione di filo spinato, il personale delle forze dell’ordine e le antenne, il posto sembra più o meno come tanti altri luoghi dell’entroterra siciliano: campi aspri e secchi di colore giallo, tanto belli quanto spopolati. È solo quando raggiungiamo la cima della collina e ci giriamo verso la base che l’enormità del MUOS diventa finalmente evidente. Lontano da noi, al centro della vasta distesa di terra occupata dal complesso militare, si ergono le tre parable, così grandi da far sembrare minuscola la jeep militare parcheggiata nello spazio sottostante. Voltando le spalle al MUOS, il verde bosco di Santo Pietro ai piedi della collina ci dà un’idea di come poteva essere l’antica foresta di querce da sughero prima che venisse abbattuta.

Ciò che rimane della sughereta si trova dalla parte opposta della base rispetto alla collina dove ci troviamo. Per raggiungerla, il giorno successivo camminiamo per quasi un’ora intorno al complesso militare in direzione opposta, percorrendo il perimetro in senso antiorario. Durante la passeggiata incontro Cristina Di Pietro, attivista di Niscemi, che nel 2018 ha pubblicato il libro Oltre le Reti, una cronaca del periodo di più intensa mobilitazione contro il MUOS. “Il solo fatto di vivere in Sicilia è una sfida”, mi dice. Durante la nostra conversazione, mi viene in mente ciò che ho sentito da altre persone durante il campeggio, e comincio a intuire la difficile situazione in cui si trova oggi la Sicilia. il nocciolo della questione è che l’isola è da tempo una delle regioni più marginali d’Italia, colpita da problematiche ambientali (mancanza d’acqua, caldo sempre più estremo e incendi), da problemi politici endemici come la corruzione e la mafia, e da una situazione di tagli senza fine ai servizi pubblici, che vede la chiusura di ospedali e scuole. Il fatto che l’isola sia anche considerata dagli Stati Uniti come uno dei siti più strategici di tutto il Mediterraneo aggiunge un ulteriore livello di tensione a una situazione già difficile da sempre, dirottando fondi, risorse ed energie dalle questioni urgenti di chi abita quei territori, costantemente in secondo piano rispetto al ruolo strategico dell’isola come avamposto bellico.

Arrivando ai margini della sughereta, con il filo spinato ormai lontano dalla vista, ci facciamo un’idea di com’era un tempo questo luogo. In mezzo agli alberi, ci fermiamo davanti alla cosiddetta Grande Quercia, una maestosa quercia da sughero che ancora sopravvive da 450 anni, a testimonianza del naturale anelito alla vita, nonostante le avversità. Le querce da sughero sono alberi tenaci, molto resistenti alla siccità e al caldo estremo, persino agli incendi quando non sono troppo intensi o frequenti. L’antica sughereta che è stata decimata dall’arrivo dell’esercito americano negli anni ’90 era l’unica foresta di questo tipo in tutta l’isola, ma se gli incendi continueranno a devastare l’isola come è succcesso quest’anno, anche questa piccola parte che è sopravvissuta rischia di andar perduta. 

Nel frattempo, apprendiamo che nella zona c’è chi sta cercando di invertire la tendenza, riforestando un’altra parte di territorio nei pressi di Niscemi, e ripristinando le falde acquifere del sottosuolo. Il che ci ricorda che la guerra non porta solo morte e devastazione a chi si trova direttamente coinvolto nei conflitti, ma rappresenta una minaccia anche per le comunità e gli ambienti che si ritrovano stravolti in nome di un’escalation mondiale. 

Ed è solo ripartendo dall’interno di queste comunità che una qualche reale alternativa potrà iniziare.