Chris Abom aveva 13 anni e stava tornando da una partita a pallone con gli amici. E’ l’ennesima, giovanissima, vittima della strada. Un’auto lo ha investito e il conducente non si è fermato. Se lo avesse fatto Chris poteva salvarsi. A quanto scrivono le cronache ha dichiarato che credeva di aver colpito “un paletto”.

I dati Istat del 2022 dicono che nel 2022 i morti per incidenti sono stati 3.159, + 9,9% rispetto all’anno precedente, i feriti 223.475 (+9,2%). Per quanto riguarda i pedoni, dati sempre risalenti al 2022, ne sono morti 307, una media di 25 persone al mese. Uno stillicidio che avviene quotidianamente sotto i nostri occhi, una strage continua di fronte alla quale  l’assuefazione stride con il dolore immenso di chi vede assurdamente andarsene una persona cara, dolore ancora più lacerante se la vittima è giovane.

Sono passati sette anni dalla decisione dell’allora governo Renzi di introdurre il reato di “omicidio stradale”, con la pia illusione che una stretta repressiva potesse contrastare le centinaia di vittime, il pesante tributo di sangue. Già allora autorevoli osservatori furono facili profeti nel sottolineare come il provvedimento non avrebbe fatto altro che accentuare la logica penale che caratterizza la nostra giustizia, magari incrementando la popolazione carceraria, senza trarne beneficio, dato che la questione fondamentale, oltre che culturale, è il modello di mobilità della nostra società. E oggi l’ennesima tragedia conferma quanto fossero giuste tali osservazioni. A dirlo sono anche i soggetti impegnati su questo fronte.

Su La Stampa Silvia Frisina dell’Associazione Familiari Vittime della Strada sottolinea come “pensavamo che la legge avrebbe fatto da deterrente e invece…”,   e che “una norma severa non basta”.

Ma al di là dell’aspetto legislativo, alla base c’è l’incapacità cronica di uscire da un sistema di trasporto incentrato sulla strada, che vede l’Italia tra i Paesi più legati a questo modello. E’ superfluo ricordare le carenze del nostro sistema ferroviario, gli enormi investimenti per le reti stradali e autostradali, a fronte di un deficit nei collegamenti locali e interregionali, soprattutto al Sud, per quanto riguarda il trasporto pubblico di vario genere.

E’ proprio di queste ore la notizia che il Comune di Montpellier, trecentomila abitanti, la settima città più popolosa della Francia, dopo un periodo di sperimentazione, da dicembre di quest’anno introdurrà il trasporto gratuito per tutta l’area metropolitana, mezzo milione di persone. Una scelta che purtroppo non ha molti esempi in Europa, a parte il Lussemburgo e qualche altro caso.

E’ una problema di scelta politica ed economica e forse soprattutto culturale. Si tratta di mettere in discussione, appunto, un modello affermatosi nel corso di decenni che andrebbe radicalmente cambiato e richiama la stessa visione di società in cui si vuole vivere.

E a proposito di cultura, tornando alla morte di Chris, anche questa volta, come accade di frequente, chi guidava non si è fermato. Un segnale di un imbarbarimento del nostro tessuto civico che non può essere contrastato in un’ottica repressiva, ma con un lavoro di tessitura dei rapporti sociali.