Ieri sui media vaticani è stata pubblicata una intervista a don Renato Sacco, in occasione della pubblicazione di un comunicato congiunto di oltre trenta associazioni e movimenti ecclesiali che insieme, da tempo, chiedono la fine della guerra in Ucraina e anche una discussione pubblica sull’adesione dell’Italia al Trattato Onu 2017 di messa al bando delle armi nucleari.
Don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi Italia, afferma che per porre fine alla guerra nell’Europa dell’est occorre anzitutto far tacere le armi e poi avviare trattative intorno a un tavolo.
E dunque occorre fermare l’invio di armi e impegnarsi invece perché vengano avviati dialoghi di pace. Da qui l’appoggio all’iniziativa di Papa Francesco che ha voluto inviare il cardinale Zuppi, in Ucraina, in Russia e negli Stati Uniti.
Vi proponiamo alcuni passi per noi più significativi dell’intervista.

“Noi abbiamo un po’ la sensazione che, dopo un po’ di tempo, come a tutte le cose, anche alla guerra ci si abitui. Noi siamo un gruppo molto grande, di decine di associazioni di ispirazione cristiana, ma anche molto diverse: dalle Acli, all’Agesci, Pax Christi, Comunione Liberazione, le teologhe italiane, la Fondazione Don Primo Mazzolari, La Pira, eccetera.
Quello che ci sta cuore all’inizio era l’impegno sul nucleare, ma siamo coinvolti in questa guerra, non possiamo lasciare il Papa da solo e non possiamo neanche limitarci a dire a cosa serva la missione, la presenza, i passi del cardinale Zuppi.
Ci sono molti che si oppongono al cessate il fuoco, e allora mentre qualcuno dice “Non serve a niente”, e qualcun’altro “Se vuoi la pace prepara la guerra”, noi diciamo se vuoi la pace bisogna fare di tutto, anche l’impossibile per preparare la pace.

Il primo passo è il cessate il fuoco; il cessate il fuoco non vuol dire stabilire che vince il più forte. Qualcuno ci dice: in questo modo voi siete filoputiniani, volete la distruzione dell’Ucraina.
No, il cessate Il fuoco è solo anticipare l’obbligo di sederci intorno a un tavolo, perché tutte le guerre finiscono intorno a un tavolo.
Dunque, prima di tutto il cessare il fuoco e poi, come abbiamo fatto con la carovana “Stop the war now”, siamo andati accanto alle vittime, per sostenere le vittime – siamo andati a Odessa, a Leopoli, a Kyiv, siamo stati per la domenica delle Palme a Odessa e a Mykolaiv – per dire: se questo mondo sembra credere nella forza, nella logica della forza, nella violenza e nella guerra, noi crediamo, invece, nella forza dei rapporti, nelle relazioni. E anche essere là, alcuni giorni, alcuni mesi come fanno i volontari dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, è un modo di creare le premesse per la pace e per dire: dobbiamo impedire che questa guerra continui o, peggio ancora, degeneri.
In tal senso, in che modo la società civile può offrire il suo contributo?
La società civile è fondamentale. L’abbiamo visto anche in queste carovane di “Stop the war now”. Siamo andati in pochi perché è difficile mobilitare migliaia e migliaia di persone, però siamo andati e abbiamo fatto migliaia di chilometri.
La società civile è importante perché esprime il suo “no” alla guerra.
E allora noi abbiamo detto: non vendiamo armi – e si parla di milioni e milioni di miliardi di euro in armi – ma anche a tutti gli altri conflitti nel mondo che sono alimentati da chi vende le armi.
Questa situazione è davvero drammatica. L’Unione Europea, l’Italia anche, appena iniziata l’invasione della Russia, quel famoso 24 febbraio, la prima scelta che è stata fatta è: mandiamo le armi. Non c’è stata una discussione politica, non ci si è fermarti per cercare di capire cosa stesse succedendo. Solo armi, armi, armi. Da aprile del 2022 continuiamo a inviare armi.

Questo cartello di associazioni è nato per sostenere il Trattato Onu che mette al bando le armi nucleari del luglio 2017. Siamo davanti a una decisione ufficiale delle nazioni Unite che mette al bando le armi nucleari. Hiroshima e Nagasaki, tra pochi giorni, ci ricordano la tragedia, e noi non possiamo permetterci di fare solo memoria – magari con qualche lacrima di coccodrillo – e ignorare che il potenziale nucleare oggi nel mondo è in grado di distruggere la terra più volte. E non possiamo nemmeno ignorare che lo abbiamo sul nostro territorio italiano, nelle base di Ghedi, vicino Brescia, e Aviano, vicino a Pordenone. Sono bombe nucleari di proprietà degli Stati Uniti ma sul nostro territorio. Adesso, forse sono già arrivate, o arriveranno, le nuove bombe B61-12, e queste cose creano le premesse perché vengono usate, perché Hiroshima e Nagasaki si ripetano. Allora, il nostro appello è: Italia, ripensaci. C’è una campagna in Italia che si chiama proprio “Italia, ripensaci”. Faccia dei passi, la pace è fatta di passi.”