Sulla proposta di salario minimo a 9 € delle opposizioni parlamentari (tranne Italia Viva) vi è stata nelle ultime ore una tentennante e pallida apertura al dialogo da parte della presidente del consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni.
Apertura forse alimentata dai sondaggi che rilevano una stragrande maggioranza di Italiani favorevoli ad una tale misura o forse dalle conclusioni del tutto inattese alle quali giunge il report della Fondazione dei consulenti del lavoro (la fondazione presieduta per tanti anni dall’attuale Ministra del lavoro ed ora da suo marito), che evidenzia come ben oltre un terzo dei 61 principali contratti collettivi nazionali firmati dalla CGIL, dalla CISL e dalla UIL preveda minimi retributivi sotto i 9 euro all’ora: https://www.consulentidellavoro.it/files/PDF/2023/FS/Salario_minimo_Italia_elementi_per_una_valutazione.pdf.

C’è da augurarsi che l’apertura governativa non sia strumentale, che non abbia meri fini dilatori e che serva anzi ad accelerare l’acquisizione di una misura sempre più necessaria per contrastare il “lavoro povero”.

In queste settimane, come purtroppo accade sempre più spesso, le tante boutade sul salario minimo hanno avuto la meglio sulle argomentazioni, sui dati e sulle analisi, andando ad alimentare soltanto confusione e le solite urlanti tifoserie.
Vale perciò la pena di cercare di passare in rassegna qualche utile strumento d’approfondimento, affinché l’approccio al tema possa essere maggiormente consapevole. Occorre innanzitutto osservare che sul salario minimo non si discute certamente da oggi. Ilaria Romeo qualche giorno fa su Collettiva (www.collettiva.it) ci ha ricordato, per esempio, che nel lontano 1954 Giuseppe Di Vittorio, insieme a Teresa Noce e ad altri, fu tra i primi firmatari di una proposta di legge intitolata “Fissazione di un minimo garantito di retribuzione per tutti i lavoratori”. Proposta di legge che non riscosse particolare successo: https://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/08950001.pdf.

E occorre anche sottolineare che le proposte su un salario dignitoso non sono appannaggio esclusivo dei partiti politici.
Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign (CCC), una rete internazionale che riunisce oltre 200 organizzazioni a difesa dei diritti umani, dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali e si batte per il miglioramento delle condizioni di lavoro nell’industria della moda, ha proposto – per fare un esempio- che per sfuggire alla povertà lavorativa servirebbe un “salario minimo dignitoso” di 11 euro netti all’ora per una settimana lavorativa di 5 giorni di 40 ore (un salario minimo dignitoso sarebbe quindi pari a € 1.905 netti mensili): https://www.abitipuliti.org/wp-content/uploads/2022/06/FAIR-Salario-dignitoso-2022-REPORT-ITA.pdf.

A dimostrazione che gli approfondimenti tecnici (anche discordanti) sul giusto salario non mancano, si segnala che nell’ambito dell’esame delle proposte di legge in materia di giusta retribuzione e salario minimo, sono stati auditi informalmente Tito Boeri, professore e direttore del dipartimento di economia presso l’Università Bocconi di Milano, Marco Barbieri, professore ordinario presso l’Università “Roma Tre” e Cesare Damiano, presidente del Centro studi associazione Lavoro & Welfare. Qui le audizioni: https://webtv.camera.it/evento/22848.

Ma sono l’ISTAT e la SVIMEZ, in particolare, a fare chiarezza sull’impellente necessità di superare l’attuale “lavoro povero” e di garantire per legge un salario minimo dignitoso.
“L’innalzamento della retribuzione oraria minima a 9 euro -ha sottolineato Nicoletta Pannuzi, dirigente il Servizio sistema integrato lavoro, istruzione e formazione di Istat, in audizione in commissione Lavoro alla Camera sul salario minimo- comporterebbe un incremento della retribuzione annuale per 3,6 milioni di rapporti di lavoro. Per questi rapporti l’incremento medio annuale sarebbe pari a circa 804 euro pro-rapporto, con un incremento complessivo del monte salari stimato in oltre 2,8 miliardi di euro”. Aggiungendo che: “I rapporti con retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi sono quasi un quinto del totale (il 18,2%, circa 3,6 milioni di rapporti) e coinvolgono circa 3 milioni di lavoratori. I rapporti con retribuzione inferiore ai 10 euro salgono al 30,6% (per un totale di poco più di 6 milioni di rapporti) e coinvolgono quasi 5,2 milioni di lavoratori. Per entrambe le soglie, i rapporti con retribuzione inferiore si concentrano tra gli apprendisti (53,4% per i 9 euro e 71% per i 10 euro) e gli operai (23,3% e 38,8%), nei settori delle altre attività di servizi (59,6% e 71,6%), in quelli del noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (32,9% e 48,4%), nelle attività artistiche, sportive di intrattenimento e divertimento (28% e 42,3%), dei servizi di alloggio e ristorazione (23,2% e 44,6%). Quote di rapporti a bassa retribuzione più elevate della media si osservano tra le donne (20,7% per i 9 euro e 34,8% per i 10), i giovani sotto i 30 anni (29,2% e 46,6%) e tra coloro che lavorano al Sud (28,5% e 43,6%) o nelle Isole (22,7% e 38,4%)”. Sexondo l’ISTAT, con una fissazione di un salario minimo a 9 euro/ora, l’incremento medio annuale sarebbe pari a circa 804 euro pro-rapporto, con un incremento complessivo del monte salari stimato in oltre 2,8 miliardi di euro. L’adeguamento alla soglia minima di 9 euro determinerebbe un incremento sulla retribuzione media annuale dello 0,9% per il totale dei rapporti e del 14,6% per quelli interessati dall’intervento.

Qui l’Audizione: https://www.istat.it/it/archivio/286663?mtm_campaign=wwwnews&mtm_kwd=03_2023.

Nei giorni scorsi, infine, sono state presentate le anticipazioni del Rapporto SVIMEZ 2023 sull’economia e la società del Mezzogiorno dove sono state illustrate le previsioni 2023 – 2025, regionali e macroregionali, in termini di PIL, di consumi delle famiglie e di investimenti. Focus particolare dedicato ai dati sull’occupazione e sulla questione dei salari.
E a proposito del lavoro povero nel Sud, la SVIMEZ scrive che “il peso della componente del lavoro a termine rimane a livelli patologici, soprattutto se confrontato con il resto del Paese e le medie europee. La quota di occupati a termine sul totale dei dipendenti è pari al 22,9% al Sud contro il 14,7% del Centro-Nord. Soprattutto, nel Mezzogiorno si resta precari più a lungo: quasi un lavoratore meridionale a termine su quattro è occupato a termine da più di cinque anni, quasi il doppio rispetto al resto del Paese. Il tema del lavoro povero, aggravatosi per effetto della pressione inflazionistica ancora in corso, ha riportato al centro del dibattito politico la proposta di introduzione di un salario minimo legale.
La SVIMEZ ha elaborato una stima dei lavoratori che percepiscono una retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi. La stima si basa sui microdati dell’indagine continua sulle forze di lavoro dell’ISTAT aggiornati al 2020, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati sulle retribuzioni disaggregati a livello territoriale. In base alle stime SVIMEZ risultano circa 3 milioni di lavoratori al di sotto dei 9 euro in Italia, pari al 17,2% del totale dei lavoratori dipendenti (esclusa la Pubblica Amministrazione): circa 1 milione nel Mezzogiorno (pari al 25,1% degli occupati dipendenti) e circa 2 milioni nelle regioni del Centro-Nord (15,9% degli occupati dipendenti)”.

Qui le anticipazioni SVIMEZ 2023: https://lnx.svimez.info/svimez/anticipazioni-del-rapporto-2023/.