L’escalation in corso nella guerra in Ucraina non riguarda solo l’impiego delle armi, ma anche gli obiettivi da colpire che sempre più spesso risultano essere infrastrutture civili. Quello alla diga di Kakhovska (che non è stato il primo) è stato immediatamente preceduto da un altro grave attentato ignorato dai grandi mezzi di informazione, ormai votati acriticamente a far prevalere le ragioni dell’Occidente, qualunque sia la sorte della popolazione ucraina.

La diga di Kakhovska è l’ultima lungo il corso del fiume Dnieper e fa parte di un complesso di sei grandi bacini idrici che regolano il flusso del fiume fino ai confini con la Russia. Immediatamente a monte di Kakhovska esistono le dighe di Zaporizhya (la più grande) e Dnipro dal nome delle città lambite dal fiume Dnieper. Il 6 giugno scorso la diga di Kakhovska è stata distrutta da bombardamenti provocando un onda di piena che ha investito paesi e città fino ad un altezza di 10 metri. A monte di Kakhovska, in una grande ansa del bacino, si trova la centrale nucleare di Zaporizhya ( che si trova a valle dell’omonima città e dell’omonima diga) occupata dalle truppe russe fin dal marzo 2022, che usa l’acqua del fiume per i circuiti di raffreddamento dei reattori e del combustibile irraggiato immagazzinato nel sito.

Entrambi i siti (Zaporizhya e Kakhovska) hanno molta importanza per i russi perché dal primo possono alimentare elettricamente le zone occupate del Donbass e della Crimea, mentre dal secondo si diparte un grande canale di irrigazione (400 Km di lunghezza, 300 metri cubi al secondo di portata) verso tutte le regioni interne della Crimea, che con la distruzione della diga è stato messo fuori uso. A partire dall’estate del 2022, dopo circa 5 mesi dall’inizio dell’occupazione russa, l’esercito ucraino ha cercato di colpire o di mettere fuori uso sia la diga di Kakhovska che la centrale di Zaporizhya, per poi addebitarne la responsabilità ai russi (https://www.pressenza.com/it/2022/09/la-post-verita-di-zaporizhia/), cosa che è avvenuta anche per il bombardamento del 6 giugno scorso con l’avallo dei grandi organi di informazione. Anzi, essi hanno sempre ignorato le proteste formali della Russia al Consiglio di sicurezza ONU (ottobre 2022) reclamanti l’apertura di una inchiesta internazionale mai approvata, nonostante che i protocolli aggiuntivi del 1977 alla convenzione di Ginevra, prevedano – all’articolo 56 (Protezione di opere e installazioni potenzialmente pericolose) – l’assoluto divieto di colpire dighe e centrali nucleari.

Che la responsabilità della distruzione della diga di Kakhovska non sia da attribuire ai russi, stanno ad indicarlo due aspetti: il primo è che da circa un mese la diga di Zaporizhya (controllata dall’Ukraina) ha scaricato molta più acqua nel bacino sottostante facendo aumentare il livello e la pressione dell’acqua a ridosso della diga di Kakhovska, così da aumentare la forza dell’onda di piena; il secondo è che con la distruzione della diga di Kakhovska e la prevedibile chiusura delle paratie della diga di Zaporizhya, si abbasserà sensibilmente il livello del bacino su cui insiste la centrale nucleare di Zaporizhya, mettendone a rischio la sicurezza.

Un quadro estremamente grave che però nasconde ben altri attentati alle infrastrutture civili, di cui la stampa occidentale non ha dato notizia.

Il più grave è accaduto nella tarda serata del 5 giugno (la sera prima del bombardamento della diga di Kakhovska) nel distretto di Karkhiv (controllato dall’Ucraina) ed ha riguardato la pipe line che dallo stabilimento di Togliatti porta l’ammoniaca al porto di Odessa. Si tratta della più lunga tubazione di questo tipo esistente al mondo che consentiva l’esportazione di ammoniaca (impiegata per i fertilizzanti) in 120 paesi, soprattutto del terzo mondo a costi estremamente convenienti. Con l’inizio della guerra era stata messa fuori servizio per motivi precauzionali, ma la Russia ne aveva chiesto la rimessa in funzione nell’ambito dell’accordo sul grano ucraino di cui era stata inizialmente impedita l’esportazione, con aumenti consistenti e tutt’ora vigenti sul prezzo internazionale del grano. Con la distruzione di questa tubazione, difficilmente la Russia consentirà a rinnovare l’accordo sul grano ucraino se prima non gli si consente di ripristinare il funzionamento di questa pipe line e ciò avrà sicuramente ripercussioni globali sul commercio di questo indispensabile alimento. Viene da chiedersi perché mai l’Ucraina abbia distrutto questa infrastruttura e non abbia mai attentato al funzionamento del gasdotto che, attraverso il suo territorio, porta tutt’ora 40 milioni di metri cubi di gas al giorno in Europa: la risposta è che mentre per il transito dell’ammoniaca l’Ukraina non incassa royalties, per il transito del gas queste assommano a circa 2 miliardi di euro/anno.

Non basta: lo scorso 25 maggio Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino, ha reso noto che nella notte del 9 maggio (giorno della vittoria in Russia) sono stati eseguiti due attentati a linee elettriche che alimentano le centrali nucleari Leningrado (non lontana da San Pietroburgo) e Kalinin, con l’intento di provocarne la messa fuori servizio. Gli attentatori arrestati sono risultati di nazionalità ucraina.

Se a ciò si aggiungono il bombardamento del ponte di collegamento con la Crimea, la distruzione dei due gasdotti Nord Stream, gli attacchi con i droni a Mosca e i bombardamenti nella regione russa di Belgorod, si ottiene il profilo di una strategia precisa: quella di esportare la guerra in Russia e di colpire le infrastrutture civili allo scopo di provocare una reazione russa talmente forte da giustificare l’intervento delle truppe Nato. E ciò è tanto più probabile ora che la controffensiva ucraina non sta dando i risultati sperati, per cui si cercherà di sopperire alle sconfitte sul campo con azioni distruttive improntate a provocare terrore. Come ho già avuto modo di scrivere, questa logica può portare l’Ucraina, come estremo tentativo, a contaminare una parte di territorio con l’impiego di una bomba nucleare sporca lanciabile come un normale proiettile delle moderne artiglierie, per poi addebitarne la responsabilità ai russi.

Quanto di questi attentati alle infrastrutture sia opera esclusiva dell’Ucraina e quanto vi abbiano contribuito alcuni paesi della Nato, è cosa molto difficile da stabilire. Quello che risulta agli atti è che, a differenza della Russia, l’Ucraina non ha mai richiesto l’istituzione di indagini internazionali sugli attacchi a Zaporizhya e alla diga di Kakhovska (entrambe di sua proprietà), tanto meno per il Nord Stream e ora per la pipe line dell’ammoniaca, avvenuta in territorio sotto il suo controllo.

Comunque la si pensi sulle responsabilità remote e contingenti di questa guerra, è certo che l’Occidente tutto ha contribuito a creare un mostro nel cuore dell’Europa che sta diventando incontrollabile, ma le classi dirigenti europee -tra cui spicca l’atteggiamento del governo Meloni – non danno segno di preoccuparsene: forse perché è proprio quello che vogliono?

Non è mai presto per chiedergliene conto e sempre tardi ad aspettare che ci rispondano.