La rotta mediterranea tra la Libia e l’Italia è stata descritta come la “traversata marittima più pericolosa del mondo“. Lo ha dimostrato ancora una volta la scorsa settimana il tragico naufragio di un’imbarcazione piena di uomini, donne e bambini, a circa 50 miglia dalla città greca di Pylos.

L’imbarcazione era monitorata dalla Guardia Costiera ellenica, che ha dichiarato che le persone a bordo hanno rifiutato ripetutamente l’assistenza, dicendo di voler proseguire verso l’Italia. Per questo motivo non è stato effettuato alcun salvataggio.

Ma vari gruppi di attivisti, tra cui Alarm Phone, una linea telefonica di emergenza per i rifugiati in difficoltà nel Mediterraneo, hanno contestato questo resoconto. In un’e-mail pubblicata dai giornalisti investigativi We Are Solomon, Alarm Phone ha avvisato le autorità della posizione dell’imbarcazione e ha riferito che “diverse persone, tra cui alcuni bambini, stanno molto male. Le persone sulla barca hanno detto che non possono andare avanti”.

Sono arrivate notizie e tempistiche contrastanti e si è iniziato a raccontare le storie e le esperienze dei sopravvissuti.

Alarm Phone ha affermato che anche le autorità maltesi e italiane erano a conoscenza della situazione dell’imbarcazione e che “le autorità europee avrebbero potuto inviare senza indugio risorse di soccorso adeguate. Non lo hanno fatto perché il loro desiderio di impedire gli arrivi è stato più forte della necessità di salvare centinaia di vite”.

Avvocati internazionali ed ex membri della Guardia Costiera ellenica hanno affermato che le autorità avrebbero dovuto soccorrere l’imbarcazione a prescindere dalla richiesta di aiuto dei passeggeri, anche a causa dell’inadeguatezza della nave e del sovraffollamento. Come ha chiarito la RNLI nel Regno Unito, salvare vite in mare è un dovere sia morale che sancito dal diritto marittimo internazionale .

Respingimenti

Questa non è certo la prima volta che la Guardia Costiera ellenica si trova ad affrontare accuse di aver messo in pericolo la vita dei richiedenti asilo in mare. Nel marzo 2020, Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha ringraziato la Grecia per il suo ruolo di “scudo” dell’Unione Europea e

si è impegnata a lavorare in modo solidale con il Paese per garantire in via prioritaria il “mantenimento dell’ordine” alla frontiera esterna della Grecia, che è anche la frontiera esterna dell’UE.

Il significato di queste dichiarazioni è diventato chiaro grazie alle accuse e alle prove crescenti che la Guardia Costiera greca sta conducendo respingimenti illegali, impedendo l’accesso al diritto di chiedere asilo una volta che una persona è entrata nel territorio di uno Stato.

Difensori dei diritti umani, eurodeputati e organizzazioni non governative hanno ripetutamente accusato sia la Guardia Costiera greca che Frontex di essere coinvolti nei respingimenti.

Nell’ottobre 2022, un rapporto dell’Olaf, l’organo di controllo dell’UE, pubblicato dai media tedeschi, ha accusato Frontex di aver insabbiato o omesso di indagare su gravi accuse di violazione dei diritti umani.

Un video pubblicato dal New York Times nel maggio 2023 sembra mostrare le navi della Guardia Costiera che abbandonano in mare persone sbarcate in Grecia. Anche in questo caso, si tratterebbe di una violazione del diritto internazionale di chiedere asilo, dato che i migranti erano sbarcati nell’isola di Lesbo, in territorio greco.

Se il resoconto della Guardia Costiera ellenica sul recente naufragio è vero e se le persone a bordo dell’imbarcazione volevano proseguire verso l’Italia evitando il territorio greco, è importante considerare il motivo di questa scelta. Una ragione potrebbe essere la crescente consapevolezza del rischio di respingimento.

Questi eventi suggeriscono che lo “scudo” dell’Europa non ha come priorità quella di salvare le vite di coloro che cercano sicurezza, ma piuttosto, come ha dichiarato la von der Leyen nella stessa conferenza stampa del 2020, di assicurarsi che “l’ordine sia mantenuto” quando “i migranti che sono stati attirati con false promesse in questa situazione disperata” si ritrovano alle porte dell’Europa.

Politiche di dissuasione

Nel 2016, Donald Tusk, allora presidente del Consiglio Europeo, ha messo in guardia le persone che effettuano le pericolose traversate verso l’UE dicendo: “Non venite in Europa. Non credete ai trafficanti. Non rischiate le vostre vite e i vostri soldi. È tutto inutile”.

Affermazioni come questa suggeriscono che le persone intraprendano questi viaggi per una libera scelta, che esista un’alternativa molto più semplice, ma come ha detto in modo toccante la poetessa somalo-britannica Warsan Shire: “Dovete capire che nessuno mette i propri figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra”.

Rendere questi viaggi meno sicuri non impedirà che avvengano. Il mancato soccorso e i respingimenti mettono a rischio la vita delle persone sulle barche, ma non impediscono ad altri di continuare a partire.

Naufragi come questo sono evitabili, ma solo se la politica dell’UE si allontana dal suo obiettivo di chiudere le frontiere e “mantenere l’ordine”, per passare a un’azione umanitaria. Ciò significherebbe l’apertura di rotte realmente sicure per le persone in cerca di salvezza, che non dipendano dall’ingresso nel territorio di uno Stato su una nave affollata e pericolosa per poter presentare una richiesta di asilo.

Traduzione dall’inglese di Anna Polo

L’articolo originale può essere letto qui