La struttura di Palazzo San Gervasio, nata quasi vent’anni fa, non ha un colore politico né una normativa chiara che identifichi e descriva giuridicamente la sua reale natura. E’ un “luogo non luogo”, così lo definisce la giornalista Emma Barbaro. E’ stato descritto anche con parole ben più forti, come “voliera umana”, “canile per esseri umani”, “Guantanamo d’Italia”, “lager libico della Basilicata”.

All’interno delle sue mura circondate da un filo spinato che racchiude una rete metallica alta 5 metri ci sono dei moduli semi prefabbricati con mobilia in cemento; là dentro tutto potrebbe accadere, e probabilmente accade nel totale silenzio. Là continuano ad avvicendarsi le storie mai raccontate di tanti esseri umani dimenticati dal loro Dio e da chiunque creda che essere “straniero” sia un delitto che merita la prigionia preventiva.

Questa è la storia della matricola 3639. Le persone recluse nei Centri Permanenti per i Rimpatri vengono identificate con un numero e questo corrisponde al nome di Omar, rinchiuso a Palazzo San Gervasio.

Circa due mesi fa, Omar riuscì a contattarmi telefonicamente. Non fu facile! Il telefono da cui mi parlava non era il suo. Coloro che vengono definiti “ospiti” infatti non possono usare un telefono proprio. Per contattare i parenti dispongono di quattro cellulari di primissima generazione (senza videocamera e connessione internet), fatti turnare ogni due giorni per circa 10-15 minuti a persona.

Omar mi ha descritto le condizioni esasperanti in cui sono costretti a vivere e mi ha parlato della sua vicenda personale. Era lucido e dimostrava di padroneggiare la lingua italiana.

Nel suo modulo c’era un altro detenuto con gravi problemi di salute; in almeno due occasioni, sono riusciti a scongiurare che si ferisse dopo forti crisi epilettiche. “Non dovrebbe stare qua, così come l’altra persona che condivide la stanza e che ha chiari problemi psichici” mi ha riferito.

L’ avvocato di Omar sembrava completamente disinteressato al suo caso, tanto che avrebbe voluto cambiarlo. Nonostante abbia conosciuto la vita in carcere, ha chiesto di essere rimpatriato pur di uscire da quell’inferno. Era lì solo da due settimane, che per lui sono state più dure del tempo trascorso in prigione. La sua richiesta però non veniva ascoltata. Gli hanno detto chiaramente che più tempo avrebbe passato nel Cpr e più qualcuno ci avrebbe guadagnato.

Omar mi ha fatto una richiesta che dimostra come non sia una persona individualista. Da pochi giorni era arrivato un “poveraccio” vestito di stracci, che aveva freddo ai piedi. “Se puoi, Maurizio, manda per lui un paio di scarpe numero 41 e dei calzini di spugna pesanti”. Quelle scarpe e quei calzini però non sono mai arrivati all’interno del Cpr.

Un paio di giorni dopo la sua prima chiamata, si è fatto risentire. Voleva cambiare avvocato e io gli ho passato il contatto di un’associazione che si occupa di casi come il suo.

Voleva parlare e denunciare tutto ciò che accade all’interno delle mura del Cpr di Palazzo San Gervasio ed era così deciso da essere pronto a rinunciare all’anonimato. All’inizio ero perplesso e ho cercato di dissuaderlo, ma lui era così determinato a parlare con dei giornalisti che alla fine gli ho dato il numero della redazione di Striscia la Notizia.

La sua intervista telefonica è andata in onda il 12 aprile 2023 e da allora non l’ho più sentito. Dopo la prima settimana di silenzio, ho cominciato a preoccuparmi seriamente; temevo che avesse subito ritorsioni, come quella di non poter più utilizzare il telefono.

Mi sono attivato per capire se fosse ancora a Palazzo San Gervasio, ma non era facile avere sue notizie. Alla fine mi hanno detto che non era più nel Cpr e che uno o due giorni dopo la sua intervista aveva subito un trattamento sanitario obbligatorio ed era stato trasferito in una struttura ospedaliera psichiatrica. La notizia purtroppo o per fortuna si è poi rivelata poco attendibile.

Probabilmente è ritornato nella sua terra, in Marocco. Io questo non lo so, anche perché eravamo d’accordo che mi avrebbe chiamato se fosse stato rimpatriato. L’associazione di avvocati non ha mai parlato con Omar e l’unica cosa certa è che lui sembra sparito nel nulla!