Iniziativa, più che mai attuale, di prevenzione della guerra e di costruzione della pace, i Corpi Civili di Pace si configurano come «azione civile, non armata e nonviolenta, di operatori professionali e volontari che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione e trasformazione dei conflitti. […] Gli operatori intervengono … in territori di conflitto o dove si prevede possano scoppiare conflitti determinati da violenza diretta, culturale o strutturale. Il dispiegamento degli operatori può essere previsto quando il conflitto è ancora latente – in funzione preventiva – quando il conflitto è ormai acceso – in funzione di trasformazione nonviolenta e peacekeeping civile – e nella fase post-conflitto – in attività di peacebuilding, per aiutare la ricostruzione del tessuto sociale.

L’intervento avviene solo su “richiesta leggibile” della società civile locale, interessata dal conflitto, e deve essere progettato con la partecipazione di partner locali. […] Sul campo si possono attivare relazioni di collaborazione con altre ONG, agenzie di organizzazioni internazionali, istituzioni pubbliche, solo se tali rapporti non minano l’indipendenza e imparzialità della missione. Con attori armati – regolari e non regolari – non sono ammesse forme di collaborazione o sinergia né scorta armata; può esserci dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di informazioni sulla sicurezza, ove questo non pregiudichi la “legittimità nonviolenta” della missione, in termini di modalità d’azione e di ricezione presso le parti».

Con queste parole, peraltro difficilmente equivocabili, ampia parte del movimento italiano per gli interventi e i corpi civili di pace, raccolto all’epoca nel Tavolo Interventi Civili di Pace, si esprimeva intorno al profilo, alla caratterizzazione e al mandato dei Corpi Civili di Pace, raccogliendo, intorno a questo concetto, diverse tra le organizzazioni di società civile attive per la prevenzione, la gestione costruttiva – appunto non armata e nonviolenta – e la trasformazione dei conflitti, tra le quali, scorrendo l’ordine degli aderenti, Archivio Disarmo, ARCI, ARCS, Papa Giovanni XXIII – Operazione Colomba, Associazione per la pace, Centro Gandhi Edizioni, Centro Studi Difesa Civile, Centro Studi Sereno Regis, MIR Italia, Movimento Nonviolento, Un Ponte per…

Vi si delinea chiaramente il concetto di una squadra civile, adeguatamente preparata e professionalmente formata, di operatori e operatrici di pace, capace di intervenire “sul” e “nel” conflitto, con compiti non solo di lettura, interpretazione, mappatura del conflitto, ma anche di intervento civile, di interposizione nonviolenta, di accompagnamento disarmato, di mediazione e costruzione della fiducia tra le parti in conflitto, di promozione del processo di pace e di riconciliazione, di monitoraggio dei diritti umani e di denuncia delle violazioni. Compiti da svolgere, peraltro, coerentemente con una serie di principi comuni tali da caratterizzare il profilo e le modalità di questo intervento, solo su “richiesta leggibile” della società civile locale, in zona di conflitto:

  • nonviolenza nelle relazioni tra operatori, verso le parti, e nella trasformazione del conflitto,

  • indipendenza da condizionamenti politici, imparzialità rispetto alle parti in conflitto, pur schierandosi nella difesa dei diritti umani, e non ingerenza verso le ONG locali,

  • equità di genere nelle relazioni tra operatori e con la popolazione locale,

  • rispetto per la cultura locale e adozione di uno stile di vita semplice, il più possibile simile a quello della popolazione locale.

Per riprendere le parole del Programma per una Cultura di Pace dell’UNESCO (Parigi, 18 Agosto 1994), «ciò di cui c’è bisogno non è altro che una transizione globale da una cultura della guerra a una cultura della pace. In una cultura di guerra, tutti sono tesi al peggio. Le differenze tra individui e comunità diventano punti di innesco per la mobilitazione e l’estremismo e non semplicemente il ricco pluralismo che la storia ci ha regalato. Prendendo la strada di una cultura di pace, possiamo recuperare ciò che è comune tra noi attraverso un dialogo che prenda il posto dell’ostilità e dell’aggressione. I primi passi in questa transizione da una cultura di guerra a una cultura di pace sono la giustizia e la libertà, due caratteristiche fondamentali della democrazia».

Un profilo chiarissimo, dunque, che, per un verso, non riduce i Corpi Civili di Pace ad esercizio superficiale, spontaneistico, volontaristico e, per l’altro, non sfigura i Corpi Civili di Pace facendone una specie di “truppa civile di complemento” dei contingenti militari dispiegati, di volta in volta, dagli stati europei o della NATO in questo o quel contesto di crisi e di conflitto. Un profilo di innovazione e di modernità, dunque, di fronte alle crisi del nostro tempo e all’esigenza della costruzione, per dirla con Johan Galtung, della «pace con mezzi pacifici».

Il testo del documento è disponibile, tra gli altri, al link:

https://www.antennedipace.org/wp-content/uploads/2019/05/CCP2012_Documento-Criteri-ICP-1.pdf