Giorgio Beretta, autore di “Il paese delle armi”, ha presentato il suo libro giovedì scorso al Centro Studio Sereno Regis, introdotto da Enzo Ferrara.

Il libro rappresenta il riassunto di vent’anni di studi sul commercio delle armi leggere fatte dallo stesso Giorgio Beretta all’interno dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia, ed ha lo scopo di fare chiarezza su un settore produttivo opaco e pieno di luoghi comuni.

OPAL nasce per iniziativa di un gruppo di persone ispirato dalle parole di Kofi Annan, ai tempi Segretario Generale delle Nazioni Unite,  che ha definito le armi leggere “armi di distruzione di massa”  per il numero di vittime che provocano: i fondatori di OPAL si sono resi conto nel 2000 che non esistevano numeri ufficiali sulla produzione e la vendita delle armi leggere in Italia.

Per capire il contesto occorre distinguere tra armi pesanti, la cui vendita in Italia è strettamente regolamentata dalla legge 185/1990 e di cui si possiedono dati completi, ed armi leggere: queste ultime si distinguono in armi automatiche, sviluppate per l’utilizzo militare ed anch’esse regolamentate dalla legge 185/1990, ed armi semiautomatiche che possono essere vendute anche ai civili e che sono l’argomento di interesse principale del libro ed in generale degli studi di OPAL.

Uno dei preconcetti del settore delle armi leggere semiautomatiche è che si tratti di un settore di eccellenza del Made in Italy che contribuisce al PIL italiano in maniera sostanziale e genera numeri occupazionali importanti. Questi preconcetti non si basavano su dati esistenti, tanto è vero che la stessa ANPAM (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili) ha dovuto commissionare uno studio all’Università di Urbino per avere qualche stima attendibile.

La ricerca dell’Università di Urbino ha evidenziato che l’Italia è il primo produttore europeo di armi leggere per un giro di affari di 600 milioni di Euro/anno, pari allo 0,03 % del PIL, occupando 6800 persone. Da questi numeri si può evincere che il comparto italiano delle armi leggere non è così fondamentale né per il PIL, né per il numero di occupati.

Rispetto alla produzione, il 10% circa resta in Italia, il 60% viene venduto negli USA, il 15-20% resta nei paesi dell’Unione Europea, dal 7-15% va verso paesi a rischio per la presenza di regimi autoritari.

Il successo delle armi italiane in USA è citato come prova dell’eccellenza italiana nel settore. In realtà l’andamento delle vendite nel mercato USA è più legato alle dinamiche interne che all’eccellenza del prodotto; gli USA sono una nazione in guerra con sé stessa, essendo il tasso di omicidi altissimo (16 ogni 100.000 abitanti, 32 volte più alto che in Italia) ed il numero di morti per conflitti a fuoco interni è in assoluto maggiore a quello delle vittime nelle guerre a cui l’esercito statunitense ha partecipato durante gli anni. Il mercato di armi negli USA subisce un sensibile aumento delle vendite tutte le volte che un presidente democratico in carica minaccia una stretta sulla vendita di armi a seguito di una delle tante stragi causate dalla loro diffusione capillare.

Un’altra zona grigia è costituita dal numero di italiani che possiedono un’arma legalmente: l’unico dato ufficiale è contenuto in una tabella annuale che appare nella rivista della Polizia di Stato, dato che conta solo i possessori dei vari tipi di porto d’armi (circa 1.500.000), senza indicare il numero dei nullaosta al possesso di armi, che OPAL stima in 1.500.000.

OPAL si è occupata di studiare l’impatto che queste armi hanno nella società italiana, perché un impatto c’è: in estrema sintesi, comparando i dati degli scontri a fuoco con quelli relativi al porto d’armi si evince che le armi per difesa personale vengono usate più spesso per colpire congiunti o rivali che per difendersi da malviventi.