Si è da poco conclusa l’Agorà delle educatrici e degli educatori dal titolo: “La dignità del lavoro educativo.” Tre giorni (Torino, 25/27 Maggio) di discussioni di gruppo e di assemblee promossi dalla rivista Animazione Sociale per rilanciare la dignità di una professione che oggi vive una fase di crisi, ma di cui si ha sempre più bisogno.

Sono molte le educatrici e gli educatori che desiderano oggi cambiare il destino della propria professione, ancora troppo poco riconosciuta a livello sociale ed economico. Paghe inadeguate (7,50 euro all’ora, è la professione con la retribuzione più bassa tra quelle che richiedono un titolo di laurea), condizioni di lavoro precarie, una scarsa considerazione sociale (l’opinione pubblica fatica a dare il giusto valore al lavoro dell’educatore). Tutto ciò sta provocando un esodo dalla professione educativa e un calo degli iscritti ai corsi di laurea per educatori (molte Università non sono riuscite quest’anno a riempire i posti a disposizione). Con la conseguenza che molti servizi fondamentali (educative domiciliari, comunità alloggio, centri diurni per persone con disabilità, sostegni scolastici…) non stanno riuscendo a trovare professionisti educativi.

E in preparazione dell’Agorà delle educatrici e degli educatori la rivista Animazione Sociale ha pensato di lanciare un sondaggio, per ascoltare direttamente la voce delle figure educative e per raccogliere dati che permettano di discutere il problema insieme a tutti gli stakeholders coinvolti: cittadinanza, enti di Terzo settore, enti locali, Regioni, Governo e sindacati.

Dal sondaggio (circa 3.000 risposte) cosa emerge?

Lo scarso riconoscimento sociale della professione è la causa di affaticamento per la maggioranza delle educatrici e degli educatori (68%), mentre il 63% sostiene che siano le condizioni contrattuali. Il 49% alla domanda: “Quanto ti sta affaticando il non riuscire a prenderti cura in modo adeguato delle persone che ti sono affidate?”, risponde: “molto”. Il 44% degli educatori e delle educatrici si dice invece molto affaticato dai carichi di lavoro.

Alla domanda: “Le tue aspettative rispetto alla professione di educatore/educatrice si stanno realizzando?” solo il 17% risponde di sì, mentre il 64% dice “solo in parte” e il 19% (quasi 1 su 5) dichiara “no, per nulla”. Solo il 55% afferma che, se potesse tornare indietro, rifarebbe il percorso di studi per diventare educatore/educatrice, mentre il 16% risponde di no e il 29% si dice incerto. Alla domanda: “Dove ti vedi tra 5 anni?” il 27% dichiara: “nella stessa condizione lavorativa” (non intravede quindi alcuna prospettiva di miglioramento o carriera), il 22% “in un altro servizio o in un’altra organizzazione di tipo educativo” (segno dell’instabilità che ha assunto oggi il lavoro), il 13% “in un ambito lavorativo non più di tipo educativo” (è la quota di educatori/educatrici pronti a ingrossare le fila dell’esodo), mentre il 32% dichiara di vedersi in una funzione di maggiore responsabilità in ambito educativo (percentuale che sale al 40% per la fascia 21-40 anni).

Rispetto al rapporto con la propria organizzazione spiccano due dati: 8 educatori/educatrici su 10 (il 79%) al proprio datore di lavoro chiederebbero (“molto”) una maggiore retribuzione, 7 su 10 (“molto”) percorsi di formazione di qualità. Alla domanda: “Cosa aiuterebbe oggi educatori ed educatrici a uscire dallo scoramento che attraversa la loro professione?” il 78% risponde (“molto”) un contratto lavorativo più adeguato ai compiti e alle responsabilità, il 73% (“molto”) una narrazione che permetta alla società di capire chi è e cosa fa l’educatore. Alla domanda: “Perché hai scelto di fare l’educatore/educatrice?” l’80% del campione risponde “per motivi valoriali e di impegno sociale”, il 17% “per una scelta tecnico-professionale”, il 3% “per la facilità di trovare una occupazione”. La larga prevalenza delle ragioni valoriali e di impegno ci fa comprendere quale capitale di passione umana e civile stiamo rischiando di dilapidare se non si garantiranno al più presto adeguate condizioni contrattuali e lavorative a educatori ed educatrici.

Come uscire da questo diffuso senso di malessere che mette a repentaglio i servizi?

Dall’Agorà sono emerse 4 piste di lavoro:

1.Pensarsi insieme, non da soli”, nel senso che da soli si è fragili, facilmente sotto scacco, costretti a soluzioni di ripiego per uscire dall’angolo. Insieme si può invece essere più influenti.

  • 2.Rendere più visibile e comprensibile il lavoro educativo”. Il lavoro educativo non ha ancora assunto nell’immaginario collettivo lo statuto di lavoro, che come tale richiede competenza, conoscenza, metodo, studio, tecnica. Prevale l’idea dell’educatore come intrattenitore. Per uscire da questo schema di minorità si tratta allora di rendere più visibile il profondo valore della professione educativa. La seconda pista di lavoro proposta all’Agorà è insomma una sfida culturale da portare avanti.
  • 3.Costruire alleanze, non confliggere tra poveri”. Molti educatori ed educatrici ravvisano nelle cooperative sociali “il nemico”, il “padrone” che li maltratta e li sottopaga. Ma siamo sicuri che le cooperative siano il bersaglio giusto? Al netto del malaffare, dello sfruttamento e delle illegalità e di operatori del welfare la cui gestione è opaca e la finalità dubbia, gli stessi soggetti del sociale oggi lamentano la difficoltà di sostenersi economicamente. I primi responsabili di questa situazione sono gli enti pubblici che bandiscono condizioni simili, ma gli enti pubblici a loro volta lamentano di avere risorse scarse per garantire i servizi e allora ricorrono ad appalti con la logica dell’offerta economica più vantaggiosa. È il girone dantesco del welfare italiano, dove chi sta sopra scarica su chi sta sotto la propria impotenza a cambiare le cose: gli enti locali sulle cooperative, le cooperative sugli educatori e al fondo della catena, chi ha oggi bisogno di un supporto educativo di qualità e rischia di non trovarlo. Ma in alto, sopra gli enti locali, c’è ancora qualcuno? Sì, c’è lo Stato, ossia ci sono le scelte assunte dalla politica nazionale in questi anni.
  • 4.Non individualizzare, ma politicizzare la questione”. E’ tempo di dedicarsi a costruire soluzioni collettive, non abbandonando i singoli ad arrangiarsi come possono né chiedendo agli educatori di supplire con il sacrificio di sé a una carenza di politiche di welfare.

Per approfondire: https://www.animazionesociale.it/it-schede-3372-dignita_del_lavoro_educativo.