La crisi economica e sociale che l’Argentina sta attraversando è correlata alle debolezze mostrate dal sistema politico, soprattutto durante questo anno di elezioni, e vengono allo scoperto con la difficoltà nel selezionare candidati per le due grandi coalizioni quella neoliberale Juntos por el Cambio (Insieme per il Cambiamento) e quella peronista-progressista Frente de Todos (Il Fronte di Tutti) che egemonizzano lo scenario politico in vista delle elezioni presidenziali.

L’incapacità del governo cosiddetto progressista di Alberto Fernández di frenare la crisi, oltre al permanente discorso d’odio contro l’opposizione neoliberale e la sua strategia di opporsi a tutto, sono stati gli elementi scatenanti della situazione tesa in cui viviamo.

Nel frattempo, l’intervento della Corte suprema, che aveva l’intenzione di interrompere la sequela di vittorie elettorali delle forze di governo, ha solo mostrato la fiducia dei magistrati nella loro impunità davanti al governo. A metà maggio altri tre governatori legati al governo nazionale sono stati rieletti.

I cortigiani

La decisione della Corte suprema di giustizia di interrompere le elezioni nelle province di San Juan e Tucumán cinque giorni prima che si tenessero ha funzionato come uno schiaffo al governo. Forse questa decisione non va interpretata solo come una mossa contro il potere esecutivo, anche se la disputa tra i due poteri è evidente, ma come volontà di rafforzare la propria posizione di fronte al governo futuro e consolidare la propria autonomia rispetto a un potere politico instabile.

Tutte le decisioni prese da questo tribunale plasmato dalla destra – specialmente durante il governo neoliberale antecedente di Mauricio Macri – sono state contro il peronismo e i suoi alleati, mettendo così in evidenza la propria parzialità. Questa decisione della Corte è anche frutto dell’impatto che ha avuto l’inchiesta realizzata dalla Commissione di giudizio politico della Camera dei deputati sul tribunale di massimo grado.

La Corte pensava che, con la complicità delle agenzie mediatiche, quanto si sarebbe prospettato nel Parlamento avrebbe avuto scarsa importanza, ma è diventato un vero scandalo in cui i quattro giudici si trovano all’epicentro per questioni di corruzione, clientelismo e altri reati rivelati da testimoni tra cui l’ex amministratore della Corte, Héctor Marchi.

Il presidente del Tribunale, e il più litigioso dei “quattro cavalieri dell’Apocalisse”, Horacio Rosatti è stato accusato di fatti abbastanza gravi da rompere il blindaggio mediatico. E l’interruzione delle elezioni a Tucumán e San Juan ha voluto essere una risposta alla Commissione di giudizio politico.

Dalla Corte suprema di giustizia i quattro cortigiani votati da nessuno hanno deciso di restringere il voto di centinaia di migliaia di cittadini. La decisione è un intervento chiaro nella politica delle province argentine. Pone un limite ai tentativi di rielezione dei governatori peronisti Sergio Uñac e Jaldo-Manzur, ma le sentenze non mettono in dubbio gli enormi aspetti antidemocratici di questi regimi politici feudali, come il doppio voto simultaneo1 e l’esistenza del sistema di acoples2.

Ciò che preoccupa è che la spinta verso l’autonomia della Corte suprema di giustizia prende il volo da avvenimenti insospettabili, con la mano dei media egemonici, e anche dalla mancanza di risposte da parte del governo.

Elezioni in vista

L’inquietante cifra di 8,4% a cui è arrivata la variazione mensile del costo della vita (108,8% annuo) mette fine a qualsiasi aspettativa di un abbassamento e obbliga a riconoscere che il dato dell’inflazione «non è ciò che vogliamo», come ha ammesso il presidente Alberto Fernández.

Tuttavia, le risposte sperimentate non permettono di aspettarsi eventi favorevoli nel periodo rimanente di questo governo, mentre si stanno sviluppando reazioni politiche preoccupanti di fronte allo sgomento collettivo. Questo governo ha già raggiunto il record di inflazione di Mauricio Macri e attualmente la ripresa dei salari è un’utopia.

Mancano meno di due mesi alla presentazione di liste e candidature; quattro mesi alle primarie e sei mesi alle elezioni generali. Nella politica, nell’economia e nel sociale persiste un grande interrogativo. La situazione è irrisolta, il Paese è in crisi, l’inflazione è straripante, i partiti tradizionali sono in crisi al punto che diventano competitivi solo formando coalizioni ampie che non di rado sono inefficaci, per la loro eterogeneità, nell’amministrazione delle questioni statali.

Le rinunce di Cristina Fernández de Kirchner e di Mauricio Macri (leader di Frente de Todos e di Juntos por el Cambio, rispettivamente) alla candidatura nelle elezioni ha scatenato dispute interne in entrambe le coalizioni, dissociate da una realtà sociale che non lascia dubbi sull’inoccultabile gravità.

Non ci sono legami tra i politici tradizionali, o i loro partiti e coalizioni, e i problemi della vita quotidiana degli argentini (tranne dei grandi impresari); si lasciano alle intemperie una politica astratta e la stanchezza di una crisi che si protrae nel tempo, fra altre cose, perché nessuno vede una via d’uscita con un futuro che non acuisca le condizioni del presente.

Di sicuro chiunque vincerà le elezioni dovrà imporre un progetto di stabilizzazione, con le conseguenze sociali che tali programmi di solito comportano. Lo slogan “Viva Perón” non basta più per la vittoria.

Cosa vorrà il signor padrone?

Sia la dirigenza politica delle forze di governo, sia quella dell’opposizione sono andate a confrontarsi con i rappresentanti del potere economico, la Camera di commercio degli Stati Uniti in Argentina (AmCham), e il ministro dell’economia Sergio Massa (forse in campagna per la candidatura presidenziale) ha attaccato apertamente il presidente: «Risolvere con le primarie le differenze di governo mi pare un errore gravissimo perché genera incertezza. Se le liti sono dovute al posizionamento individuale, preferisco guardare da bordo campo», ha detto senza che nessuno glielo chiedesse.

Sia l’ambasciatore statunitense Marc Stanley, sia vari funzionari del suo governo che hanno visitato l’Argentina di recente hanno portato avanti i loro interessi: energia, estrazioni minerarie, petrolchimica, commerci agroalimentari, mobilità elettrica, turismo, integrazione commerciale, apertura di nuovi mercati, ricerca di investimenti e impieghi di alto livello.

Nello stesso “vertice”, il presidente della Corte suprema di giustizia Horacio Rosatti ha ripetuto la stessa filastrocca e ha obiettato «l’espansione incontrollata dell’emissione di valuta» perché implica il non adempimento del mandato costituzionale di difendere il valore della moneta.

Il segretario al Commercio interno Matías Tombolini ha risposto che le importazioni autorizzate hanno superato del 12% quelle dell’anno precedente e che gli scambi commerciali sono stati i maggiori mai visti. Inoltre, ha fatto riferimento al ruolo delle banche che hanno aiutato la fuga di valuta: un’allusione diretta al presidente di AmCham, Facundo Gómez Minujín, che è pure direttore esecutivo di J.P. Morgan Argentina.

Spoliticizzazione

In tempi di crisi di rappresentanza, di separazione tra rappresentanti e rappresentati, emerge il potere della burocrazia, delle caste e delle corporazioni, secondo l’analista Juan Guahán. Davanti allo svuotamento della partecipazione popolare, il potere mira a una spoliticizzazione che aumenta il trasferimento del potere a settori tecnocratici legati al potere economico globale e alle sue istituzioni, come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e l’Organizzazione mondiale del commercio.

A essi si aggiunge una mescolanza di enti internazionali al servizio del potere economico mondiale, creati per cercare di influire sulla vita di distinti territori (OEA, l’Organizzazione degli Stati americani) e settori dell’umanità, per esempio, in materia di salute (OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità, e OPS, l’Organizzazione panamericana della sanità), d’istruzione, di scienza e cultura (Unesco), di lavoro (OIT, l’Organizzazione internazionale del lavoro).

Esaminando questi momenti di crisi di egemonia, Antonio Gramsci aveva indicato (in Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno) che sono situazioni dove si rafforza «la posizione relativa del potere della burocrazia (civile e militare), dell’alta finanza, della Chiesa e in generale di tutti gli organismi relativamente indipendenti dalle fluttuazioni dell’opinione pubblica».

A proposito, per caso riusciamo a concepire un’istituzione più estranea all’opinione pubblica rispetto alla Corte suprema di giustizia?

Questa è politica, stupido!

Ma il vero problema argentino è che la persistenza dell’inflazione ha indebolito il governo, ha squilibrato i poteri davanti alla carica della corporazione giudiziaria e ha complicato l’elezione di candidati nelle due coalizioni – quella neoliberale di Juntos por el Cambio e quella peronista di Frente de Todos -, quando invece sarebbe servita una soluzione più fluida.

Il ministro dell’economia Sergio Massa ha chiesto di «mettere ordine nella politica per mettere in ordine l’economia». Di sicuro questa narrazione inverte i termini della relazione causale. Il disordine politico emerge dallo scompiglio economico approfondito negli ultimi tre anni dal governo di Alberto Fernández, con la mano del Fondo monetario internazionale, dopo la gravissima crisi dovuta al neoliberismo macrista. Il caos si è manifestato di nuovo nel terribile indice d’inflazione.

L’inflazione ha logorato per prima la figura del presidente, che ha ritirato la sua presentazione alla rielezione. Ma ora ha anche preso in pieno le ambizioni di Massa.

La crisi inoltre ha raggiunto il federalismo argentino, un modello disfunzionale nato col golpe militare del 1955 e che non contribuisce allo sviluppo economico e sociale; tuttavia nessuno osa metterlo in dubbio. Per di più, le dittature lo hanno sventolato come una bandiera, il che dimostra meglio dei risultati come sia un elemento presente trasversalmente nella cultura politica argentina; così dice César Tcach, titolare del Master in Partiti politici all’Università Nazionale di Córdoba.

In questa crisi dell’economia e nel conseguente malumore sociale si radicano, inoltre, le ragioni della rinuncia elettorale di Cristina Fernández de Kirchner, due volte presidentessa e attuale vicepresidentessa. Questa rinuncia, dopo il fallito tentativo di omicidio contro la sua persona, appare come un fantasma sempre sul punto di svanire.

L’unico favorito di tutto lo scandalo (o meglio, degli scandali) è Javier Milei, esponente di estrema destra, con le sue proposte di libero mercato e di agganciare l’economia al dollaro, di traffico di organi umani e di eliminazione dell’istruzione pubblica, da rimpiazzare con un sistema di voucher affinché i poveri scelgano la scuola privata che vogliono frequentare, in perfetto stile di una parte del sistema d’istruzione degli Stati Uniti. Originale, senza dubbio.

Le grida di Milei in televisione e in radio sono in sintonia con il livello di incertezza e rabbia quasi isterica imperanti nella società e che sono causate dall’impossibilità di prevedere quanto costerà il giorno dopo il cibo, i vestiti e l’affitto. La sinistra? L’unica vera sinistra è quella per strada e che, in genere, non viene presa in considerazione dai mass media o che viene repressa dalle “forze dell’ordine”.

di Aram Aharonian

Note di traduzione:

1 Leyes de lemas in spagnolo sono un tipo di sistema elettorale che funziona a grandi linee come segue: ogni partito politico o coalizione di partiti forma un lema; ogni lema può avere dei sottogruppi (sublemas) con enfasi politiche e/o strutture diverse tra loro. Gli elettori votano un sublema e i voti di ogni sublema si sommano a quelli del lema a cui sono aggregati. Per esempio, ciò fa sì che, nonostante il candidato governatore X di un lema abbia ottenuto il maggior numero di voti individuali, se il suo lema (coi suoi corrispettivi sublemas) ha ottenuto meno voti in totale rispetto al lema avversario, X perde le elezioni. Fonte.

2 Sistema de acoples in spagnolo; sono un tipo di sistema elettorale che ha sostituito le leyes de lemas e secondo cui vari candidati a cariche diverse possono presentarsi al voto con alleanze, in modo da incanalare voti a uno stesso candidato al governo. Per esempio: si candida il governatore Y (con un vicegovernatore e un intendente) che si allea con vari legislatori e consiglieri in varie liste; i voti ai vari legislatori e consiglieri contribuiscono ad aumentare il numero di voti utili al governatore Y (con vicegovernatore e intendente) anche se non è stato votato direttamente. Fonte.

Traduzione dallo spagnolo di Mariasole Cailotto. Revisione di Thomas Schmid.

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