Il Governo ha presentato il nuovo DEF (Documento di Economia e Finanza), che prevede una crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) dell’1% nel 2023, dell’1,5% nel 2024, dell’1,3% nel 2025 e dell’1,1% nel 2026.

Sembrano dati abbastanza positivi, ma se andiamo a vedere le previsioni del DEF sull’aumento degli interessi sul debito pubblico, la preoccupazione è notevole. Questo incremento del costo del debito è dovuto al rialzo dei tassi di interesse fissati dalla BCE (Banca Centrale Europea). Ovviamente ne risentono di più i Paesi più indebitati e l’Italia – purtroppo – è in cima alla classifica.

La spesa per interessi sul debito dello stato italiano, che negli ultimi anni si era attestata intorno ai 60 miliardi di euro all’anno, si prevede che sarà di 75 miliardi nel 2023, 86 miliardi nel 2024, 91 miliardi nel 2025 e 100 miliardi nel 2026.

Si tratta di risorse pubbliche che potremmo definire “sprecate”, poiché non verranno utilizzate per fare investimenti o per finanziare servizi ai cittadini, ma finiranno nelle tasche di chi possiede titoli di stato, cioè dei creditori. Di conseguenza, nei prossimi anni tendenzialmente ci saranno sempre meno risorse a disposizione per politiche sociali, sanitarie, scolastiche, ambientali, ecc., poiché verranno sempre più erose dagli interessi da pagare sul debito.

Di fatto il debito pubblico è la principale palla al piede dell’Italia. Ogni anno viene chiuso il bilancio in deficit a causa degli interessi sui debiti pregressi. Ogni anno si spera che l’economia cresca, cioè in un aumento del PIL per contenere il rapporto debito/PIL.

Soltanto con la crescita riusciremo a risolvere il problema del debito pubblico italiano”: è questo il mantra che abbiamo sentito negli ultimi decenni. In realtà, se la crescita non arriva o peggio si materializza una crisi, ci troviamo immediatamente nei guai. E infatti il debito nel frattempo non è diminuito.

Il DEF prevede che il rapporto debito/PIL nel 2023 sia del 142,1% e che scenda molto lentamente negli anni successivi fino al 140,4% nel 2026. Insomma, anche nel 2026 la condizione debitoria dell’Italia sarà simile a quella attuale.

Una classe politica seria dovrebbe porre questo tema all’ordine del giorno e cercare di trovare una soluzione strutturale. Da almeno 15 anni non accade. E così continuiamo a galleggiare sereni sulle onde del debito fino al prossimo maremoto. Sapendo che i più ricchi se la caveranno comunque. Gli altri no.