BANGLADESH. RANA PLAZA 10 ANNI DOPO: APPELLO A UNA ‘SPORCA DOZZINA’ DI BRAND

ATTIVISTI: IN CROLLO 1.138 MORTI, BRAND FIRMINO INTESA SICUREZZA

(DIRE) Roma, 21 apr. – Tutti i marchi, europei e italiani compresi, devono firmare l’accordo per la sicurezza del lavoro in Bangladesh, esteso lo scorso anno al Pakistan: è l’appello condiviso con l’agenzia Dire da Deborah Lucchetti, di Campagna abiti puliti (Clean Clothes Campaign), per il decimo anniversario del crollo del Rana Plaza nel quale rimasero uccise almeno 1.138 persone.
I feriti estratti dalle macerie furono oltre 2.500. “Una tragedia immane”, ricorda Lucchetti, “un omicidio colposo di fatto di lavoratori che poteva essere evitato se solo le misure preventive di sicurezza fossero state adottate da chi ne aveva la responsabilità”.
Del dovere di sottoscrivere l’accordo internazionale l’attivista ha detto nei giorni scorsi, in occasione di un convegno promosso dai sindacati Cgil, Cisl e Uil a Roma, con il titolo ‘Mai più Rana Plaza’. “Bisogna far sì”, sottolinea Lucchetta, “che i progressi ottenuti negli ultimi anni siano mantenuti, rafforzati ed estesi”.
Secondo uno studio pubblicato dall’ong ActionAid, fondato su interviste a 200 sopravvissuti del crollo, oggi oltre la metà di loro è disoccupata. Sempre stando alla ricerca, in un caso su cinque le persone hanno detto di non riuscire a trovare un impiego adeguato a causa di problemi respiratori, lesioni alle mani o alle gambe, difficoltà di deambulazione o disturbi agli occhi.
Il Rana Plaza era un edificio di otto piani costruito nel 2006 e proprietà di Sohel Rana. Il palazzo ospitava fabbriche e produzioni tessili che impiegavano circa 5mila lavoratori, oltre che negozi e una banca. Tra i marchi che si rifornivano di abiti figuravano Benetton, Bonmarché, Prada, Gucci, Versace, Moncler, Zara, the Children’s Place, El Corte Inglés, Joe Fresh, Mango, Matalan, Primark e Walmart.
Campagna abiti puliti ha promosso insieme con l’organizzazione americana Remake una petizione gestita dalla piattaforma Eko e rivolta alla cosiddetta “sporca dozzina”, brand come Levi’s, Ikea e Amazon, accusati di non aver firmato l’accordo per la sicurezza dei lavoratori in Bangladesh.