«Non esiste transizione ecologica senza diritti umani». Questa la dichiarazione rilasciata da Greta Thunberg durante il sit-in di protesta con cui è stato bloccato l’ingresso del ministero dell’Energia norvegese a Oslo. A giustificare il sit-in, a cui hanno preso parte decine di altri manifestanti, la richiesta proveniente dalla popolazione indigena dei Sami di smantellare le pale eoliche costruite sui terreni di loro proprietà.

Una richiesta, in apparenza, difficilmente comprensibile alla luce degli sforzi che si stanno compiendo per lasciarsi alle spalle la dipendenza dai combustibili fossili e favorire una transizione verso fonti di energia rinnovabile. Una transizione che avendo tra i suoi obiettivi la riduzione dell’inquinamento andrebbe senza dubbio a beneficio anche dei popoli indigeni dell’Artico, tra cui – appunto – il popolo Sami. È bene ricordare che l’Artico, che comprende anche parti del territorio norvegese, risente in modo esponenziale degli effetti prodotti dai cambiamenti climatici. Solo negli ultimi 30 anni, infatti, si è riscaldato a una velocità doppia rispetto al resto del globo. Una circostanza, quest’ultima, che non può che tradursi in una minaccia per chi tra i ghiacci artici vive e si sposta.

Ancora una volta, quindi, è sulla pelle di chi meno contribuisce al climate change che si aprono le ferite da esso provocate ed è su quella stessa pelle che si sperimentano modi, non sempre efficaci, per sanare quelle piaghe. Frequentemente, però, che più che soluzioni si riescono a trovare semplici palliativi e così, rifiutando la complessità con cui invece bisognerebbe confrontarsi in una simile situazione, si guarda ai parchi eolici come a strumenti significativi per favorire la transizione energetica, senza prendere in considerazione gli impatti negativi che pure non mancano. Infatti, come spiegato dai Sami, la vista e il suono prodotto dai giganteschi macchinari per l’energia eolica spaventano i loro animali e minacciano la tradizione secolare dell’allevamento di renne a cui è intimamente legata la loro cultura.

Non a caso, già nel 2021, la Corte suprema norvegese era intervenuta sulla questione stabilendo che i due parchi eolici costruiti a Fosen, nella Norvegia centrale, violavano i diritti dei Sami secondo le convenzioni internazionali. Ciononostante, a 16 mesi di distanza dalla pronuncia della Corte, le turbine sono ancora in funzione, provocando la protesta dei Sami, che chiedono lo smantellamento delle stesse e il rispetto dei diritti legali. Da parte sua, invece, il Ministro dell’Energia e del Petrolio norvegese in una dichiarazione rilasciata a Reuters ha affermato che il destino finale dei parchi eolici è un complesso quesito legale che va ben oltre quanto stabilito dalla sentenza della Corte suprema. Il verdetto emesso da quest’ultima, infatti, non contiene nessuna indicazione su cosa dovrebbe accadere alle 151 turbine presenti all’interno dei parchi né fa espressa menzione delle decine di chilometri di strade realizzate per facilitare la costruzione dei parchi. E poiché le turbine sono in grado di alimentare circa 100.000 abitazioni norvegesi il Ministro si augura di trovare un compromesso che non conduca a una loro definitiva rimozione.

Nessun compromesso, tuttavia, sarà realizzabile se si escludono le istanze dei popoli indigeni perché come ha detto Greta Thunberg: «I diritti degli indigeni e i diritti umani devono andare di pari passo con la protezione e l’azione per il clima. Se questo avviene a spese di alcune persone allora non è giustizia climatica». Ed è proprio da queste parole che occorre partire per ripensare prima e riscrivere poi le azioni a favore di clima e ambiente se non si vuole incorrere negli stessi identici errori causati da annose politiche climatiche condotte per favorire gli interessi economici di pochi mentre si fingeva di tutelare il nostro pianeta e i suoi abitanti più vulnerabili.

Virgilia De Cicco

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