Comprendere il conflitto in Ucraina per agire in direzione della pace

La Scuola per la pace di Torino in collaborazione con la Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci ha organizzato venerdì 10 marzo 2023 presso il Polo del 900 di Torino il convegno “Articolo 11: l’Italia ripudia la guerra” con l’obiettivo dichiarato di aumentare la comprensione sul conflitto in Ucraina, superando la dicotomia aggressore-aggredito che cristallizza la situazione al tempo presente impedendo il dialogo e la ricerca di soluzioni diplomatiche al conflitto.

Coordinati da Giorgio Monestarolo per la Scuola per la pace Torino, sono intervenuti:

Alberto Negri, giornalista e inviato di guerra, Nico Piro, inviato tg3, Alessandra Algostino, costituzionalista, Gian Giacomo Migone, storico, Sara Reginella, psicoterapeuta e documentarista, Raffaele Sciortino, studioso di relazioni internazionali

Le conseguenze politiche della guerra

Secondo Alberto Negri, intervenuto via streaming, è difficile in Italia discutere razionalmente sul conflitto Russo-Ucraino e comunque, malgrado la propaganda bellica, più del 50% degli italiani sono contrari all’invio di armi in Ucraina e favorevoli al raggiungimento della pace attraverso una più intensa iniziativa diplomatica.

Durante le crisi balcaniche degli anni 90, Milovan Gilas, autore di Conversazioni con Stalin, disse che in Jugoslavia si stavano pagando i conti in sospeso della seconda guerra mondiale: anche in Ucraina si stanno pagando in conti in sospeso della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, conti che prevedono la sparizione degli stati cuscinetto quale appunto l’Ucraina è.

Chiaramente, l’attuale conflitto esplode con la dissennata e male organizzata iniziativa di Putin del febbraio 2022, ma risulta miope non considerare la successione degli eventi che hanno portato all’attuale situazione.

Il 2021, ad esempio, ha visto una intensa offensiva diplomatica degli USA contro il Nord Stream due, appoggiata da una mozione esplicita in tal senso del Congresso e dalla dichiarazione altrettanto esplicita di Biden durante un incontro ufficiale con il cancelliere Scholz ad inizio febbraio 2022. Questa attività diplomatica si inseriva nel solco del tentativo degli USA di destrutturare i legami economici tra Russia ed Europa cominciata già da tempo, tentativo che ha subito un’accelerazione con l’uscita di scena di Angela Merkel, unica figura in grado di dialogare efficacemente sia con gli Stati Uniti che con la Russia.

Questo tentativo di colpirla nei suoi vitali interessi economici è stato uno dei motivi che ha scatenato la reazione di Mosca, da un lato con il lancio dell’”operazione speciale”, dall’altro con l’intensificarsi delle relazioni economiche con il resto del mondo: il mondo sta cambiando perché, di fatto, Cina, India e gli altri grandi stati che non fanno parte del cosiddetto occidente continuano a mantenere relazioni economiche con la Russia consentendo alla sua economia di sopportare le sanzioni di Europa e USA.

In questo si vede l’inizio di quel mondo multipolare che le diplomazie occidentali vedono come fumo negli occhi.

Come difendersi dal marketing della guerra

Secondo Nico Piro dobbiamo considerare due fronti: quello bellico, che rischia di trasformarsi da conflitto locale a conflitto continentale con il rischio nucleare ed il fronte interno del pensiero unico bellicista.

Il pensiero unico bellicista vuole imporre l’idea che la guerra sia l’unica soluzione e stigmatizza chi vuole la pace e nel fare questo riduce gli spazi democratici. Poche sono le voci più ragionevoli che si ergono ad argine di questa visione del mondo: è impossibile non citare Papa Francesco, che già in tempi non sospetti parlava di Terza Guerra Mondiale a pezzi ed ora comincia a parlare di Terza Guerra Mondiale di fatto; gli stessi vertici militari hanno posizioni più prudenti di quelle dei “giornalisti con l’elmetto”.

La memoria può essere un’ottima difesa contro il pensiero unico bellicista ed in questo Nico Piro è d’accordo con l’approccio dell’intervento di Alberto Negri, aggiungendo alcune riflessioni nate nella sua esperienza di inviato in Afganistan, dove ha capito che la guerra non risolve nessun problema anzi complica quelli preesistenti.

Gli Stati Uniti tramite l’operazione Cyclone[1] hanno riempito l’Afganistan di armi per far cacciare i sovietici dal paese, quelle stesse armi hanno consentito ai talebani di conquistare il paese qualche anno dopo; il fiume di armi che stiamo mandando in Ucraina è ugualmente incontrollabile e nel migliore dei casi genererà instabilità nella regione per gli anni a venire; inoltre stiamo “dopando” l’Ucraina con l’idea di vittoria, ma nessuno spiega a quale vittoria puntiamo.

La costruzione del dualismo aggredito/aggressore fa tacere qualsiasi senso critico ed è alla base dei conflitti armati che hanno bisogno, per potersi esplicitare, della costruzione di un nemico con cui non si può dialogare.

Non si può nemmeno dire che l’aggressività di Putin sia un fulmine a ciel sereno: chi sia Putin è diventato chiaro con l’omicidio di Anna Politkovskaja[2], il 7 ottobre 2006, ma grazie all’abitudine occidentale di distinguere tra dittatori buoni e dittatori cattivi, si sono fatti affari miliardari con il regime liberticida russo per anni.

La comunicazione e i mass media. Gli effetti della propaganda di guerra

Sara Reginella parte per il suo intervento dalla sua esperienza di psicoterapeuta e dai suoi viaggi in Donbass che sono riprodotti in una serie di documentari[3].

L’Ucraina è in guerra da nove anni e non si possono capire i fatti di oggi senza considerare questa parte della storia. Nel 2014, quasi per caso, Sara Reginella ha preso contatti con colleghi russi e del Donbass ed è stata quattro volte nelle zone di guerra. Ha cominciato così a documentare una realtà che vedeva sotto i suoi occhi e che non collimava con il racconto che faceva il main-stream di questo conflitto, taciuto o tuttalpiù derubricato come conflitto a bassa intensità. Ma i civili del Donbass vengono colpiti dal 2014 da bombe e proiettili a bassa intensità, alcuni muoiono sotto i colpi di artiglieria, che ora sono anche di produzione NATO.

La propaganda di guerra provoca nelle opinioni pubbliche il distacco dalla realtà ed un funzionamento border-line della coscienza, corrispondente alla semplificazione del reale in un dualismo di base (bianco/nero, aggressore/aggredito), la stimolazione di sentimenti come l’odio e la paura, l’impossibilità di un confronto dialettico con conseguente “istupidimento” del pensiero.

Stati Uniti ed Europa di fronte alla guerra di Putin

Secondo Gian Giacomo Migone la situazione è estremamente pericolosa perché nella guerra in Ucraina si confrontano due imperi in declino che si attaccano al passato per giustificarsi, una situazione simile a quella che provocò la Prima guerra Mondiale, costata ottanta milioni di morti.

La Russia ha bisogno di buttare all’esterno i propri conflitti interni, così come gli USA che negli ultimi decenni hanno vinto le guerre, ma perso la pace.

Gli imperi in declino hanno avuto interesse a far cominciare la guerra in Ucraina ed hanno interesse a farla continuare; se Biden definisce Putin un criminale di guerra vuol dire che non ha alcuna intenzione di cominciare dei colloqui di pace.

Migone sta dalla parte civili e dei militari vittime del tritacarne ucraino; è una guerra contro questi poveri uomini ed è una guerra contro noi europei. Gli USA non si fermeranno perché vorrebbero ricostituire una logica bipolare che non esiste più; la multipolarità è l’unica via d’uscita; in questa direzione, il G20 non basta ed il consiglio di sicurezza dell’ONU, nato in una logica bipolare, risulta bloccato.

Nell’attesa della nascita di una politica internazionale multipolare, occorre fare tutti gli sforzi possibili per un cessate il fuoco immediato in Ucraina.

La Costituzione dalla parte del popolo pacifista

Secondo Alessandra Algostino è fondamentale uscire dal pensiero unico bellicista e riprendere a discutere perché la democrazia è conflitto, discussione e media liberi, in caso contrario si scivola inesorabilmente verso un liberismo autoritario.

L’articolo 11 della nostra costituzione dice che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; i padri costituenti hanno usato la parola ripudia perché più forte di altre.

La Costituzione prevede la guerra solo in caso di difesa del territorio nazionale: da ciò deriva che l’invio delle armi in Ucraina ovvero risolvere una controversia internazionale con la guerra è contrario all’articolo 11.

Ancora, l’articolo 11 prevede la possibilità di aderire ad alleanze militari difensive come era la NATO nei suoi primi anni. Se l’Alleanza Atlantica si trasforma da alleanza difensiva in alleanza offensiva, come nei vari casi di interventi preventivi, farne parte diventa per l’Italia incostituzionale.

Nella sua idea del ripudio della guerra, la Costituzione italiana è fortemente pacifista e non potrebbe essere altrimenti dato il contesto storico in cui è nata; la logica della guerra ci chiude al presente e non ci fa vedere possibili soluzioni a causa della dicotomia amico/nemico; in poche parole, la logica della guerra distrugge la democrazia.

Il conflitto ucraino all’interno dello scontro Usa Cina

Raffaele Sciortino inserisce il conflitto ucraino all’interno del più grande conflitto tra USA e Cina.

Per farlo deve tornare un po’ indietro nel tempo, ovvero alla decisione di interrompere la convertibilità tra dollaro ed oro presa dal presidente Nixon nel 1971, decisione che pose fine agli equilibri nati dopo gli accordi di Bretton Woods ed ai trent’anni gloriosi dell’economia.

Da quel momento il dollaro diviene un bene rifugio ed un arma economica che serve per ricostruire l’egemonia USA in declino; parallelamente gli USA riprendono i rapporti diplomatici con la Cina costituendo un triangolo strategico USA-Cina-URSS che consente agli USA di uscire dal pantano del Vietnam.

Successivamente gli USA offrono alla Cina la possibilità di accedere la mercato mondiale, alle tecnologie e ai capitali occidentali, avviando il processo che porterà all’integrazione del mercato mondiale, allo spostamento della produzione nei paesi emergenti, al depotenziamento dei movimenti sindacali nei paesi occidentali.

La Cina, a prezzo di enormi sacrifici della sua forza lavoro, realizza in 20 anni quella crescita che le precedenti rivoluzioni industriali avevano ottenuto in 150 anni. In cambio, la Cina è costretta ad investire una parte del suo surplus nel debito pubblico USA.

Questo processo, universalmente conosciuto con il nome di globalizzazione, dà il suo massimo risultato nei primi anni del millennio, anche grazie al crollo dell’URSS. Si tratta comunque di un modello insostenibile che subisce il suo primo punto di arresto durante la crisi finanziaria del 2008.

Da quel momento il processo di globalizzazione si è notevolmente rallentato fino ad arrivare al recente tentativo di escludere la Cina dalle filiere tecnologiche più avanzate. La Cina, nel frattempo, ha ristrutturato il suo modello di sviluppo privilegiando il mercato interno e la ricerca tecnologica e tentando di rinegoziare le condizioni commerciali con l’occidente per avere più risorse per i propri lavoratori. Questo gli USA non possono permetterlo per mantenere l’egemonia del dollaro, egemonia che il resto del mondo vorrebbe interrompere al favore di un modello multipolare.

Tutto questo provocherà in prospettiva una disarticolazione dell’ordine mondiale, ma rappresenta l’unica possibilità per superare il modello capitalista/neoliberista.

Giorgio Monestarolo (foto Marioluca Bariona)
(foto Marioluca Bariona)
Alberto Negri (foto Marioluca Bariona)
(foto Marioluca Bariona)
Nico Piro (foto Marioluca Bariona)
Sara Reginella (foto Marioluca Bariona)
(foto Marioluca Bariona)
Gian Giacomo Migone (foto Marioluca Bariona)
Gian Giacomo Migone (foto Marioluca Bariona)
Alessandra Algostino (foto Marioluca Bariona)
Raffaele Sciortino (foto Marioluca Bariona)

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Cyclone

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Anna_Stepanovna_Politkovskaja

[3] https://www.youtube.com/@SaraReginellaVideoProjects