La vicenda di Alfredo Cospito che dopo 80 giorni di digiuno per protestare contro il regime del 41 bis al quale è sottoposto, rischia ormai la vita, ha riaperto il dibattito sul sistema penale e sul ruolo della magistratura nel nostro paese.

Per capire il presente bisogna partire da lontano. Erano gli anni settanta quando in un paese sull’orlo della guerra civile, la politica incapace di gestire la situazione, delegò la magistratura, tramite l’adozione di una legislazione speciale, ad un ruolo di supplenza, nel tentativo di contrastare e sconfiggere le forze rivoluzionarie che agitavano il paese. Per varie ragioni – che qui omettiamo – il tentativo ebbe esito positivo, ed ancora oggi quegli anni di lotte e di rivolte nelle narrazioni ufficiali sono catalogati in modo semplicistico come gli anni di piombo; e l’intreccio di varie e complesse vicende viene generalmente e sbrigativamente semplificato proprio attraverso le sentenze della magistratura, che sono spesso usate come le sole fonti con cui scrivere una storia zoppicante.

Affidare alla magistratura un ruolo chiaramente politico e apertamente repressivo, di ricomposizione dell’ordine sociale esistente, è un evidente tradimento delle sue funzioni originarie. La stessa teoria della divisione dei poteri nasce dall’idea che la magistratura nell’applicare la legge deve avere come suo primo obiettivo quello di proteggere il cittadino da ogni possibile abuso da parte del  potere. Per questo esiste anche un controllo di costituzionalità, che nei sistemi di common law viene affidato alla stessa magistratura ordinaria: Giusto ad evitare la tentazione della legislazione speciale che tende a piegare  l’universalità astratta della norma penale, verso il raggiungimento di specifici obiettivi politici.

Gli straordinari risultati ottenuti a partire dagli anni ottanta dalla magistratura nella lotta alla mafia (in questo caso per meriti propri e almeno all’inizio senza leggi speciali), sono stati un ulteriore pretesto per assegnare ai magistrati ruoli che non gli sono propri. 

La storia dei rapporti tra politica e magistratura nel nostro paese, viene poi ad intrecciarsi con una tendenza che sembra essere ormai tipica di tutte le liberal democrazie dell’Occidente, in cui pare che il ruolo repressivo delle polizie tenda ad assumere il senso dell’intervento di ultima istanza, mentre tende ad allargarsi sempre più l’aspetto della azione preventiva affidata alla magistratura.

Si è in questo modo via via affermata la perversa idea della necessità di legislazioni speciali da affidare alla magistratura con finalità di tipo repressivo, secondo la logica per cui “il fine giustifica i mezzi”, per cui di fronte al crescere (vero o presunto) della pericolosità sociale del crimine è necessaria una risposta che, piuttosto che puntare su battaglie di educazione e di cultura fondate sulla centralità dei valori, ha portato ad inserire nel nostro sistema penale e carcerario alcuni strumenti che sono totalmente in contrasto con i più elementari principi umanitari e di rispetto della integrità fisica e psichica della persona.

Il 41 bis e l’ergastolo ostativo vanno immediatamente cancellati dal nostro sistema penale, per una questione di civiltà e di umanità. Su questo non ci sono discussioni

Naturalmente si può anche legittimamente discutere sulla validità che possono avere in sé i motivi che hanno portato a queste scelte drastiche, e si possono cercare risposte alternative. Quello che conta è che il sistema penale e carcerario non può inseguire il crimine sul suo stesso terreno di inciviltà e di disumanità. Il reo risponde esclusivamente per sé, il magistrato al contrario sentenzia “in nome del popolo”, vale a dire in nome di tutti noi.

In questa deriva politicista dell’azione penale, (con annesse passerelle televisive di magistrati che si sbizzarriscono a dire la loro, quando dovrebbero essere semplicemente “la bocca della legge”), un significato particolare assumono le cosiddette “misure preventive”. Qui siamo praticamente al surreale. L’idea che attraverso la prevenzione si possano applicare misure di tipo restrittivo ed afflittivo, laddove non c’è reato, o il reato non è stato comunque ancora giudicato, è l’espressione più significativa e paradossale della negazione dei principi dello stato di diritto. Le misure di tipo preventivo (di cui la più classica è la carcerazione preventiva) andrebbero applicate solo in casi eccezionali e con precise limitazioni. In particolare:

Le misure preventive vanno applicate solo nell’ambito del processo penale, con precisi limiti temporali, e con congruo risarcimento in caso di assoluzione o di dimostrata inutilità delle stesse.

Al contrario dell’uso molto prudente che se ne dovrebbe fare, e comunque sempre in ambito penale, le misure preventive sono oggi usate in modo sempre più spregiudicato, al punto che forse ancor più dello stesso 41 bis e dell’ergastolo ostativo, sono ormai diventate ciò che da la misura vera dell’uso sempre più politico e repressivo della magistratura. 

Le misure preventive vengono ampiamente (e proditoriamente) usate contro gli oppositori politici, di cui viene riconosciuta una presunta “pericolosità sociale”, spesso non sostanziata da fatti che abbiano rilevanza penale. (Particolarmente significativi sono per esempio i due anni di sorveglianza speciale per Eddi Marcucci, rea di avere combattuto con i curdi contro i terroristi dell’ISIS).

Ancora più clamoroso l’uso delle misure preventive nell’ambito della legislazione antimafia, in cui è emblematica la situazione di imprenditori i cui patrimoni sono stati sequestrati e mai più restituiti (o restituiti ormai ridotti ad un cumulo di macerie) malgrado siano stati riconosciuti in sede penale del tutto estranei al fenomeno mafioso. Come è possibile tutto questo? Evidentemente si suppone che l’azienda di successo vada distrutta perché troppo appetibile per la mafia. Mi permetto di ricordare che allo stesso modo tanti anni fa una ragazza troppo bella o troppo sexy veniva considerata complice del suo stupratore (reale o potenziale che fosse). 

E’ questa la logica della guerra totale a cui va opposta la logica dello stato di diritto, che spesso corrisponde molto semplicemente al buon senso comune.