Quando nel 2014, in occasione del centenario dello scoppio della “grande guerra”, scrivevo della pace dal basso tra le trincee della Grande guerra nel Natale del 1914 non potevo immaginare che meno di un decennio dopo nuove trincee – non metaforiche ma reali – avrebbero attraversato l’Europa, nella incredibile guerra ormai internazionalizzata che si svolge sul territorio ucraino. Nonostante il conflitto nelle regioni del Donbass fosse iniziato proprio nella primavera-estate dello stesso anno, con crescenti vittime ma ignorato dai media italiani, l’invasione russa dell’Ucraina dello scorso 24 febbraio e il supporto militare a quest’ultima da parte dei paesi aderenti alla Nato, ha proiettato questo conflitto armato, inizialmente “a bassa intensità”, in una guerra vera e propria, con centinaia di migliaia di vittime tra i due fronti. Una guerra fratricida nel cuore del territorio europeo, che ricorda per certi versi proprio la prima guerra mondiale, soprattutto per l’incapacità da parte delle diplomazie europee di trovare soluzioni negoziali al conflitto, per la retorica bellica che accompagna tutte le parti nella ricerca della “vittoria”, anziché della pace, e il conseguente forsennato riarmo. Condizioni che allora portarono i sovrani e i governi – come “sonnambuli” incapaci di vedere l’abisso verso il quale si dirigevano – nell’ecatombe della guerra mondiale. Ipotesi evocata tragicamente, ancora, di nuovo i questi mesi.

Eppure, allora, non tutti avevano perso il lume della ragione. Non lo avevano perso i pacifisti, diversi dei quali vittima dei contrapposti interventismi già prima della guerra: dai più noti, come il leader dei socialisti francesi Jean Juarès assassinato a Parigi il 31 luglio 1914, ai dimenticati e giovanissimi operai italiani Mario Baricchi e Fermo Angioletti, uccisi dai carabinieri a Reggio Emilia il 25 febbraio 1915. Non lo avevano perso i disertori e i renitenti alla guerra che a migliaia furono passati per le armi dai rispettivi eserciti nazionali, con il vergognoso primato dell’esercito italiano che fece “giustiziare” oltre mille ragazzi, tra sentenze dei tribunali di guerra e decimazioni sul posto. Non avevano perso, infine, il lume della ragione quei soldati britannici, tedeschi e francesi che, stanchi di marcire da mesi nelle trincee scavate nel “fronte occidentale” delle Fiandre, nel cuore d’Europa – mandati a morire ed uccidere uomini con lo “stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore”, come cantava Fabrizio De Andrè – la notte di Natale sospesero le ostilità, imposero una tregua di fatto e fraternizzarono con il nemico della trincea opposta, compiendo un grave atto di insubordinazione, del quale pagarono il costo. Una disobbedienza civile che, si calcola, coinvolse circa centomila soldati di entrambi i fronti.

Che cosa accade davvero quella notte lo racconta, tra gli altri, lo scrittore australiano Aaron Shepard il quale – prendendo spunto dalle molte lettere autentiche provenienti dal fronte ed archiviate all’Imperial War Museum di Londra – ricostruisce la lettera del soldato britannico Tom alla sorella Janet, che merita di essere ampiamente pubblicata (cfr Antonio Besana, 1914. Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale. Viaggio sui campi di battaglia della Tregua di Natale, Edizioni Ares, 2020):

Di colpo un camerata mi scuote e mi grida: Vieni a vedere cosa fanno i tedeschi! Ho preso il fucile, sono andato alla trincea e, con cautela, ho alzato la testa sopra i sacchetti di sabbia. Non ho mai creduto di poter vedere una cosa più strana e più commovente. Grappoli di piccole luci brillavano lungo tutta la linea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d’occhio. ‘Che cos’è?’, ho chiesto al compagno, e John ha risposto: ‘alberi di Natale!’. Era vero. I tedeschi avevano disposto degli alberi di Natale di fronte alla loro trincea, illuminati con candele e lumini. E poi abbiamo sentito le loro voci che si levavano in una canzone: ‘stille nacht, heilige nacht…’. Quando il canto è finito, gli uomini nella nostra trincea hanno applaudito. Sì, soldati inglesi che applaudivano i tedeschi! Poi uno di noi ha cominciato a cantare, e ci siamo tutti uniti a lui: ‘the first nowell the angel did say…’. Per la verità non eravamo bravi a cantare come i tedeschi, con le loro belle armonie. Ma hanno risposto con applausi entusiasti, e poi ne hanno attaccato un’altra: ‘o tannenbaum, o tannenbaum…’. A cui noi abbiamo risposto: ‘o come all ye faithful…’. E questa volta si sono uniti al nostro coro, cantando la stessa canzone, ma in latino: ‘adeste fideles…’. Non potevo pensare niente di più stupefacente, ma quello che è avvenuto dopo lo è stato di più. ‘Inglesi, uscite fuori!’, li abbiamo sentiti gridare, ‘voi non spara, noi non spara!’. Nella trincea ci siamo guardati non sapendo che fare. Poi uno ha gridato per scherzo: ‘venite fuori voi!’. Con nostro stupore, abbiamo visto due figure levarsi dalla trincea di fronte, scavalcare il filo spinato e avanzare allo scoperto. Uno di loro ha detto: ‘Manda ufficiale per parlamentare’. Ho visto uno dei nostri con il fucile puntato, e senza dubbio anche altri l’hanno fatto, ma il capitano ha gridato ‘non sparate!’. Poi s’è arrampicato fuori dalla trincea ed è andato incontro ai tedeschi a mezza strada. Li abbiamo sentiti parlare e pochi minuti dopo il capitano è tornato, con un sigaro tedesco in bocca! Nel frattempo gruppi di due o tre uomini uscivano dalle trincee e venivano verso di noi. Alcuni di noi sono usciti anch’essi e in pochi minuti eravamo nella terra di nessuno, stringendo le mani a uomini che avevamo cercato di ammazzare poche ore prima. Abbiamo acceso un gran falò, e noi tutti attorno, inglesi in kaki e tedeschi in grigio. Solo un paio di noi parlano il tedesco, ma molti tedeschi sapevano l’inglese. Ad uno di loro ho chiesto come mai. ‘Molti di noi hanno lavorato in Inghilterra’, ha risposto. ‘Prima di questo sono stato cameriere all’Hotel Cecil.” “Forse ho servito alla tua tavola!’ ‘Forse!’, ho risposto ridendo. Mi ha raccontato che aveva la ragazza a Londra e che la guerra ha interrotto il loro progetto di matrimonio. E io gli ho detto: ‘non ti preoccupare, prima di Pasqua vi avremo battuti e tu puoi tornare a sposarla’. Si è messo a ridere, poi mi ha chiesto se potevo mandare una cartolina alla ragazza, ed io ho promesso. Un altro tedesco è stato portabagagli alla Victoria Station. Mi ha fatto vedere le foto della sua famiglia che sta a Monaco. Anche quelli che non riuscivano a parlare si scambiavano doni, i loro sigari con le nostre sigarette, noi il tè e loro il caffè, noi la carne in scatola e loro le salsicce. Ci siamo scambiati mostrine e bottoni, e uno dei nostri se n’è uscito con il tremendo elmetto col chiodo! Anch’io ho cambiato un coltello pieghevole con un cinturame di cuoio, un bel ricordo che ti mostrerò quando torno a casa.

E conclude la lettera Tom, con riflessioni di grande lucidità, verità e attualità: Ci hanno dato per certo che la Francia è alle corde e la Russia quasi disfatta. Noi gli abbiamo ribattuto che non era vero, e loro. ‘Va bene, voi credete ai vostri giornali e noi ai nostri’. E’ chiaro che gli raccontano delle balle, ma dopo averli incontrati anch’io mi chiedo fino a che punto i nostri giornali dicano la verità. Questi non sono i ‘barbari selvaggi’ di cui abbiamo tanto letto. Sono uomini con case e famiglie, paure e speranze e, sì, amor di patria. Insomma sono uomini come noi. Come hanno potuto indurci a credere altrimenti? Siccome si faceva tardi abbiamo cantato insieme qualche altra canzone attorno al falò, e abbiamo finito per intonare insieme – non ti dico una bugia – ‘Auld Lang Syne’. Poi ci siamo separati con la promessa di rincontraci l’indomani, e magari organizzare una partita di calcio. E insomma, sorella mia, c’è mai stata una vigilia di Natale come questa nella storia? Per i combattimenti qui, naturalmente, significa poco purtroppo. Questi soldati sono simpatici, ma eseguono gli ordini e noi facciamo lo stesso. A parte che siamo qui per fermare il loro esercito e rimandarlo a casa, e non verremo meno a questo compito. Eppure non si può fare a meno di immaginare cosa accadrebbe se lo spirito che si è rivelato qui fosse colto dalle nazioni del mondo. Ovviamente, conflitti devono sempre sorgere. Ma che succederebbe se i nostri governanti si scambiassero auguri invece di ultimatum? Canzoni invece di insulti? Doni al posto di rappresaglie? Non finirebbero tutte le guerre?”

Allora papa Benedetto XV, che definirà “inutile strage” quella guerra mondiale, aveva fatto appello per una tregua, ignorato dai governi, così come in questi giorni ha più volte ha fatto analogo appello papa Francesco – insieme ai movimenti per la pace – per un cessate il fuoco nella nuova guerra in corso in Europa (e nelle molte altre nel mondo). Appelli ignorati dai governi i quali, con obsolete retoriche contrapposte della vittoria, portano avanti un conflitto armato che – oltre al martoriato popolo ucraino – mette a repentaglio ormai anche la vita dell’umanità, sotto la spada di Damocle delle armi nucleari. Eppure anche oggi c’è chi non perde il lume della ragione e – come i soldati nelle trincee del 1914 illuminati dalle luci degli alberi di Natale – riconosce l’assurdità della guerra per risolvere i conflitti e la comune umanità dei giovani inviati al fronte ad uccidere e morire e ha deciso di svolgere una propria tregua personale, gravida di conseguenze: sono le migliaia di pacifisti e obiettori di coscienza alla guerra di entrambi gli schieramenti, perseguitati nei rispettivi paesi. Cittadini russi, tra i quali il giovanissimo Alexander Belik che è stato ospite delle celebrazioni italiane per il 50° anniversario della legge che ha istituito l’obiezione di coscienza in Italia, e cittadini ucraini, tra i quali Vitaliy Vasyliovych Alekseienko che sta subendo un processo per “elusione del servizio militare”, monitorato anche da osservatori internazionali tra i quali l’avvocato italiano Nicola Canestrini. Pacifisti e obiettori di coscienza per i quali è in corso la campagna di supporto Object War Campaign, promossa da diverse organizzazioni internazionali tra le quali la War Resister’s International e l’International Fellowship of Reconciliation, nate proprio oltre cento anni fa come risposta nonviolenta dal basso alla immane tragedia della prima guerra mondiale e impegno permanente per la costruzione della pace. Un lume della ragione che rimane acceso, passando di generazione in generazione, contro l’oscurantismo ancora ritornante della guerra.

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