1. Il governo Meloni annuncia una svolta nella strategia di guerra ai soccorsi umanitari, ponendosi ancora in contrasto con il diritto internazionale, con i Regolamenti europei e con la giurisprudenza italiana. In prima linea questa volta si ritrova l’avvocatura dello Stato, che anticipa i contenuti dei nuovi provedimenti, costituendosi come “parte civile” nel processo Iuventa a Trapanie con un atto di opposizione al ricorso di SOS Humanity al TAR Lazio, per il divieto di sosta “a tempo” imposto dal ministro Piantedosi a novembre quando la nave veniva autorizzata ad entrare nel porto di Catania. Secondo le fonti internazionali, da interpretare alla luce della pronuncia della Cassazione sul caso Rackete, e poi della successiva sentenza della stessa Corte sul caso Vos Thalassa, che si dovrebbero leggere bene, per quello che affermano con valenza generale in sede di legittimità, al di là dei casi specifici che trattano, la Libia e la Tunisia, ma anche Malta, non sono in grado di garantire tempestivamente place of safety. Anche perché Malta non ha mai ratificato gli emendamenti IMO alle Convenzioni Sar e Solas del 2004. L’obbligo di prestare soccorso, secondo i giudici, della Cassazione, “non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare”, come invece sostiene il ministro Piantedosi, ma comporta l’obbligo di “sbarcarli in un luogo sicuro”. Nessuna Convenzione internazionale e nessun Regolamento europeo autorizzano “sbarchi selettivi” o la presentazione della domanda di asilo allo stato di bandiera, tramite il comandante della nave soccorritrice.

Inoltre, il governo italiano, in contrasto con le stesse fonti normative, per sostenere la illegalità dei “soccorsi multipli” effettuati da una stessa nave delle ONG, continua a negare che le imbarcazioni cariche di migranti/naufraghi, in acque internazionali, siano comunque in situazione di pericolo o “distress”, per il sovraffollamento dei mezzi e la mancanza di dotazioni di sicurezza, una situazione di pericolo tale da imporre a chiunque sia in prossimità un intervento immediato, si tratti di un sommergibile militare italiano o di una nave delle ONG. Le tesi propugnate dall’avvocatura dello Stato corrispondono in pieno alle linee di difesa del ministro Salvini nel proceso Open Arms a Palermo..Ma si discostano dal tenore delle Convenzioni internazionali che pure richiamano. L’esclusione di un caso di distress (grave pericolo per la vita) non può dipendere da un apprezzamento discrezionale delle autorità marittime che si conformano a direttive governative, ma costituisce materia che è rigorosamente disciplinata da norme cogenti previste dalle Convenzioni internazionali e richiamate dal Regolamento europeo Frontex n.656, perchè riguarda direttamente la salvaguardia di un bene superiore alla difesa dei confini, la salvaguardia della vita umana in mare.

In base al punto 4.4 della Convenzione di Amburgo S.A.R.’del 1979, la Centrale di coordinamento della Guardia costiera (IMRCC), e tutte le autorità italiane in conseguenza, hanno il dovere di valutare precisi elementi per l’accertamento di una situazione di distress e per la classificazione dell’evento (S.A.R. – non S.A.R.). Questi elementi sono specificati anche dal Regolamento Frontex n.656 del 2014: posizione geografica, ora dell’avvistamento, condizioni meteo-marine, dimensioni e tipologia dell’unità, suo bordo libero (galleggiamento), numero delle persone a bordo e loro condizioni fisiche, eventuale presenza tra essi di donne in stato di gravidanza, bambini, malati, traumatizzati, presenza di cadaveri nei pressi dell’unità; dotazioni di sicurezza presenti a bordo, elementi del moto, altri elementi utili a discrezione del rapportante. Nel caso dei soccorsi operati dalle ONG in questi ultimi anni e’ difficile negare la ricorrenza di questi fattori di rischio confermati dalle valutazioni della giurisprudenza italiana che nei soccorsi operati dalle Ong ha sempre riconosciuto la ricorrenza di una situazione di distress.

La segnalazione di imbarcazioni stracariche di persone prive di giubbotti salvagenti ed in navigazione a tale distanza dalla costa da escludere la possibilità di soccorsi immediati non può essere dunque classificata per mera convenienza politica come un mero” evento migratorio” e configura una situazione di distress che in base alle Convenzioni internazionali dovrebbe dichiararsi immediatamente, soprattutto quando le persone si trovino a bordo di barconi sovraccarichi e senza dotazioni di sicurezza. Occorre intervenire subito, senza attendere che le imbarcazioni così a rischio arrivino ad entrare nella fascia delle acque territoriali ( 12 miglia o 22 chilometri dalla costa). Sono già troppe le vittime di interventi di soccorso mancati o ritardati. Gli Stati hanno il preciso obbligo di predisporre una organizzazione finalizzata alle attività di ricerca e salvataggio già al di fuori della propria zona SAR, come è obbligatorio il coordinamento con gli Stati che sono titolari di zone SAR confinanti, ma solo a condizione che questi Stati garantiscano un porto sicuro di sbarco, come non si verifica con la Libia, e come non si può nemmeno verificare, anche per ragioni geografiche, oltre che politiche, con l’isola-stato Malta.

 

2. In base alle Convenzioni internazionali di diritto del mare, richiamate nel Regolamento Frontex n.656 del 2014,la navigazione in acque internazionali e’ libera, anche per attivita continuative di ricerca e salvataggio, e nessuno Stato può vietare i soccorsi multipli, soprattutto se le autorita marittime nazionali sono avvertite tempestivamente, come nel caso dell’Italia, delle attività di salvataggio in acque internazionali delle ONG, ma poi non comunicano immediatamente di assumere il coordinamento delle attività SAR, continuando a negare la ricorrenza di una situazione di distresso nascondendosi dietro i conflitti di competenza con Malta. Come si e’ verificato nel caso di nave Libra nel 2013, in quella “strage di bambini” di cui il Tribunale di Roma ha recentemente accertato le responsabilita dei vertici delle competenti autorità nazionali (IMRCC e CINCNAV) pur dichiarando prescritti i reati.

Le Convenzioni internazionali, per come richiamate dal Consiglio d’Europa e nelle linee guida emanate dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), agenzia delle Nazioni unite, anche nel nuovo Piano SAR nazionale del 2020 prevedono che il primo Comando centrale di Guardia costiera (MRCC) che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R.ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità. Almeno fino a quando tale responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR –Ed. 2016Risoluzione MSC 167-78 del 20/5/2004), sempre che sia garantito lo sbarco in un porto sicuro ed il rispetto del divieto di respingimenti collettivi.

Le regole internazionali ed europee sul soccorso in mare valgono per tutti e non possono essere modificate da decreti legge, da codici di condotta o da provvedimenti amministrativi, anche per l’espresso ordine gerarchico delle norme imposto dall’art. 117 della Costituzione che al vertice pone espressamente le norme internazionali. Come hanno già ricordato al governo la Commissione europea ed i principali Stati UE quando l’Italia ha chiesto di fare valere la competenza esclusiva dello Stato di bandiera della nave socorritrice per la indicazione di un porto di sbarco sicuro.

Lo sbarco nel porto sicuro piu’ vicino non può essere escluso in base a scelte discrezionali del governo, o di singoli ministri, che ritengono di avvalersi dell’art.19 comma 2 della Convenzione UNCLOS di Montego Bay perché qualificano le attività di salvataggio delle Ong, condotte “in autonomia” come “soccorsi multipli”, se non come “trasporto di persone in violazione di legge”. Ma se si riconosce la situazione di pericolo come distress questa qualificazione non trova piu’ giustificazione. Se si lasciasse decidere al governo quando ricorre un evento SAR e quando invece si tratta di un semplice “evento migratorio illegale”, oppure se si consentisse il divieto di successivi soccorsi, il ministro dell’interno eserciterebbe il potere di scegliere tra la vita e la morte di persone che si trovano nelle stesse condizioni di pericolo (distress), quale che sia il mezzo che va a soccorrerli. Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza che ha limitato il potere delle autorità di governo italiane di ricorrere ai fermi amministrativi per bloccare le navi delle ONG, ha riconosciuto che queste svolgono attività di soccorso e non trasporto di “clandestini”, al punto che ha respinto le tesi del governo italiano secondo cui a bordo di queste navi doveva porsi un limite al numero dei “passeggeri”. Per la Corte di Lussemburgo a bordo delle navi delle ONG si trovano naufraghi e non “clandestini”. Come ha confermato la Commisione europea quando ha richiesto all’Italia lo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro più vicino.

I provvedimenti amministrativi e legislativi annunciati dal governo, come divieti di soccorsi multipli e codici di condotta che impongano collaborazione con autorità di Stati che non garantiscono porti sicuri di sbarco, sono dunque privi di fondamento alla luce del diritto internazionale ed euro-unitario. Se non saranno impugnati e bloccati in Italia dalla giurisprudenza, determineranno uno scontro senza precedenti a livello europeo, anche se qualche Ong dovesse cedere ai ricatti del ministro dell’interno ed accettare codici di condotta e porti di destinazione (POD), che non sono place of safety(POS), sempre più lontani. Tanto, a furia di mistificare i fatti e le fonti del diritto, continuando ad affrontare eventi SAR di ricerca e salvataggio come trasporto di “clandestini”, prima o poi il ministro dell’interno, e per lui le forze di polizia, come la Guardia di finanza, invieranno una ennesima “notizia di reato” ad una procura, per l’avvio di un procedimento penale per agevolazione di immigrazione clandestina (art.12 del T.U. 286/98). Vedremo se la giurisprudenza confermerà i suoi precedenti, che hanno portato all’archiviazione della maggior parte dei procedimenti penali intentati contro le ONG, oppure se cederà agli indirizzi politici del nuovo governo. Il vero banco di prova sarà il processo Salvini a Palermo ed è a quello che molto probabilmente mirano i provvedimenti contro i soccorsi umanitari che il governo si accinge ad adottare.