Ci ha lasciato Hebe de Bonafini, fondatrice e leader delle Madres di Plaza de Mayo che da quasi mezzo secolo sono impegnate nella ricerca dei loro figli desaparecidos, sequestrati, detenuti, torturati illegalmente dai militari durante gli anni del fascismo che imperversò in Argentina tra il 1976 e il 1983.

Ho incontrato Hebe più volte, anche presso la sede delle Madres a Buenos Aires, ma una è stata fondamentale per la mia formazione politica. Eravamo a Genova venerdì 20 luglio 2001, poco più di un’ora dopo l’uccisione di Carlo Giuliani. In Piazzale Kennedy, sul lungomare, ci trovammo per un’assemblea spontanea del Movimento. Migliaia di attiviste e attivisti sconvolti da quella morte decisero di confrontarsi, ancora una volta pacificamente, per capire cosa stava succedendo, perché lo Stato ci stava uccidendo, perché la democrazia italiana era stata sospesa.

Eravamo scossi da quel che stava accadendo, cercavamo volti amici, ci abbracciavamo in cerca di consolazione e allo stesso tempo per trovare la forza di andare avanti, di continuare le nostre lotte per un mondo più giusto, finalmente libero dal giogo liberista. Nessuna repressione poliziesca, nessuna violenza di Stato ci avrebbe costretto a rinunciare alle nostre lotte. E per molti di noi così andò. Proprio grazie ad Hebe.

Le facemmo spazio appena arrivò in piazza. Fu abbracciata da una moltitudine di persone che le si strinsero accanto, all’improvviso mute quando prese in mano il microfono. Iniziò ricordando che quel ragazzo ucciso, Carlo, non avrebbe dovuto morire così. E questo era naturale. Ma ricordando l’esperienza argentina ci introdusse a quella che le Madres chiamavano «Aparición con vida», uno slogan coniato nel 1980 che siglava un’accusa feroce al governo argentino: nessuna istituzione democratica poteva definirsi tale se uccide o fa sparire chi fa politica.

Hebe perse due figli e una nuora per mano dei militari. Noi quel giorno perdemmo Carlo, uno di noi. E così ci introdusse all’altro significato di quel termine. «Aparición con vida» – ci disse, vado a memoria – “vuol dire anche che chi muore genera nuova vita, come è successo con noi madri”. Prima che i loro figli fossero desaparecidos Hebe ricordò infatti: “Io stessa, altre madri, tante famiglie, non ci occupavamo mai di politica, pensavamo solo alle nostre famiglie, alla nostra vita. La sparizione e la morte dei nostri figli ci trasformarono in attiviste per i diritti umani prima e protagoniste della lotta al liberismo poi”.

Hebe ci descrisse così quella cosa straordinaria che riassunse con una frase: “Come io sono stata generata dai miei figli, sono certa che l’assassinio di Carlo porterà tantissime persone ad essere generose verso il prossimo, ad occuparsi degli altri, a mettere la politica al centro delle loro vite”. Nonostante poche ore dopo venissero nuovamente massacrati dalle forze dell’ordine, i ragazzi e le ragazze che l’ascoltarono lenirono il loro dramma, capirono che non tutto finiva quel torrido pomeriggio di estate e che la Storia, la loro e quella del conflitto di classe, avrebbe continuato il suo corso e che avrebbe avuto bisogno dei loro corpi, della loro passione e delle loro intelligenze.

Oggi Hebe non c’è più, se ne va nel momento di crisi massima del liberismo, tra guerra, economia in default, crescita delle diseguaglianze, repressione. Il sistema capitalista è fallito, come è evidente ormai a tutti, ma proprio ora rischiamo di più, a causa della violenza che inevitabilmente esprimerà prima di lasciare il passo ad un regime che ci auguriamo sia migliore. Noi, intanto, continueremo a fare memoria delle parole di Hebe e delle sue azioni.

(Cristiano Lucchi)