Riccarda Montenero si diploma all’Accademia di Belle Arti di Lecce e si laurea in Architettura all’Università di Torino. Nei giardini del Palazzo Reale della stessa città sono collocate due sue opere di grandi dimensioni. Oltre ad esporre e a partecipare a mostre ed eventi culturali in Italia e all’estero, a rassegne di cine-video-arte, porta avanti una collaborazione con artisti e intellettuali che sfocia in pubblicazioni editoriali e performances interdisciplinari. Nel 2011 ha partecipato alla 54ᵅ Edizione Internazionale della Biennale di Venezia, Padiglione Italia (Piemonte) a cura di Vittorio Sgarbi. Lavora nel campo della fotografia, della scultura e dell’arte digitale 3D. I suoi progetti artistici si collocano in un approccio umanistico, attraverso il quale cerca di far emergere l’invisibile e di metterci di fronte alla violenza con cui si confronta. Da alcuni anni collabora con Mémoire de l’Avenir-Arts and Society a Parigi. Vive e lavora tra Parigi e Torino.

Ha pubblicato: Eros Pathos Thanatos, per la collana “disegno diverso” a cura di Paola Gribaudo, 1998; Intorno a Thanatos. Divagazioni, Ed. d’Arte F. Pozzo, 1999; Clandestini, film digitale 3D, Edizioni d’arte Félix Féneon, 2006; La mattanza, film digitale 3D, Edizioni d’arte Félix Féneon, 2009; Libre circulation, Ed. SilvanaEditoriale, 2011; Rue de L’espérance, Prinp Editoria d’Arte, 2020; Habités par la peur, Impremix Edizioni Visual Grafika, 2021.

Habités par la peur è l’ultimo progetto fotografico dell’artista Riccarda Montenero, a cura di Virginia Monteverde e presentato da Viana Conti al Palazzo Ducale di Genova, Spazio 46. L’intera opera è stata presentata a Parigi lo scorso novembre.

L’artista attraverso il suo lavoro illustra le paure e ci invita a immergere lo sguardo nelle sue opere. In un passaggio della sua intervista afferma:

«Dimorare in superficie non ci consente la connessione interiore impedendoci così di apprendere a gestire la paura. »

PRESSENZA: Com’è nato il suo progetto fotografico? Cosa significa per lei essere “Habités par la Peur”?

Riccarda Montenero: Il progetto fotografico Habités par la peur nasce in seguito a Rue de l’espérance, esasperando quei corpi e teatralizzandoli. Sono gli occhi e le mani – ora – a trovarsi al centro della scena, ed è lo sguardo, insieme ai gesti che interrogano le nostre grandi paure, ad essere – qui – i protagonisti.

Essere abitati dalla Paura significa che è la paura a connotare le nostre azioni. Essa, abitandoci, segna in ciascun individuo un tratto distintivo. È la paura misteriosa e profonda a caratterizzarci, a renderci singolari. La paura della morte, della perdita, della mancanza, dell’inconosciuto abita l’uomo da sempre. Dimorare in superficie non ci consente la connessione interiore impedendoci così di apprendere a gestire la paura.

Il suo lavoro è stato esposto per la prima volta nella galleria Mémoire de l’Avenir di Parigi. Si tratta di 74 opere, suddivise in 5 serie: Gestes de la peur; Panique du corps; Désir qui se brise; Mutisme du mot; Loi du poig. Può dirci qualcosa di più?

Ho creato cinque serie molto differenti tra loro per la “mise en scène” delle paure, alcune sono dominate dal nero, altre dal bianco, altre ancora dal colore. Ho cercato la teatralità del gesto, la suggestione del corpo in movimento unito ad un senso di ambiguità. E infine, l’idea di sollecitare alcuni interrogativi. Ho rappresentato corpi brutali a distanza ravvicinata. Corpi gonfi di tensione in ambiente claustrofobico. Corpi intolleranti allo spazio condiviso. Ho focalizzato l’attenzione sull’espressività delle mani in Gestes de la peur ; ho posto l’accento sulla postura del corpo in Panique du corps; ho virato l’attenzione sul peso dello sguardo in Désir qui se brise, i cui occhi del personaggio scrutano e provocano frontalmente l’osservatore; poi, verso il viso privo di fisicità in Mutisme du mot; mentre in Loi du poig è la forza del pugno ad essere al centro della “mise en scéne”.

Torniamo sull’ idea di « sollevare delle questioni » a cui accennava prima. Può farci un esempio?

Nella serie Désir qui se brise, ad esempio, lo sguardo frontale e provocatorio del personaggio, che sembra scrutare chi lo guarda, pone già un quesito; come pure l’ambiguità che assume il corpo nel dispiego delle sequenze; e ancora, il teatrale dialogo dei gesti domanda a chi guarda, di indagarne il senso.

Alcuni, guardando la sequenza Panique du corps l’hanno definita gioiosa, danzante. Secondo lei perché?

Si, il movimento dei corpi può sembrare danzante, meno conflittuale, anche se la postura e i gesti esprimono l’esclusione. Di certo, rispetto alle serie in cui i cui corpi emergono dal nero o dal bianco, in Panique du corps è probabilmente il colore a mitigare, a rendere la scena meno irruente, meno violenta.

Ciò che trovo interessante nelle sue opere è la vitalità dei soggetti. Le sue immagini hanno un aspetto vivo.

Certo. Amo rappresentare il corpo in movimento; rappresentarlo come fosse in palcoscenico. Il tempo mi affascina. L’ho rappresentato nei quadri tridimensionali, nella scultura, nell’animazione 3D e infine nelle opere fotografiche.

Come vive il processo di creazione di un’ opera? Quando decide che essa è conclusa?

Il mio processo di creazione è alquanto esasperante. Talvolta lo è in modo maniacale. Ho bisogno di isolamento e di piena concentrazione. In tale processo, patisco e gioisco. Cestino, recupero, cestino nuovamente fino a giungere a dar corpo all’idea… Lavoro molto in post produzione. Realizzo varie sequenze anche per piccoli spostamenti delle immagini. Quando considerare concluso un lavoro? Ciò dipende dalla capacità del momento di “ascoltare l’opera”. È l’opera stessa a dirmi basta. Altrimenti prende spazio l’ossessione di cercare ancora, di perfezionare e finisco per logorarmi. Il progetto Habités par la peur è concluso, ma le emozioni dettate dalle paure continueranno ad attraversare i miei prossimi personaggi. Almeno credo.

Nei precedenti progetti quando ho orientato il mio sguardo a Eros, Thanatos si è repentinamente imposto. Dunque, immagino che continuerà a farlo.

Come nella sua precedente opera, anche in quest’ultima ha scelto di integrarla con il cortometraggio dell’artista Teresa Scotto di Vettimo, da lei invitata. Vuole spiegare perché ha fatto questa scelta?

Lei si riferisce al video Habillés par la peur, originato dalla mia opera. Sono due le ragioni che mi hanno sollecitata: la natura umoristica del testo pubblicato nel volume Habités par la peur; e l’idea originale di riprodurre la reazione di un “visitatore ordinario” di fronte alla mia opera. Trovo che il tono tragicomico che caratterizza il cortometraggio Habillés par la peur controbilanci la mia visione della paura. Trovo che la provocatoria ipotesi di essere «vestiti» piuttosto che «abitati dalla paura», ponga un quesito che si demanda al fruitore dell’opera.

L’artista Teresa Scotto di Vettimo ha definito il suo lavoro l’opera matrice che genera altre opere. Cosa ne pensa?

La definizione di « opera matrice » la condivido pienamente. L’idea di un « visitatore ordinario » che reagisce davanti alle mie opere mi entusiasma. Mi piace la collaborazione e lo sguardo che Teresa aggiunge al mio sguardo sulla realtà delle cose. Indubbiamente la collaborazione avrà interessanti sviluppi.

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L’integralità dell’opera è stata presentata il 18 novembre 2021

nell’ambito della Giornata mondiale della filosofia – UNESCO.

 

Links web dell’opera fotografica: https://riccardamontenero.com/habites-par-la-peur/

Links web del cortometraggio https://riccardamontenero.com/habilles-par-la-peur/