Anche ieri davanti al carcere di Wadi Natroun l’attesa dell’avvocato Khaled Alì, legale difensore di Alaa Abdel Fattah, è stata inutile. L’agente alla guardia gli ha risposto che il carcere era chiuso alle visite. L’autorizzazione del procuratore non è stata presa in considerazione per la seconda volta. Nessun funzionario di alto grado l’ha valutata. La famiglia rimane all’oscuro della reale condizione di salute di Alaa. Si teme seriamente per la sua vita. Il regime dittatoriale di Al-Sisi sta giocando con la stabilità mentale della famiglia, ricorrendo ad una brutale forma di tortura psicologica.

In Italia, Amnesty e la coordinatrice della campagna di digiuno a staffetta in solidarietà con Alaa, la collega Paola Caridi, hanno deciso di concludere l’azione. Si attende di conoscere le condizioni di salute di Alaa per decidere come proseguire le iniziative di solidarietà con i prigionieri politici egiziani.

La macchina repressiva del regime continua a infornare prigionieri: il giornalista Ahmed Faez, che ha parlato delle condizioni di salute di Alaa senza fare il suo nome, sostenendo che è stato alimentato con la flebo, è stato arrestato e per una settimana non si è saputo dov’era finito. Ieri è comparso davanti al tribunale per la sicurezza dello Stato con una sfilza di accuse che vanno dall’appartenenza a un’organizzazione terroristica, a diffusione di notizie false, complotto contro lo Stato e altre ancora. La stessa sorte è toccata all’avvocato Ahmed Hamza, arrestato a casa sua all’alba di una settimana fa e poi sparito nel nulla. Ieri anche lui è comparso in tribunale con le solite accuse fotocopia.